Dao De Jing

Senza uscire dalla porta di casa puoi conoscere il mondo,
senza guardare dalla finestra puoi scorgere il Dao del cielo.
Più si va lontano, meno si conosce.
Per questo il saggio senza viaggiare conosce,
senza vedere nomina, senza agire compie.
Dao De Jing, Lao Zi

giovedì 16 settembre 2010

Il problema della lingua

Sia gli scritti confuciani che quelli taoisti sono scritti nello stile compatto e suggestivo che è tipico del modello di pensare cinese: i cinesi non erano portati al pensiero logico astratto e produssero una lingua molto diversa da quella occidentale. Questo aspetto va forse posto in relazione con la scrittura, che è assai particolare e radicalmente diversa dai sistemi di notazione fonetica propri dei linguaggi alfabetici europei. Lungi dall'essere un concatenamento di elementi fonetici in sé privi di significato, ognuno di essi costituisce un'entità che comporta un senso. Poiché i filosofi cinesi si espressero in una lingua tanto adatta al loro modo di pensare, i loro scritti e le loro massime potevano essere brevi e non ben articolati e tuttavia ricchi di immagini suggestive. E’ evidente che molte di queste immagini si perdono nella traduzione in una lingua occidentale.

Ad esempio, il famoso carattere Dao, 道 risulta composto da 辶 che significa «camminare» e da 首che significa «testa». La «Via» rappresenta dunque un «camminare con la testa» , «muoversi con coscienza»

道 =辶 + 首
La scrittura cinese sembra astrusa per noi occidentali, ma in realtà anche noi usiamo tantissimo gli ideogrammi: pensate ai segnali stradali o alla segnaletica negli aeroporti, ai simboli astrologici, meteorologici, matematici, chimici, religiosi, politici, etc. Molti sono chiari ed inequivocabili, altri sono passibili di più interpretazioni e aiutano la nostra mente a rendersi attenta, a cercare dentro di essi i tanti possibili significati, le realtà a cui rimandano.
Gli ideogrammi hanno il vantaggio della immediatezza, della concisione grafica, della universalità: A titolo di provocazione, provate a leggere la seguente storiella… per capirla non serve vocabolario, ognuno la pronuncia nella propria lingua, ma tutti ne capiscono il senso!

Il cinese è l'esempio più puro di lingua "isolante" una lingua, cioè, in cui ogni parola consiste di uno ed un solo morfema. L'italiano invece, (come l'arabo, l'ebraico e in generale tutte le lingue indoeuropee) ricade nella categoria delle lingue "flessive": in queste lingue la parola e' formata da una radice lessicale (più o meno modificabile), alla quale si aggiungono affissi che realizzano in uno o più morfemi diverse informazioni o funzioni grammaticali. In italiano i morfemi sono generalmente legati, cioè non sopravvivono da soli come parole, ma per formare parole vengono combinate delle basi con dei prefissi o dei suffissi.

Basi: modern-, scriv-, pens-, vinc-
prefissi: in-, ri-, dis-
suffissi: -mente, -tore, -zione, -bile, -izza

Le parole vengono create seguendo le cosiddette regole morfologiche, tipo:

In + A = A "non A" (in-capace, in-abile, in-comprensibile)
ri + V = V "V di nuovo" (ri-costruire, ri-fare, ri-nascere)
dis + V = V "rendere negativo" (dis-fare, dis-educare, dis-conoscere)
A + izza- = V "rendere A" (modern-izza-re, razional-izza-re)
V + -tore = N "colui che V" (mangia-tore, bevi-tore, gioca-tore).

Per misurare in che misura una lingua sia isolante, si utilizza il cosiddetto indice di sintesi, cioè si misura il numero medio di morfemi per parola. Quanto più questo numero è vicino a 1, tanto più la lingua si avvicina al tipo isolante.

Nel cinese, infatti, parola, morfema ma anche carattere coincidono.

Nella lingua cinese ogni unità lessicale è invariabile e rimane identica qualunque sia la posizione grammaticale che assume. Ma vediamo telegraficamente le maggiori peculiarità della lingua cinese:

1) Il sostantivo non ha né numero né genere
2) L'aggettivo, usato come attributo, precede sempre il sostantivo, altrimenti diventa un predicato nominale (aggettivo attributivo)
3) L'articolo non esiste.
4) Il pronome personale rimane immutato nelle sue varie funzioni, cioè 我 wǒ traduce «io, me, mi» 你 nǐ traduce «tu, te, ti»
5) Per il sostantivo e l'aggettivo non esiste concordanza in genere e numero.

他 是 工人, 她 是 工人, 他们 都 是 工人
tā shì gōngrén tā shì gōngrén tāmen dōu shì gōngrén
lui essere operaio, lei essere operaio, loro tutti essere operaiolui e' un operaio, lei e' un'operaia, sono tutti operai

6) Le forme verbali sono invariabili e non contengono indicazioni di tempo e di modo

今天 我 没 出去, 明天 出去。
jīntiān wǒ méi chūqù míngtiān chūqù
oggi io non uscire, domani uscireoggi non esco, uscirò domani

Il periodo viene costruito combinando i morfemi in unità via via più ampie fino a formare le diverse frasi. Le frasi sono in grado di esprimere un significato compiuto solo in virtù del fatto che i loro costituenti sono organizzati secondo un preciso sistema di regole, che costituisce appunto il sistema grammaticale.

In cinese, informazioni quali numero, genere, tempi e modi tendono ad essere fornite solo in caso di reale necessità, qualora il contesto non sia di per sé sufficiente a renderle implicitamente chiare. Il contesto gioca quindi un ruolo decisivo nel determinare la forma e la completezza grammaticale di una frase e si rivela una chiave importante per l'interpretazione semantica. Una frase estrapolata dal suo contesto, può perdere non solo significato ma anche accettabilità grammaticale.

去 家
qù jiā
andare casa = detto così ‘ ambiguo: potrebbe essere «vai a casa» o «andiamo a casa». Però:

我 去 家
Wǒ qù jiā
io andare casa = io vado a casa

我 昨 天 去 家
wǒ zuótiān qù jiā
io ieri andare casa = ieri sono andato a casa (un avverbio chiarisce il tempo del verbo)

我 门 昨 天 去 家, 明 天 来。
Wǒ mén zuótiān qù jiā , míngtiān lái
Io-plurale ieri andare casa, domani tornare = ieri siamo andati a casa, torniamo domani.

Non si ha quindi una struttura di base, del tipo soggetto/predicato, che tenda a dire qualcosa a proposito di qualcosa e che ponga implicitamente la questione di sapere se la proposizione sia vera o falsa. In confronto alle lingue indo-europee, uno degli aspetti più vistosi è l'assenza, nel cinese antico, del verbo «essere» come predicato, poiché l'identità è indicate come semplice giustapposizione.

Da quanto visto può sembrare essere precisi in cinese o fare quelle distinzioni chiare che sono necessarie per una analisi scientifica o filosofica. Il bello è che il cinese ha il vantaggio di riuscire a dire molte cose allo stesso tempo e significarle tutte, ragion per cui, ad esempio, ci sono almeno settanta traduzioni diverse del Lao Zi!
Giusto per fare un piccolo esempio, prendiamo l’esordio del Lao Zi:

道 可 道 非 常 道
dào kě dào fēi cháng dào

道 dào è la Via, ma come abbiamo visto, può significare anche «camminare» o «parlare»
可 kě significa «essere degno di, meritare»
非 fēi significa «non è, non è uguale a»
常 cháng ha diversi significati: «comune, ordinario, normale», ma anche «costante, invariabile»

Per cui alcuni traducono: «La Via veramente Via non è una via costante» l’interpretazione è: la caratteristica di una via comune è di essere immutabile, costante. Ma la Via di cui si tratta qui è caratterizzata dalla idea opposta: questa Via è caratterizzata dalla mutevolezza, quindi una visione paradossale.

Altri intendono: «La Via che può essere seguita non è la via eterna» l’interpretazione, in questo caso è: C’è una Via eterna, immutabile, ed una via fenomenica, la sola di cui si può parlare

Altri ancora, sostenendo che dao può significare anche «dire, parlare», traducono: « La vera Via non è quella di cui comunemente si parla, cioè la Via è ineffabile»
La verità è che, come del resto per tantissimi altri testi antichi, noi non riusciremo mai a rendere in modo scientificamente esatto quello che stava nella mente degli autori: quello che conta, tuttavia, riconosciuto lo sforzo scientifico dei traduttori, è se quello che ci arriva è capace di dare un messaggio valido ai tempi nostri.

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