Dao De Jing

Senza uscire dalla porta di casa puoi conoscere il mondo,
senza guardare dalla finestra puoi scorgere il Dao del cielo.
Più si va lontano, meno si conosce.
Per questo il saggio senza viaggiare conosce,
senza vedere nomina, senza agire compie.
Dao De Jing, Lao Zi

lunedì 22 novembre 2010

I valori del PD (Partito Daoista)

Ovvero: analisi semiseria della visione politica taoista. Se si fa riferimento ad una concezione largamente diffusa del taoismo come saggezza individuale, l’esistenza di una teoria politica nel Dao De Jing può sembrare una contraddizione. Ma le cose non stanno proprio così: la polemica con l’establishment confuciano è rovente …

I Cinque Punti di Lao

1) Anticonformismo: la cultura, un bene secondario

Dice il buon Lao Zi:

“Come è ambigua la Grande Via! Essa può andare a sinistra o a destra.” Dao De Jing, XXXIV

“Tutti dicono che la mia Via, pur essendo grande, sembra al di fuori di ogni convenzione. In realtà, proprio perché è grande, sembra essere fuori da ogni convenzione. Se fosse convenzionale, già da tempo sarebbe minuta!” Dao De Jing, LXVII

Qui si intravvede subito la polemica con i confuciani: la Via del maestro Lao non può essere legata alle «convenzioni» tradizionali propagate dai seguaci del maestro Kong. Ma quale era la visione «politica» dei confuciani?



Per Confucio innanzitutto c'è lo «studio»: la finalità pratica dell’apprendimento consiste nella formazione di un «uomo di valore» sul piano morale e capace di aiutare gli altri nel sociale: in tal modo si delinea da subito il destino «politico» dell'uomo colto che, invece di vivere appartato per meglio assolvere ad un ruolo di coscienza critica, avverte invece la responsabilità di impegnarsi nel processo sociale e di governo.

Ed ecco che Lao Zi ribatte: il procedimento di comprensione del Dao è a ritroso, «controcorrente» rispetto ad ogni procedura consueta:

Praticare lo studio è sempre più accrescersi
Praticare il Dao è sempre più decrescere
Decrescere al di là del decrescere, fino ad attingere al non-agire
Non agendo, non v’è nulla che non si faccia.
(Dao De Jing, XLVIII)

E’ qui esplicita l’opposizione alla via confuciana, fondata sull’apprendere, che è cammino in avanti. Per Zhuang Zi praticare il Dao è procedere su un «cammino senza cammino» per «imparare a disimparare».

E’ impossibile parlare del mare ad una rana che abita in un pozzo;
Vive in uno spazio troppo limitato.
E’ impossibile parlare del ghiaccio all’insetto che vive solo d’estate;
Vive in un tempo troppo limitato.
E’ impossibile parlare del Dao ad un letterato;
è limitato dalla ristrettezza dell’insegnamento ricevuto.
(Zhuang Zi , XVII)

2) La leadership : «uomo di valore» o «uomo vero» (come selezionare i candidati alle primarie)

Una delle qualità dell’«uomo di valore» (junzi) confuciano è il «senso di umanità», che si manifesta in virtù di tipo relazionale fondate sulla reciprocità e sulla solidarietà. La relazione che in natura fonda l'appartenenza di ogni individuo alla comunità umana è quella del figlio nei confronti del padre. Sulla «pietà filiale» si fonda la relazione politica tra suddito e principe, la relazione familiare tra moglie e marito e quella sociale tra amici. Poiché la famiglia è percepita come una estensione dell'individuo, lo stato come una estensione della famiglia, e poiché il principe è rispetto ai suoi sudditi ciò che un padre è rispetto ai suoi figli, non vi è soluzione di continuità tra etica e politica.

ll sovrano, nell'ideale confuciano, dovrebbe incarnare spontaneamente il senso di umanità, imponendosi con la benevolenza e non con la forza, dovrebbe possedere la «virtù» (De), che non è tanto la virtù in senso morale, in opposizione al vizio, quanto piuttosto la «virtus» latina intesa come ascendente naturale, carisma, che consente ad una persona di affermarsi senza nessuna coercizione. Come potete vedere, il concetto di «dittatura morbida» affonda le sue radici nel tempo!

C'è un celebre detto, attribuito a Confucio in risposta al Duca Jing di Qi che lo interrogava sull'arte di governare:

«Che il sovrano agisca da sovrano, il ministro da ministro, il padre da padre, il figlio da figlio» (Dialoghi XII,11)

«…se i nomi non sono corretti, non si possono fare discorsi coerenti. Se il linguaggio è incoerente, gli affari di governo non si possono gestire. Se questi sono trascurati, i riti e la musica non possono fiorire. Se i riti e la musica sono trascurati, le pene ed i castighi non possono essere giusti. Se i castighi sono ingiusti, il popolo non sa più come muoversi. Ecco perché l'uomo di valore usa soltanto nomi che implicano discorsi coerenti, e parla soltanto di cose che può mettere in pratica. Ecco perché l'uomo di valore è prudente in quello che dice.»(Dialoghi XIII, 3)

La tradizione vuole che Confucio, dopo avere assunto importanti incarichi di governo, abbia poi lasciato il paese natale per protestare verso il malgoverno del suo sovrano: tentò in seguito di offrire i propri servigi e i suoi consigli ai sovrani degli stati vicini, ma senza grande successo … evidentemente , la chiarezza non era (ai suoi tempi, non oggi) una dote apprezzata nel mondo politico!

Al contrario, l’uomo vero (zhenren), il Santo, è secondo i taoisti, esente da qualunque preoccupazione morale, politica, o sociale, da qualsiasi inquietudine metafisica, da qualsiasi ricerca di efficienza, da qualsiasi conflitto interno o esterno, egli ha lo spirito libero e vive in perfetta unità con se stesso e con ogni cosa. La potenza del Santo è descritta più volte come invincibile, inalterabile, perché è la potenza stessa ,o «virtù» (De) del Dao.

Colui che possiede la potenza suprema non può essere bruciato dal fuoco, né annegato dall’acqua, né offeso dalla calura e dal gelo, né sbranato dalle bestie selvagge. Non che ignori tutto ciò: ma egli è vigile nella sicurezza come nel pericolo, sereno nell’afflizione come nella felicità, accorto nel suo avanzare come nel ritirarsi: non vi è nulla che lo possa turbare

Per questo, il Santo:

Non si esibisce, e perciò risplende
Non si afferma, e perciò di manifesta
Non si vanta, e perciò riesce
Non si gloria, e perciò diventa il capo
Infatti, appunto perché non lotta,
non c’è nessuno nell’impero che possa lottare contro di lui.
(Dao De Jing, XXII)

3) Il governo del «non-fare»

Mentre i confuciani esortano l’uomo ad esaltare la propria umanità, l’atteggiamento politico taoista è invece basato sul concetto del «non-agire» (wu wei), che non consiste nel «non far nulla» nel senso di incrociare passivamente le braccia, ma nell’astenersi da ogni azione aggressiva, diretta, intenzionale, interventista, al fine di lasciare agire l’efficacia assoluta, la potenza invisibile (de) del Dao. Il Santo è colui che:

«aiuta i diecimila esseri a vivere secondo la loro natura, guardandosi dall’intervenire»

E ancora, sentite come dovrebbe comportarsi il Capo del Governo:

La Virtù del Sovrano mira a conformarsi al Dao: questa virtù ha per regola il non-agire.
Colui che non agisce mette il mondo al proprio servizio e potrebbe anche di più,
colui che agisce si mette al servizio del mondo e non ne è all’altezza.
Per questo il non agire era onorato nell’antichità,
Se il superiore non agisce e i suoi inferiori neppure,
gli inferiori possiederanno la stessa virtù del superiore e così non vi saranno ministri.
Così pure se gli inferiori agiscono e il superiore agisce ugualmente,
superiore ed inferiori avranno la stessa virtù e così non ci sarà sovrano.
Quindi il superiore non deve agire, mettendo il mondo al proprio servizio,
mentre gli inferiori devono agire per mettersi al servizio del mondo.
(Zhuang Zi, XIII)

Confucio aveva detto:

«Governare (zheng) equivale ad essere nella rettitudine (zheng)» (Dialoghi XII,17)

Il motto politico di Lao Zi è:

«reggere un grande stato è come friggere i pesciolini» (Dao De Jing,LX)

Sarà che amo il pesce fritto, ma questa mi sembra la migliore definizione di «buon governo»!

Quando si frigge un pesciolino, non bisogna toccarlo e rivoltarlo, altrimenti si rischia si schiacciarlo: così non bisogna stancare il popolo con continui cambiamenti e amministrativi e nuove leggi.

E Zhuang Zi incalza:

«Chi sa governare il mondo è come chi sa pascolare I cavalli.
Si limita ad allontanare dai suoi cavalli tutto ciò che potrebbe nuocere loro» (Zhuang Zi, XXIV)

Lao Zi aggiunge:

«Per governare gli uomini e servire il cielo, niente vale come la moderazione» (Dao De Jing,LIX)

Se il popolo è difficile da governare, ne è causa l’attività dei suoi superiori:
ecco perché è difficile da governare» (Dao De Jing, LXXV)

Evidentemente Lao Zi non aveva simpatia per il «governo del fare»… Emerge una concezione di «stato leggero»: meno ministri? semplificazione legislativa? federalismo fiscale? Decentramento amministrativo? Viva i fannulloni! Chissà cosa avevano in mente …

Ma è indicato in questo passo, secondo me, il massimo della intelligenza politica del maestro Lao:

«Così si esprime il governo del Santo:
svuotare i cuori
e riempire i ventri
indebolire la volontà
e rafforzare le ossa
precludere sempre al popolo sapere e desiderio
fare in modo che gli scaltri non osino agire
agire tramite il non-agire
e tutto sarà nell’ordine.»
(Dao De Jing, III)

L’uso sapiente dei mass media per rammollire il cervello delle persone (il “cuore” in cinese rappresenta, come sappiamo la “ragione” e non il “sentimento”) , e creare disinformazione: di una modernità sconvolgente … L’unica cosa che i governanti di oggi stanno dimenticando è quella di “riempire i ventri”… (anche i romani dicevano “panem e circenses”…)

«Se il popolo ha fame, ne è causa la quantità di tasse consumate dai suoi superiori:
ecco perché ha fame.

“Meno tasse per tutti” … non manca niente!

4) No alla guerra (pacifismo o neutralismo?)

Ma vediamo come la pensano i taoisti in materia di difesa e politica estera: il Dao De Jing parte dalla constatazione assai semplice, che la forza finisce sempre per ritorcersi contro se stessa:

Non cercare di primeggiare con le armi,
perché primeggiare con le armi chiama risposta.
(Dao De Jing,XXX)



Colui che agisce distruggerà,
Colui che prende perderà
Il Santo, non agendo su nulla, nulla distrugge,
Non impadronendosi di nulla, nulla ha da perdere
(Dao De Jing,LXIV)


Così dunque il non-agire cerca di spezzare il cerchio della violenza, assorbendo l’aggressione, astenendosi dall’aggredire di rimando. Per esemplificare il paradosso il Lao Zi fa ricorso alla metafora dell’acqua.

L’uomo del bene supremo è come l’acqua: l’acqua, benefica a tutti, di nulla è rivale.
Essa ha dimora nei bassifondi, da tutti disdegnati, ed alla Via è assai vicina.
Niente al mondo è più cedevole e più debole dell’acqua
Ma per intaccare ciò che è duro e forte, niente la supera
Niente potrebbe prenderne il posto
Che la debolezza vince la forza
E la mollezza vince la durezza
Non vi è nessuno sotto il Cielo a non saperlo
Benché nessuno lo sappia mettere in pratica.
(Dao De Jing,LXXVIII)


Lo aveva capito solo Gandhi :

“ La non-violenza, nella sua condizione dinamica, significa sofferenza consapevole. Non consiste in una docile sottomissione alla volontà del malvagio, ma nel contrapporre la propria anima alla volontà del tiranno”

In virtù della logica naturale, per cui ogni cosa che sale dovrà necessariamente ridiscendere, il fatto di rafforzare un nemico può al limite servire ad affrettane la caduta

Ciò che si deve chiudere, bisogna prima aprirlo
Prima consolidare ciò che è da indebolire
Prima favorire ciò che è da distruggere
Prima dare ciò che è da prendere
Questa si chiama «visione sottile»
Il molle vince il duro, il debole vince il forte.
(Lao Zi,36)

La «visione sottile»… troppo sottile per essere applicata?

5) Economia e sviluppo

La visione “ciclica” dell’universo taoista si rispecchia nelle loro visione della economia: questa idea fu certamente desunta dalla secolare esperienza della vita contadina, l’alternarsi del giorno e della notte, l’alternarsi delle stagioni, l’alternarsi dei cicli produttivi, ma in seguito fu assunta come regola di vita. I taoisti credono che ogni volta che una situazione si sviluppa fino alle estreme conseguenze essa sia costretta a trasformarsi nel suo opposto; «gli esseri, giunti al culmine, non possono che fare ritorno». Secondo la legge ciclica del Dao, tutto ciò che è forte, duro, superiore, è stato all’inizio debole, molle, inferiore ed è destinato a ridiventarle.

Tutti al mondo riconoscono il bello come bello;
in questo modo si ammette il brutto.
Tutti riconoscono il bene come bene;
in questo modo si ammette il male.
Difatti l’essere e il non-essere si generano l’un l’altro,
il difficile e il facile si completano l’un l’altro,
L’alto e il basso si invertono l’un l’altro
Il prima e il dopo si susseguono l’un l’altro
(Lao Zi,2)

Secondo questa legge, non esiste crescita infinita, non esiste sviluppo illimitato, ogni cosa prima o poi ritorna da dove era venuta.

Coloro che accumulano sempre più denaro per aumentare la loro ricchezza finiranno con l’essere poveri. La moderna società industriale che cerca continuamente di alzare il livello di vita e così facendo abbassa la qualità della vita per tutti i suoi membri è un esempio eloquente di questa antica saggezza cinese.

Mentre i confuciani valorizzano il Mezzo, precario e mobile equilibrio generatore di armonia, i taoisti sono alla ricerca del «Centro» (ce ne è per tutti!)

Ma che cosa è il “Centro? Il non-agire si configura come una modalità per ritornare al nostro stato di natura, quale era alla nostra nascita. Il ritorno alla prima infanzia evoca qui non l’innocenza ma l’Origine perduta. Sul piano collettivo si tratta di tornare ad uno stato originario, anteriore alla formazione della società organizzata, esente da ogni forma di aggressione o di costrizione della società sugli individui; un mondo in cui l’assenza di morale, di leggi, di punizioni non indice gli individui ad essere a loro volta aggressivi, e in cui non vi è dunque guerra o conflitto, né spirito di competizione o volontà di dominio. Ecco la visione idilliaca di Lao Zi:

E’ un piccolo paese con pochi abitanti
Anche se avessero utensili per dieci o cento uomini
Essi non se ne servirebbero
Temono la morte e non se ne vanno a migrare lontano
Anche se avessero barche o carri non ne farebbero uso
Anche se avessero armi non ne farebbero sfoggio
Essi trovano gustoso il loro cibo
E ritengono adeguate le loro vesti
Comode le loro dimore
Piacevoli le loro usanze
Da questo paese a quello vicino
Si odono cantare il galli e i cani abbaiare
Ma coloro che vi abitano giungeranno alla morte in vecchiaia
Senza essersi mai frequentati
(Dao De Jing, LXXX)

Confrontiamo le parole di Lao Zi con quelle di Maurizio Pallante (movimento per la Decrescita Felice):

“La decrescita è elogio dell’ozio, della lentezza e della durata; rispetto del passato; consapevolezza che non c’è progresso senza conservazione; indifferenza alle mode e all’effimero; attingere al sapere della tradizione; non identificare il nuovo col meglio, il vecchio col sorpassato, il progresso con una sequenza di cesure, la conservazione con la chiusura mentale; non chiamare consumatori gli acquirenti, perché lo scopo dell’acquistare non è il consumo ma l’uso; distinguere la qualità dalla quantità; desiderare la gioia e non il divertimento; valorizzare la dimensione spirituale e affettiva; collaborare invece di competere; sostituire il fare finalizzato a fare sempre di più con un fare bene finalizzato alla contemplazione. La decrescita è la possibilità di realizzare un nuovo Rinascimento, che liberi le persone dal ruolo di strumenti della crescita economica e ri-collochi l’economia nel suo ruolo di gestione della casa comune a tutte le specie viventi in modo che tutti i suoi inquilini possano viverci al meglio.”

Per concludere, I taoisti non negano il rapporto dell’uomo con il mondo. Il Santo è colui che semplicemente riesce ad intrattenere tale rapporto senza lasciarsi «reificare dalle cose»: per Zhuang Zi si tratta di liberarsi, di svuotarsi del mondo, ma non per negarlo in nome della sua impermanenza, che è tematica squisitamente buddista. Fondendosi con il Dao, l’uomo ritrova invece il suo centro e non è più ferito da ciò che lo spirito umano considera abitualmente come sofferenza; declino, malattia, morte.

Bisogna accettare le cose, anche se sono senza valore.
Bisogna tenere conto del popolo, per vile che sia.
Bisogna eseguire il proprio compito, anche se non si è sorvegliati.
Bisogna formulare le leggi, nonostante la loro imprecisione.
Bisogna compiere i propri doveri anche se non hanno in sé nessuna attrattiva.
Amare e dispensare il proprio amore, ecco la bontà.
Vivere secondo le prescrizioni senza esserne prigionieri.
Dosare la giusta misura secondo il punto di vista elevato, ecco la virtù.
L’unità che si adatta incessantemente alle mutevoli variazioni,
ecco il Dao.



4 commenti:

  1. Per capire il Daoismo non lo si può scindere dal contesto, e quindi nè dal Confucianesimo, nè dal Buddhismo, nè tantomeno dal Moismo e dal Legismo...
    Farlo significa apporre una interpretazione che forza le idee sottese dal Dao..
    Farlo significa non averne appreso la complessità..

    Vincenzo Di Maio

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  2. non capisco quale sia il "contesto" a cui ti riferisci...io non sono un sinologo, nè un letterato, nè uno storico, nè un filosofo...
    sono anni (molti) che leggo con grande interesse i classici cinesi e ne rimango piacevolemente influenzato, in quanto mi aiutano a capire ciò che accade nel "mio" tempo...non ho alcuna pretesa di fare "scuola" ma semplicemente di comunicare la sensazione che la "saggezza" cinese non ha tempo, nella speranza che altri vengano attratti da questo "sottile" pensiero...tutto qui!
    PS: i tuoi contributi sono sicuramente graditi!
    ciao!

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  3. Ti capisco, il mio comunque non era un monito ma uno spunto per ricollegare il tutto.. Forse, penso di sbagliare nel comunicare le parole...
    Ci sarebbe molto da dire in merito, ma il tuo sforzo resta cmq apprezzabile.
    Non è mia intenzione essere fastidioso.. Anzi è un modo per dare un altro spunto di riflessione che porti oltre...
    La nostra cultura occidentale frammenta il sapere e tende ad estremizzarlo arbitrariamente mediante elucubrazione astratte prive di coerenza contestuale ma ricche di coerenza testuale, quindi si immerge in una logica pura che assolutizza i fattori dimenticando la realtà originaria..
    Di fatto la stessa parola 'filosofia' è sbagliata rispetto alla realtà perchè è psicologicamente un attaccamento al pensiero, una forma di autoalienazione...
    Invece in Cina, in Oriente, la comunemente detta filosofia orientale, che oggi non a caso alcuni preferiscono definire come sapienza, non fa distinzioni teoriche tra le cose, come facciamo noi...
    Non a caso si tende, ad esempio, a distinguere il taoismo 'filosofico' dal taoismo 'religioso' ma essa è soltanto una 'nostra' distinzione..
    La sapienza è un fare, anzi è un essere, non un amicizia al pensiero, non un attaccamento al pensiero, non un alienazione del pensiero...
    Siamo noi che distinguiamo dai tempi di Platone, Parmenide, Aristotele... Ad esempio, non a caso i presocratici non si facevano tante pippe del genere, e ancora non sono riuscito totalmente a capire il perchè di queste tendenze sociali che ci hanno portato a questa realtà...
    Per quanto riguarda poi il contesto a cui mi riferisco è la dimensione antropologica orientale, che da una forma mentis diversa dalla nostra, al punto di rendere altamente vicine l'India alla Cina, e altrettanto il Giappone ecc., che ad esempio non l'India all'occidente, anche se oggi l'occidentalismo cerca di pervadere ed entrare, con le sue perversioni esistenziali, anche in tali realtà..
    Quando l'Asia Orientale troverà il proprio 'assetto naturale' , fuori dagli schemi del diritto e di tutte quelle forzature di astrattismo occidentale, sarà la vera alba di un nuovo millennio, di una nuova era, di una storia tutta nuova... Quel "Ritorno" tanto ambito da molti...

    Grazie.

    Namastè!

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  4. ti ringrazio per i tuoi interventi! ti dirò che sono contento di stimolare l'attenzione di qualcuno...per me questo blog è un esperimento mediatico: sto scoprendo che in giro per il mondo ci sono molte persone seriamente intenzionate ad approfondire la conoscenza del pensiero cinese antico e questo ovviamente, non solo mi fa piacere ma mi stimola a confrontare le mie idee con quelle degli altri...quindi benvengano anche critiche...non ho pulsioni narcisitiche!
    Quello che dici del sapere occidentale è giusto: il nostro limite è la logica, la razionalità, a scapito dell'intuizione e dei sentimenti. Non possiamo tuttavia buttare via secoli di "imprinting" culturale: demonizzare la sostra cultura ci porterebbe all'alienazione di inseguire dei modelli (quelli orientali) che difficlmente riusciremmo a fare nostri completamente. E' questo il "contesto" cui ti riferisci (se ho capito bene) che probabilmente non riusciremo mai a capire...una decina di anni fa, ho lavorato in Cina per una multinazionale per un paio d'anni e, quando credevo di avere capito le persone con cui stavo, ecco che succedeva qualcosa che mi illuminava sul fatto che non avevo capito niente del loro modo di pensare e di relazionarsi!
    Comunque, per me il problema non è "diventare" un orientale e tutto sommato nemmeno di essere sicuro di avere "capito" il loro pensiero: quello che cerco è uno stimolo a valorizzare la conoscenza derivante dall'intuito e dal sentimento al fine di "integrare" il mio modo occidentale di pensare...se poi faccio casino sul piano storico, filologico, etc. mi appello alla comprensione degli specialisti!
    a presto!

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