Dao De Jing

Senza uscire dalla porta di casa puoi conoscere il mondo,
senza guardare dalla finestra puoi scorgere il Dao del cielo.
Più si va lontano, meno si conosce.
Per questo il saggio senza viaggiare conosce,
senza vedere nomina, senza agire compie.
Dao De Jing, Lao Zi

domenica 5 settembre 2010

Filosofie di "questo" o dell'"altro" mondo?

Il posto occupato dalla filosofia nella civiltà cinese è paragonabile a quello tenuto dalla religione nelle altre civiltà: si è soliti dire che in Cina esistono tre religioni: confucianesimo, taoismo e buddhismo. È vero che in tutte e tre le direzioni si sono sviluppate degli indirizzi di carattere più propriamente religioso (in senso formale ed organizzato), tuttavia bisogna tenere presente che la civiltà cinese ha il suo fondamento spirituale nell’etica e non nella religione. I cinesi non si occuparono tanto di religione perché si dedicarono alla filosofia. Secondo la tradizione cinese, la funzione della filosofia non è di aumentare la conoscenza positiva ma di elevare lo spirito, cioè tensione verso quanto sta oltre il mondo presente e attuale.
Il tema centrale della speculazione cinese è il seguente: esistono uomini di vari tipi e condizioni (politici, artisti, scienziati) e per ciascuno esiste la più alta forma di sviluppo della quale il tipo è capace. Ma quale è la più alta forma di sviluppo di cui un uomo «come uomo» è capace? Secondo i filosofi cinesi è nientemeno che quella del «saggio» e l’ideale di un saggio è l’identificazione dell’individuo con l’universo.
Ma per raggiungere questo ideale si deve necessariamente abbandonare la società e persino negare la vita? Secondo alcuni filosofi ciò è necessario: il Buddha disse che la vita stessa è la radice e la sorgente della miseria della vita; Platone affermò che il corpo è la prigione dell’anima e alcuni taoisti sostennero che la vita è una escrescenza, un tumore, da cui solo la morte ci libera. Queste concezioni implicano l’idea dell’abbandono del mondo (filosofie dell’altro mondo). Le varie scuole del misticismo orientale, sebbene differiscano tra loro in molti punti particolari, sottolineano tutte l’unità fondamentale dell’universo che è la caratteristica principale del loro insegnamento: l’aspirazione più elevata dei loro seguaci – siano essi indù, buddhisti, o taoisti – è quella di diventare pienamente consapevoli dell’ unità e della interconnessione reciproca di tutte le cose, di trascendere la nozione di sé come individuo singolo e di identificarsi con la realtà ultima. Il raggiungimento di questa consapevolezza, - chiamata «illuminazione» non solo è un atto intellettuale ma una esperienza che coinvolge l’intera persona ed è fondamentalmente di natura religiosa.
Il confucianesimo, invece, è la giustificazione razionale e l’espressione teorica sistema sociale cinese dell’epoca; in quanto filosofia della organizzazione sociale e quindi della vita quotidiana, pone l’accento sulle responsabilità sociali dell’ uomo. La filosofia confuciana parla solo di valori morali e non vuole entrare nella sfera del meta-morale (filosofie di questo mondo).
Queste due correnti della filosofia cinese corrispondono più o meno al classicismo ed al romanticismo della tradizione occidentale. Il confucianesimo - poiché si muove «entro i limiti della società» - appare più di questo mondo del taoismo. Il taoismo - poiché si muove «al di là dei limiti della società» - appare più ultramondano; negli aspetti religiosi e magici del taoismo si può infatti riscontrare la diretta influenza delle pratiche sciamaniche.
In realtà questa distinzione è solo strumentale: la filosofia cinese è di questo mondo ed insieme ultramondana. Le due correnti di pensiero, benché rivali, si completavano reciprocamente: è difficile, di fatto, fare una separazione netta tra loro: in ogni pensatore infatti, si realizza una certa compenetrazione dei due modi di vedere la realtà.
Il tema principale del dibattito filosofico cinese non è quindi “Cos’è la verità?” ma “Dov’è la Via?”, (Dao) ovvero il modo di regolare lo stato e di guidare l’esistenza individuale. Questo termine, Dao (detto anche Tao), di cui sovente si attribuisce il monopolio ai taoisti, è di fatto un vocabolo corrente nella letteratura antica e significa «strada, via», «cammino» e per estensione «metodo, modo di procedere». Inoltre, a causa della fluidità delle categorie grammaticali del cinese antico, Dao può anche significare «camminare», «avanzare», ma anche «parlare, enunciare». Così ogni corrente di pensiero ha il suo Dao, in quanto propone un insegnamento sotto forma di enunciati la cui validità non è di ordine teorico, ma si fonda su un insieme di pratiche. Nel Dao l'importante non è attingere il fine quanto piuttosto saper procedere. la Via non è mai tracciata in precedenza ma si traccia mano a mano che vi si cammina…«caminante no hay camino…se hace el camino al andar…» (Antonio Machado).

1 commento:

  1. a "grande richiesta" riprendo la pubblicazione dei miei post...ma c'è qualcuno che li legge?

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