Dao De Jing

Senza uscire dalla porta di casa puoi conoscere il mondo,
senza guardare dalla finestra puoi scorgere il Dao del cielo.
Più si va lontano, meno si conosce.
Per questo il saggio senza viaggiare conosce,
senza vedere nomina, senza agire compie.
Dao De Jing, Lao Zi

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mercoledì 29 gennaio 2014

La leggenda dei Cavalli Celesti: potenza di un mito







Nella Cina dei primi secoli  AC, una leggenda molto popolare parlava di una razza di cavalli magici, i Cavalli Celesti, slanciati ed imponenti, che correvano veloci più del vento, erano invincibili in guerra e provenivano direttamente dal paradiso. La credenza più comune considerava il cavallo come un parente stretto del drago, entrambi originati dall'acqua ed entrambi capaci di raggiungere il mondo soprannaturale degli immortali. Il cavallo è messo in stretta relazione sia con il Dio del Cielo sia con l'imperatore stesso, a formare un tramite di potere cosmico. Secondo alcuni studiosi infatti il cavallo assume in questo senso un importanza religiosa, come un sacro veicolo, che può innalzare colui che lo possiede allo stato di immortale, risiedente in cielo al fianco del Dio.

E qui si innesta la storia della passione incontenibile dell’ imperatore Wu Di per i Cavalli Celesti.

Da sempre i cinesi erano minacciati a nord da una popolazione formata da tribù nomadi, i Xiongnu, che antichissimi resoconti storici cinesi riferiscono discendere dalla prima dinastia cinese, la mitica dinastia Xia. Il loro territorio si estendeva dalla Siberia meridionale, la moderna Mongolia, la Manciuria occidentale e le odierne province cinesi di Gansu e Xinjiang. Questi nomadi erano considerati così pericolosi e distruttivi, che la dinastia Qin iniziò la costruzione della Grande Muraglia per proteggere la Cina dai loro attacchi.



Le relazioni fra le prime dinastie cinesi e gli Xiongnu erano complesse, con ripetuti periodi di confronti militari e intrighi alternati a scambi di tributi, commercio e matrimoni combinati a scopo politico.  Alcuni storici ipotizzano che gli Unni che invasero l’Europa ne IV secolo d.C. siano parte dei Xiongnu migrati verso ovest dopo la definiva sottomissione delle tribù orientali da parte dei cinesi. Come popolo nomade con un'ampia area di spostamento, i Xiongnu  erano bravi in combattimento mobile sopra i cavalli. I Cinesi, popolo agricolo sedentario, avevano difficoltà ad uguagliare la loro abilità. Erano privi di razze di cavalli adeguate a formare una buona cavalleria.
Nei confronti dei Xiongnu, i primi imperatori della dinastia Han non volendo impegnarsi in operazioni militari rischiose, preferirono adottare una politica di “pace ed amicizia” inviando loro doni (sete, alcool, riso) e spose di sangue imperiale. Tale politica non riuscì ad impedire tuttavia che i cavalieri Xiongnu compissero con sempre maggiore frequenza scorrerie in territorio cinese, devastando i campi e saccheggiando le città.

L’avvento la trono dell’imperatore Wu Di  (140-87 a.C.) segnò una svolta nella storia della dinastia Han: nel corso del suo governo, durato oltre cinquanta anni, il governo imperiale riprese una politica di deciso intervento, sia all’interno che all’estero, in nome di una concezione dell’impero che per molti aspetti ricordava quella di Qin Shi Huang Di.

Il primo obiettivo di Wu Di fu quello di liberarsi della costante minaccia dei Xiongnu. Nel 129 a.C. fu lanciata un’offensiva contro di loro, che culminò due anni dopo nella riconquista dell’ Ordos, (una provincia della Mongolia Interna) dove furono stabiliti due governatorati; centomila coloni furono trasferiti nella regione per popolarla [quella di trasferire persone da est a ovest nella Cina è quindi un uso antico!. N.d.A]. Successivamente le truppe imperiali intrapresero la conquista del Gansu e costrinsero i Xiongnu a spostare verso nord il loro centro politico e militare.
Intanto, nel 126 a.C. era tornato a Chang’an  Zang Qian che dodici anni prima, nel 138 a.C. era stato inviato con un centinaio di uomini in cerca dei Yuezhi allo scopo di stabilire un’alleanza in funzione anti-Xiongnu.

(la vicenda di Zang Qian ve la ho già raccontata in:

La missione di Zang Qian si era rivelata un totale fallimento,: tuttavia, l'emissario tornò in Cina privo di un'alleanza, ma ricco di informazioni geografiche, economiche, militari e antropologiche di molti città e paesi dell'Asia centrale tra i quali “Da Yuan” o Ferghana [attuale Uzbekistan].
L'emissario raccontò inoltre di aver visto in quei paesi dei cavalli assolutamente straordinari, che correvano più veloci del vento .

Nel 119 a.C. l’ ormai attempato Zang Qian fu inviato nuovamente in missione, questa volta per stabilire contatti con il popolo degli Wusun, che si era stanziato nella valle dell’Ili [attuale Kazachstan sovietico]. Avevano anche loro allevamenti di purosangue e forse potevano persuaderli di attaccare i Xiongnu alle spalle. Il vecchio Zang diede prova della sua forza di carattere costringendo il loro re a prostrarsi. Poi l’ambasciatore disse che al Figlio del Cielo sarebbe piaciuto ricevere in dono i cavalli: il re ne avrebbe mandati volentieri qualcuno, ma pretendeva in cambio una principessa imperiale. Ricevuta questa notizia, Wu Di consultò il Libro dei Mutamenti ed il libro, molto opportunamente gli rispose: «I Cavalli Celesti verranno dal Nord-Ovest» e così Wu Di barattò una principessa imperiale con i destrieri mandandola a vivere nelle ignote regioni dell’Estremo Occidente. Inutile dire che la principessa si trovò molto male in quelle terre lontane, sposa di un re oltretutto anziano.


L’imperatore invece idolatrava i Cavalli Celesti, finché un brutto giorno le sue spie gli annunciarono che i cavalli dei Wusun non erano propriamente dei Cavalli Celesti: quelli veri appartenevano al re di Fergana, che li custodiva gelosamente nella sua capitale. Le loro criniere scendevano fino ai ginocchi e le loro code spazzavano il terreno: avevano una doppia spina dorsale come le tigri e degli zoccoli come un grosso polso. Quando il sole era allo zenit sudavano sangue. Erano capaci di tenere dietro al moto del sole e di percorrere in un giorno mille li [circa 500 Km]. L'imperatore, fortemente impressionato, decise allora di inviare nello stato del Ferghana una delegazione pacifica carica di oro e regali preziosi, ma la missione si rivelò un totale fallimento in quanto, dopo il lungo e stremante viaggio, una volta arrivati a destinazione, l'oro e i doni furono sequestrati, parte della delegazione uccisa e nessun cavallo rilasciato. 

Quando Wu Di venne a sapere del nuovo fallimento, divenne furioso e nonostante i suoi consiglieri lo supplicassero di rinunciare alla missione, lui organizzò una seconda spedizione, questa volta di carattere militare, per la quale furono impiegate innumerevoli risorse e tremila soldati. Nel 104 a.C. la spedizione partì alla volta dello stato di Ferghana per costringere con la forza il re a rilasciare i preziosi stalloni. L’impazienza dell’imperatore, tuttavia, fu pagata a caro prezzo.  La spedizione purtroppo venne organizzata affrettatamente, per cui molti soldati morirono nel deserto e pochissimi raggiunsero la destinazione, dove ancora una volta vennero derubati, catturati e respinti. Dopo due anni i superstiti di ritorno riportarono l'infausta notizia e l'imperatore furioso – come se non bastasse - diede ordine per loro di esilio o morte.

Nel frattempo il popolo nomade Xiongnu stava attaccando al confine settentrionale dello stato Han e la situazione alla frontiera stava peggiorando. Non pago dello smacco recente e nonostante le sempre più pesanti pressioni da parte dei consiglieri di corte, l'imperatore non volle rinunciare al suo progetto e nel 102 BC, dopo aver imprigionato i suoi oppositori, inviò un immenso esercito di 60.000 uomini in Asia Centrale insieme a migliaia di servi e più di 30.000 cavalli e bovini. Svuotò le prigioni per arruolare anche i delinquenti, organizzò un servizio di sussistenza con carri di riso bollito ed essiccato che doveva rifornire l’esercito per tutta la durata del viaggio.

Una volta giunto in Fergana, l’esercito cinse d’assedio la capitale: un squadra di ingegneri idraulici deviarono i corsi d’acqua che alimentavano la città ed alla fine, gli abitanti stessi uccisero il vecchio re accettando la richiesta di donare i Cavalli Celesti in cambio della sospensione dell’assedio. I soldati Cinesi istituirono un nuovo re per lo stato di Ferghana, che da quel momento diventò un protettorato cinese e selezionarono diverse migliaia dei cavalli migliori e diverse migliaia di stalloni di qualità minore. Sulla via del ritorno, l'esercito Cinese ricevette doni ed onori dagli stati attraverso i quali passava, che saputo della loro vittoria su Ferghana, accettarono di diventare protettorati dell'impero Cinese. 

E così, a prezzo di enormi spese e col sacrificio di migliaia di uomini, l’imperatore Wu Di poté soddisfare il suo desiderio di possesso dei Cavalli Celesti. Con l'aiuto di questi cavalli, la Cina fu capace di costruire le sue difese e sopravvivere agli attacchi dei Xiongnu. Tuttavia l'imperatore selezionò i cavalli migliori e non li impiegò in battaglia:  li custodì gelosamente nelle proprie scuderie.

L'arrivo dei cavalli in Cina assunse inoltre più di un significato militare, e divenne oggetto di poesie e musica utilizzati per riti celebrativi.

Data l'evidenza di così grande interesse verso questi cavalli, alcuni interrogativi nascono spontanei: qual è stata la vera ragione per questa campagna militare di Han Wu Di in Asia centrale? Qual era il valore reale dei cavalli del Ferghana e che cosa rappresentavano per i loro proprietari originali e per lo stesso Imperatore? I cavalli celesti erano bestie misteriose, oggetti del desiderio per i re dell'Asia, apprezzati al punto di provocare la morte di innumerevoli persone, e la perdita di enormi quantità di ricchezza per il loro acquisto. La loro popolarità può quindi essere compresa solo analizzando il contesto storico in cui il loro mito venne coltivato.


Durante il regno di Han Wu Di, il culto taoista degli immortali subì uno sviluppo rapido e sorprendente. L'intensificazione della ricerca dell'immortalità da parte dell'imperatore ne favorisce la divulgazione in tutte le classi sociali. L'intensità senza precedenti con cui veniva praticato il culto è visibile nel tentativo dell'imperatore di raggiungere i due luoghi in cui si credeva che gli immortali risiedessero, (le isole della Cina estremo orientale come Penglai e la cima del monte Kunlun nella Cina Occidentale) per ricercare la ricetta dell'immortalità. Il fallimento della delegazione orientale nel primo periodo del suo regno e la conseguente apertura e  consapevolezza delle terre occidentali dopo il ritorno del messo Zhang Qian, aumentò la speranza dell'imperatore nella ricerca ad Occidente. Così come la ricerca dell'immortalità aumentò di intensità, nuove credenze vennero sviluppate presso la corte di Han Wu Di, che pianificò l'acquisto dei cavalli del Ferghana non soltanto per la loro superiorità militare.

Nel cuore di Wu Di infatti, oltre al desiderio di avere dei cavalli da guerra validi per contrastare le scorrerie dei Xiongnu, l’idea dei Cavalli Celesti alimentava anche la sua ossessione per l’immortalità: si narrava infatti a quei tempi che tali cavalli fossero magici e fossero capaci di condurre i loro cavalieri tra le braccia celesti dei loro antenati: e l’imperatore sognava infatti: “Mi solleveranno e mi porteranno alla Montagna Sacra, dove raggiungerò la Terrazza di Giada”


Fonti

Bruce Chatwin, Che ci faccio qui?, Adelphi, Milano, 1990
M.Sabbatini, P.Santangelo, Storia della Cina, Laterza, bari, 2003

giovedì 17 novembre 2011

I soldati romani in Cina duemila anni fa...ma non da conquistatori!


Nella piazza del villaggio di Liqian, nella Prefettura di Yongchang, provincia di Gansu, non è raro vedere una dozzina di abitanti del villaggio, dall’aspetto marcatamente occidentale, indossare armature e scudi e intrattenere i tanti turisti. E’ difficile pensare che un remoto villaggio nel nord-ovest della Cina, sia abitato da persone dai tratti somatici occidentali, che improvvisino antiche danze e parate militari romane, ereditate dai loro antenati.



La prefettura di Yongchang nel Gansu
Situato lungo la Via della Seta, la rotta commerciale più importante dell’Asia - che già duemila anni fa collegava attraverso settemila chilometri l’Europa all’Asia - il paese venne alla ribalta nel 1990, quando alcuni archeologi trovarono i resti di un antico forte romano e constatarono che molti abitanti avevano marcati lineamenti occidentali. Nel 1999, il villaggio, precedentemente denominato Zhelaizhai, è stato rinominato Liqian. Secondo i documenti storici cinesi infatti, Liqian era il nome che gli antichi cinesi avevano dato all’Impero Romano. I resti del forte sono attualmente circondati da catene. Un monumento è stato eretto vicino ai suoi resti per raccontare la sua storia e la recente costruzione di un padiglione in stile romano si erge nei pressi del monumento.

Con gli occhi verdi infossati e un lungo naso adunco, Luo Ying, 35 anni, ha un aspetto europeo che gli è valso il soprannome di “principe romano”, da parte dei suoi compaesani. Nel 2005, test del DNA hanno confermato che alcuni degli abitanti del villaggio erano di origine straniera.

Vediamo di capirci qualcosa …

Intorno alla metà del I secolo a.C. profonde divisioni lacerano l’Asia centrale: Hu Hanye e Zhi Zhi due fratelli appartenenti ad una tribù dell’etnia Xiongnu (quelli che noi chiameremo Unni), da tempo immemore predoni sul confine cinese, si disputano il titolo di Shan Yu (re). Dalla lotta per il potere di due fratelli nasce una sorta di guerra civile: una parte del popolo segue Hu Hanye, che si accorda con la Cina, una parte invece segue l'altro fratello. Sconfitto dal generale cinese Cheng Tang, Zhi Zhi viene catturato e messo a morte nel 35 a.C., I suoi seguaci sono costretti a fuggire verso ovest nelle steppe dell’Asia centrale. Un secolo e mezzo dopo la morte di Zhi Zhi, questo misterioso popolo, ormai mescolato a diverse altre razze, è nella zona del mar Caspio.

La notizia interessante di questa storia - che non ha nulla di originale - tramandataci dalle cronache cinesi, è che la guardia del corpo di Zhi Zhi era composta da uomini di un'altra razza, capaci di usare una complessa tattica di difesa, ottenuta mediante la sovrapposizione degli scudi, in un modo che ricorda la testudo romana.

Lo storico Homer Dubs vede in quei mercenari dei soldati romani superstiti della battaglia di Carre, condotta da Crasso nel 53 a.C contro i Parti in Asia Minore. Da Plinio il Vecchio sappiamo che in quella battaglia, che si concluse anch'essa con una sonora sconfitta romana, 10.000 romani furono catturati dai Parti e trasportati nella Margiana, un territorio nell'attuale Turkmenistan. Secondo questa versione i legionari, una volta sotto l'impero cinese, avrebbero fondato il villaggio di Liqian, nel nord-ovest della Cina; questa teoria è suggerita da vari indizi, tra cui lo stesso nome del villaggio (uno dei diversi modi del cinese antico per indicare Roma) ed i caratteri etnico-antropologici degli abitanti dell'area su cui sorse il villaggio, diversi da quelli cinesi. Tuttavia non sono state trovate evidenze archeologiche né chiare prove genetiche sugli abitanti attuali; gli scettici sostengono che il nome Liqian sarebbe solo foneticamente uguale al nome cinese della città di Roma ed avrebbe diverso significato, e che anche il riferimento nelle cronache alla formazione "a scaglie di pesce" dei soldati potrebbe riferirsi genericamente ad una disposizione molto serrata delle file della fanteria, piuttosto che alla tecnica romana della testuggine.

Nel novembre del 2010, è stato istituito presso la Lanzhou University di Gansu, il «Centro Italiano Studi», che vedrà Italia e Cina impegnate in una ricerca per svelare questo mistero. Il professor Yuan Honggeng, capo del centro, ha detto che spera di provare la teoria, scavando per scoprire ulteriori prove del primo contatto della Cina con l’Impero Romano lungo la Via della Seta. ”Speriamo di svelare il mistero delle legioni romane perdute”, ha dichiarato Yuan.

Nel mese di agosto 2010, un nuovo complesso costruito in stile architettonico romano è stato creato per soddisfare i visitatori, e mentre un produttore cinematografico di Pechino ha in programma di spendere milioni per raccontare questa storia, sono sempre di più i turisti che si recano al villaggio.

“Siamo molto felici che il villaggio sia diventato vibrante”, ha detto Zhao, un abitante di Liqian, che ha guadagnato 2.000 yuan (circa 240 euro) l’anno scorso, grazie al boom del turismo.



Fonti
http://it.wikipedia.org/wiki/Relazioni_diplomatiche_sino-romane
http://it.wikipedia.org/wiki/Parti
http://www.yourself.it/cina-liqian-villaggio-discendenti-antichi-romani/
http://it.wikipedia.org/wiki/Campagne_partiche_di_Marco_Antonio
http://www.metaforum.it/showthread.php/21697-quot-Semo-romani-de-Gansu-quot
http://www.tuttocina.it/mondo_cinese/100/100_bert.htm

sabato 5 novembre 2011

La Cina alla ricerca di Roma: il prode Ban Chao e l'ingenuo Gan Ying


Ban Chao
Uno delle migliaia di chengyu cinesi [frasi idiomatiche, motti, proverbi, entrati nel linguaggio comune] recita: 投筆從戎 [pronuncia: tóu bǐ cóng róng] che vuol dire «Getta il pennello e arruolati». Questa frase allude ad una situazione in cui bisogna abbandonare la vita tranquilla di chi se ne sta chiuso nel suo studio a scrivere, per realizzare sé stessi e le proprie ambizioni tramite una vita attiva ed avventurosa.


Il chengyu si riferisce alla persona di Ban Chao: Chao era nato a Pingling ( l’odierna Xianyang nella provincia dello Shaanxi) nel 32 d.C. Suo padre, Ban Biao, era un storico ufficiale presso l’imperatore ed anche suo fratello, Ban Hu, aveva scritto un libro sulla dinastia Han Occidentale.

[vedi anche: Chengyu: pillole di saggezza cinese]


Zhang Qian
A 30 anni, Ban Chao faceva lo scrivano per il governo locale : Ma a lui non interessava “scrivere” la storia, lui voleva “fare” la storia! Uno dei miti di Ban Chao era il grande Zhang Qian e sognava di compiere delle grandi imprese. Un giorno, mentre copiava dei documenti, pensò ai suoi progetti grandiosi e si agitò talmente da gettare il pennello a terra con uno scatto, dicendo tra sé e sé dopo aver tirato un sospiro: « Un uomo valoroso non ha altro scopo che seguire le orme di Zhang Qian e fare qualcosa per diventare qualcuno in un paese straniero. Come potrei sprecare la mia vita scrivendo?»


[vedi anche: L'incredibile Zhang Qian, che cercando i Yuezhi, trovò la Via della Seta]

E fu così che 73 si arruolò nell’esercito sotto il generale Dou Gu per combattere contro gli Xiongnu. Ben presto fu promosso per l’eroismo dimostrato in battaglia, ma anche per la sua intelligenza e le sue doti nel trattare con i nemici. Il suo motto era: «Se non entri nella tana della tigre, come potrai catturare i suoi piccoli?»

L’imperatore He Di ammirato dal suo talento in campo, lo promosse ben presto generale lo inviò in missione diplomatica nelle regioni occidentali. Ban Chao operò inizialmente nella regione del Tarim combattendo varie popolazioni locali; riuscì a fare quello che a Zhang Qian non era stato possibile: collaborò militarmente con i Yuezhi ( o Kushan), contro incursioni nomadiche dei Sogdiani nell'84 d.C., quando questi ultimi stavano cercando di appoggiare una rivolta del re di Kashgar. Attorno all'85, aiutarono il generale cinese anche in un attacco su Turfan, ad est del Bacino di Tarim. Purtroppo però le cose cambiarono rapidamente: in riconoscimento del loro aiuto ai cinesi, i Kushan richiesero, vedendosela negata, una principessa Han, anche dopo che inviarono dei doni alla corte cinese. Per rappresaglia, marciarono su Ban Chao nell'86 con una forza di 70.000 uomini, ma esausti per la spedizione, vennero infine sconfitti dalla più piccola forza cinese. I Yuezhi si ritirarono e pagarono un tributo all'Impero Cinese durante il regno dell'imperatore He Di .

Ban Chao operò per 30 anni nell’Asia Centrale, sedando numerose ribellioni e stabilendo relazioni diplomatiche con più di 50 stati della regione, che hanno garantito una durevole pace ed armonia lungo la Via della Seta. Nel 91 Ban Chao aveva pacificato le Regioni Occidentali dell’impero ed era stato insignito del titolo di «Grande Protettore delle Regioni Occidentali»

Uno degli episodi più curiosi della vita di Ban Chao fu il tentativo di contattare addirittura l’Impero Romano: allo scopo di stabilire relazioni commerciali dirette con Roma: l’impresa purtroppo non ebbe successo, ma vediamo come è andata.

Nel 97 d.C. Ban Chao attraversò le montagne del Pamir con un esercito di 70.000 uomini in una campagna contro gli Xiongnu [gli Unni] spingendosi a ovest fino al Mar Caspio e all'Ucraina. Giunto fin sulle sponde del Lago d’Aral, il generale decise di inviare un suo ufficiale, Gan Ying, a esplorare il regno persiano e l’Estremo Occidente, cioè l’impero romano di cui i Cinesi avevano conoscenza indiretta. L’emissario partì e, come ci raccontano le cronache cinesi ufficiali del periodo Han, giunse nei pressi del Mar Nero. Qui, deciso a proseguire il viaggio per portare a termine la missione, interrogò i marinai persiani sulla lunghezza della traversata, i quali gli risposero:

«Il mare è vasto e grande, con i venti in favore è possibile attraversarlo in tre mesi, ma se incontrerete la bonaccia può darsi che impiegherete due anni. È per questo che chi si imbarca porta a bordo provviste per tre anni. Per di più c’è qualcosa in questo mare che riesce a rendere un uomo cosí malato di nostalgia, che molti hanno perduto la vita in questo modo. Se l’ambasciatore Gan vuole dimenticarsi la famiglia e la patria, può imbarcarsi».

Gan Ying

Spaventato da queste parole, Gan Ying decise di riprendere la strada del ritorno senza rendersi conto che i Parti avevano deliberatamente esagerato i pericoli della traversata proprio per evitare che l’emissario continuasse il proprio viaggio: era infatti nell’interesse dei mercanti del Vicino Oriente, intermediari delle transazioni commerciali tra l’Asia e il Mediterraneo, che la Cina e l’Impero Romano non entrassero in contatto diretto, anche perché Roma era, a quel tempo, uno dei principali mercati d’esportazione delle sete cinesi.

Gan Ying riportò comunque notizie dell'Impero romano che deve aver ricavato da fonti persiane: egli situava Roma nell'ovest del mare:

«Il suo territorio copre diverse migliaia di lǐ [un li corrisponde a circa 500m], è composto da circa 400 città fortificate. Ha assoggettato molte decine di piccoli stati. Le mura delle città sono di pietra. Hanno istituito una rete di stazioni di posta... Ci sono pini e cipressi ».


Gan Ying descriva anche il sistema “democratico”, l'aspetto fisico e le ricchezze:

«Per quanto riguarda il re, non è una figura permanente ma viene scelto fra gli uomini più degni... La gente è alta e di fattezze regolari. Assomigliano ai cinesi ed è per questo che questa terra è chiamata «Da Qin» [che significa "Grande Cina"]... Il suolo fornisce grandi quantità d'oro, argento e rari gioielli, compreso un gioiello che splende di notte... Hanno tessuti con inserti in oro per formare arazzi e damaschi multicolori e fabbricano vestiti dipinti d'oro e un vestito-lavato-nel-fuoco ».

Infine Gan Ying determina correttamente Roma come il polo principale, posto al terminale occidentale della Via della seta:

«È da questa terra che arrivano tutti i vari e meravigliosi oggetti degli stati stranieri »

E così, per l’ingenuità di Gan Ying sfumò una occasione storica: una eventuale corrispondenza tra Roma e l'Impero cinese avrebbe potuto sconvolgere completamente gli equilibri geopolitici mondiali. Le immense distanze dell'Asia centrale scongiuravano ogni possibile minaccia militare reciproca tra le due superpotenze, che, d'altro canto erano accomunate dall'interesse di eliminare ogni intermediario nella più importante via commerciale dell'antichità, cioè la Via della seta.


Fonti:

http://it.wikipedia.org/wiki/Ban_Chao
http://en.wikipedia.org/wiki/Ban_Chao
http://en.wikipedia.org/wiki/Gan_Ying
http://en.wikipedia.org/wiki/Sino-Roman_relations

martedì 25 ottobre 2011

L'incredibile Zhang Qian, che cercando i Yuezhi, trovò la Via della Seta


Il bacino del Tarim
Alla fine del 1980, nel remoto deserto Taklamakan, nel bacino del Tarim (oggi provincia cinese dello Xinjiang) vennero rivenute delle mummie perfettamente conservate di 3000 anni che avevano lunghi capelli biondo-rossicci, caratteri europei e nessuna caratteristica dell’odierno popolo cinese, tanto che gli archeologi pensano che possono essere stati i cittadini di un’antica civiltà sconosciuta che esisteva nel crocevia tra l’Asia e l’Europa.

Molte delle mummie sono state trovate in buone condizioni, grazie alla secchezza del deserto che ha indotto il disseccamento dei cadaveri. Le mummie condividono molte caratteristiche tipiche dei Caucasici, e molti di loro hanno i capelli fisicamente intatti, hanno colori che vanno dal biondo al rosso al marrone e, in generale, lunghi, riccio e intrecciati. I loro costumi e vesti indicano una comune origine indo-europea neolitica: ad esempio l’uomo di Charchan indossava una tunica rossa e gambali di tartan. Il tessuto trovato con le mummie e uno dei primi tessuti europei e sono simili ai prodotti tessili trovati sui corpi nelle miniere di sale in Austria di circa 1300 a.C. Recentemente un team di ricercatori americani e cinesi ha confermato grazie alla sequenza dei dati del DNA, che le mummie hanno caratteristiche della zona del sud della Russia e dell’Europa occidentale.
L'uomo di Charchan

Gli studiosi in materia hanno elaborato diverse ipotesi sulla origine di queste popolazioni: l'opinione dominante è che fossero Indoeuropei, e potrebbe trattarsi del popolo noto come Tocari nelle fonti classiche, o di un popolo affine. Di questi Tocari non è chiara né la lingua né l'appartenenza etnica. È stato ipotizzato che fossero popolazioni iraniche dell'Asia Centrale affini agli Sciti, ma è anche possibile fossero di origine proto-turca. È verosimile che questi indoeuropei occidentali siano stati i fondatori e primi abitatori delle città-oasi nel deserto di Taklamakan, in Uigur, tra cui si possono citare: Turfan, Kucha, Aksu, Karashahr, Cherchen.



I cinesi chiamavano Yuezhi gli abitanti del bacino del Tarim: diverse fonti storiche in lingua cinese, infatti, fanno cenno all'esistenza di un «popolo bianco dai lunghi capelli» che viveva oltre i confini nord-occidentali della Cina. La prima testimonianza cinese del popolo Yuezhi risale al 645 a.C. per opera del letterato Guan Zhong che nel suo Guan Zi (Scritti del Maestro Guan), fa menzione di un popolo Yuzhi (禺氏) , un popolo del nord-ovest, esportatore di giada, estratta dalle montagne di Yuzhi nella provincia di Gansu. Il commercio della giada dal Bacino del Tarim è documentato sin dall'antichità, anche con il supporto di specifici ritrovamenti archeologici. Secondo il sinologo sovietico Yury Zuev intorno al III secolo a.C. i Yuezhi conquistarono le terre dei Tocari presso le sorgenti del Fiume Giallo. Sempre secondo Zuev le cronache cinesi dell'epoca si riferiscono a questo popolo i Yuezhi Maggiori (Da Yuezhi), in contrapposizione agli Yuezhi Minori (Xiao Yuezhi) con cui indicava il popolo Tocari. Le due popolazioni venivano poi considerate un tutt'uno con il nome appunto di Yuezhi.


Zhang Qian

Fino a qui niente di straordinario:storie di scoperte archeologiche, di teorie sulle origini dei popoli. Ma ecco la incredibile storia di Zhang Qian: nel 138 a.C l'imperatore Wudi della dinastia Han , inviò nelle regioni a nord-ovest, oltre i confini dell’impero, un oscuro funzionario di nome Zhang Qian con cento uomini di scorta alla ricerca del popolo degli Yuezhi al fine di stipulare un'alleanza militare contro i comuni nemici Xiongnu.

Da sempre i cinesi erano minacciati a nord da una popolazione formata da tribù nomadi, gli Xiongnu, che antichissimi resoconti storici cinesi riferiscono discendere dalla prima dinastia cinese, la mitica dinastia Xia. Il loro territorio si estendeva dalla Siberia meridionale, la moderna Mongolia, la Manciuria occidentale e le odierne province cinesi di Gansu e Xinjiang. Questi nomadi erano considerati così pericolosi e distruttivi, che la dinastia Qin iniziò la costruzione della Grande Muraglia per proteggere la Cina dai loro attacchi. Le relazioni fra le prime dinastie cinesi e gli Xiongnu erano complesse, con ripetuti periodi di confronti militari e intrighi alternati a scambi di tributi, commercio e matrimoni combinati a scopo politico. Alcuni storici ipotizzano che gli Unni che invasero l’Europa ne IV secolo d.C. siano parte degli Xiongnu migrati verso ovest dopo la definiva sottomissione delle tribù orientali da parte dei cinesi.



Ovviamente anche gli Yuezhi erano in conflitto continuo con gli Xiongnu: gli Yuezhi praticavano frequentemente lo scambio di ostaggi con i loro nemici. una volta ebbero l’occasione di detenere prigioniero Modu Shanyu, figlio del capo tribù degli Xiongnu. Il padre di Modu decise di sferrare un attacco a sorpresa contro i Yuezhi, che cercarono quindi di ucciderlo per rappresaglia. Modu riuscì fortunosamente a fuggire e tornato in patria uccise suo padre e divenne leader del suo popolo.

In questa veste, intorno al 177 a.C., Modu guidò una poderosa spedizione per invadere il territorio degli Yuezhi nella regione di Gansu, ottenendo importanti successi militari. Fu così che si vantò con l'imperatore cinese Han che «grazie al valore in combattimento dei suoi uomini e alla forza dei suoi cavalli, era riuscito a scacciare gli Yuezhi dalle loro terre, massacrando o costringendo alla sottomissione gran parte delle loro tribù». Il figlio di Modu, Jizhu, riuscì a sua volta ad uccidere il sovrano Yuezhi e, secondo le leggi delle tribù nomadi, ricavò un boccale dal teschio del suo nemico.

Secondo fonti della tradizione storica cinese, da allora una parte del popolo Yuezhi fu sottomesso al dominio degli Xiongnu, mentre una vasta porzione del popolo Yuezhi riuscì a migrare dalla regione di origine verso nord-ovest, insediandosi prima nella valle del fiume Ili subito a nord della catena montuosa dei Tian Shan[ I Monti Celesti] , dove si scontrarono con il popolo dei Sai (o Saci). Secondo il classico della storiografia cinese, Han Shu: «Il popolo Yuezhi attaccò il re del popolo Sai che fuggì molto lontano verso sud, cosicché gli Yuezhi occuparono le sue terre.»

Dopo il 155 a.C la popolazione nomade dei Wusun, nemica degli Yuezhi, si alleò con gli Xiongnu, per scacciare gli antichi nemici ancora più a sud. Fu così che il popolo Yuezhi fu costretto a un nuovo esodo verso le terre della civiltà Dayuan, nella Valle di Fergana, insediandosi lungo la riva settentrionale dell'Osso, nella regione di Transoxiana, fra l'odierno Tagikistan e l'Uzbekistan, poco a nord del regno ellenistico greco-battriano

Nelle cronache cinesi Shi Ji (Memorie Storiche) dello storico Sima Qian, risalente al II-I secolo a.C. Nello Shi Ji si narra che:

«Gli Yuezhi originariamente vivevano nella regione che si trova tra i Monti Qilian e la città di Dunhuang, tuttavia dopo essere stati sconfitti dal popolo degli Xiongnu essi migrarono lontano a occidente, oltre le regioni abitate dagli Dayuan, dove essi attaccarono e conquistarono il popolo Daxia e la loro terra e posero la corte del loro sovrano lungo la sponda settentrionale del fiume Amu Darya. Una piccola parte di questo popolo, tra coloro che non furono in grado di intraprendere il lungo viaggio verso occidente, si rifugiarono fra le popolazioni barbare dei Qiang e vengono detti Yuezhi minori.»

Nel 124 a.C. gli Yuezhi furono impegnati in un conflitto con i Parti, nel quale venne ferito e ucciso il sovrano Artabano I di Partia. Subito dopo questo conflitto, forse per le continue incursioni dei loro nemici da nord, o forse per le rinnovate ostilità dei Parti gli Yuezhi si spostarono ulteriormente a sud verso la Battria.

Questa regione era stata conquistata intorno al 330 a.C. dalle truppe di Alessandro Magno, che vi aveva fondato un regno ellenico. Dopo la sua morte (323 a.C.), il potere effettivo era passato nelle mani dei suoi generali, che si erano divisi le sue immense conquiste. La Persia era stata suddivisa tra vari satrapi macedoni, tra i quali era emersa presto la figura di Seleuco, satrapo di Babilonia, che aveva regnato con il titolo persiano di «Gran Re» su un impero che si estendeva dall'Afghanistan al Mar Egeo.

Durante quegli anni l'attenzione dei Seleucidi era stata concentrata a occidente per le ripetute guerre con L’ Egitto tolemaico e un'invasione di Galli in Asia Minore. Ne avevano approfittato i satrapi delle province più orientali per rendersi indipendenti: Diodoto aveva fondato il regno della Battria, che tuttavia sopravvisse poco a causa dell'invasione degli Yuezhi. La tradizione vuole che la città greca di Alessandria sull’Osso sia stata rasa al suolo dai Yuezhi durante la loro conquista.

E fu proprio durante la loro permanenza in Transoxiana, che i Yuezhi ricevettero l'ambasciata cinese guidata dell'inviato imperiale Zhang Qian: ma come mai l’ambasciatore cinese arrivò solo allora?

il viaggio di Zhang Qian
Ricordate? Zhang Qian, funzionario imperiale, aveva lasciato la capitale Chang’an nel 136 a.C. con cento uomini di scorta con la missione di tentare un’alleanza con i Yuezhi per contrastare i Xiongnu. Purtroppo, attraversando il territorio dei Xiongnu, era stato fatto prigioniero e trattenuto come schiavo per quasi dieci anni. In quel periodo tuttavia era riuscito a guadagnare la fiducia del capo tribù ed aveva anche sposato una donna Xiongnu che gli aveva dato un figlio maschio. Ma il fedele Zhang Qian non aveva mai dimenticato la missione che l’imperatore gli aveva affidato: capitatagli una occasione propizia, fuggì con la moglie e il figlio e attraversando il bacino del Tarim costeggiando i monti Kunlun aveva inseguito gli spostamenti dei Yuezhi e finalmente era giunto ai loro territori dopo ben dodici anni dall’inizio del suo viaggio.

Ma la cosa più beffarda fu che la missione diplomatica si rivelò un insuccesso: l'alleanza con i cinesi venne rifiutata in quanto i Yuezhi, essendosi spostati molto ad ovest, non erano più interessati a contrastare i Xiongnu. Tuttavia la missione di Zhang Qian non fu priva di conseguenze [serendipità …]. L'inviato imperiale ebbe tempo per studiare a fondo la cultura del popolo Yuezhi, del quale fece un dettagliato resoconto nel suo scritto Shiji, considerato un documento fondamentale per la conoscenza della situazione dell'Asia Centrale in questa epoca storica. Zhang Qian trascorse circa un anno ospite degli Yuezhi e fece diverse escursioni in Battria. Nel suo scritto ci rivela che:

«Gli Yuezhi Maggiori vivono a circa 2.000 o 3.000 "li" (circa 1.247 kilometri) a ovest di Dayuan, a nord del fiume Gui (l'Osso). Essi confinano a sud con i Daxia, a ovest con gli Anxi (i Parti), e a nord con i Kangju. Sono una nazione di nomadi, e si spostano da un pascolo all'altro con il loro bestiame, ed hanno costumi molto simili a quelli degli Xiongnu. Il loro esercito è composto da circa 100.000 o 200.000 arcieri.»

Organizzati in cinque tribù principali, ognuna di esse era guidata da un capo tribù detto yabgu.
Sempre grazie alla testimonianza scritta di Zhang Qian, abbiamo anche una descrizione del regno greco-battriano dopo la conquista da parte degli Yuezhi. Scrive il diplomatico cinese:

« Daxia si trova a circa 2.000 li a sud-ovest di Dayuan, a sud del fiume Gui. La sua popolazione è dedita alla coltivazione ed hanno città e abitazioni. I loro costumi sono come quelli dei Dayuan. Essi non hanno un sovrano ma piuttosto piccoli regnanti che governano le varie città. La popolazione non è addestrata a combattere e non ama la guerra, ma è molto abile nel commercio. Dopo che i Yuezhi Maggiori si spostarono a occidente e attaccarono questo popolo, tutta la loro terra è finita nelle mani degli invasori. La popolazione è numerosa, circa 1.000.000 di persone, e la loro capitale è la città di Lanshi (la moderna Balk) dove si trova un grande mercato dove è possibile comprare ogni sorta di mercanzia.»



Ripresa la via del ritorno, Zhang Qian fu nuovamente catturato dai Xiongnu, ma anche questa volta gli fu risparmiata la vita perché fu apprezzato il suo senso del dovere e la compostezza dimostrata di fronte alla morte. Due anni dopo, nel 115 a.C. approfittando della morte del capo dei Xiongnu e dei disordini che si erano creati tra le tribù, Zhang Qian riuscì nuovamente a fuggire ed a tornare in Cina, dove fu accolto con grandi onori, insignito del titolo di «Grande Messaggero» e nominato ministro. Un anno dopo il suo ritorno in patria, Zhang Qian morì.


Zhang Qian
Zhang Qian quindi è stato il primo diplomatico ufficiale di riportare informazioni affidabili su Asia Centrale alla corte imperiale cinese, e ha giocato un importante ruolo pionieristico nella colonizzazione cinese e la conquista della regione ora conosciuta come Xinjiang. Oggi Zhang Qian è considerato un eroe nazionale e riverito per il ruolo fondamentale ha giocato in apertura della Cina verso il mondo degli scambi commerciali.

La sua missione ha portato i cinesi a contatto con gli avamposti orientali della cultura ellenistica; questi contatti portarono immediatamente all'invio di diverse ambasciate da parte della Cina: con il successivo controllo stabilito dall’impero Han sull’Asia Centrale con l’assoggettamento dei Xiongnu venne favorito lo sviluppo dei traffici con l’Occidente che si svolgevano lungo quella che diventò poi la «Via della Seta».


Ma Il contributo dei Yuezhi allo sviluppo dei contatti tra Oriente ed Occidente non finisce qui: nel secolo successivo, la tribù Yuezhi del Guishuang (貴霜) ottenne la supremazia sugli altri, e unificò la regione formando una solida confederazione. Il nome Guishuang fu adottato ad occidente e modificato in Kushan o Kusana per designare la confederazione, per quanto i cinesi continuassero a chiamarli Yuezhi.

Ottenendo gradualmente il controllo dell'area dalle tribù indo-scitiche, i Kusana si espansero a sud nella regione tradizionalmente nota come Gandhara, un'area che copre principalmente il Potohwar pakistano ma che si stende anche in un arco che include la valle di Kabul e parte di Kandahar in Afghanistan. Fondarono capitali gemelle nei pressi delle odierne Kabul e Peshawar allora note come Kapisa e Pushklavati.


I Kusana fecero loro molti elementi della cultura ellenica della regione della Battriana, in cui si erano insediati. Adattarono l'alfabeto greco (spesso alterandolo) per rispondere alle esigenze del loro linguaggio (sviluppando la lettera Þ "sh", come in "Kushan") e ben presto cominciarono a coniare monete di foggia greca. Poi gradualmente iniziarono ad adottare anche la cultura indiana come gli altri gruppi nomadi che avevano invaso l'India. Il primo grande imperatore Kusana sembra avesse adottato lo Sivaismo, come indicato dalla sue monete. I successivi imperatori incarnarono un'ampia varietà di dei Indiani o dell'Asia Centrale, così come Buddha.

All'apice della dinastia i Kushan controllavano un territorio che si estendeva dal Mare di Aral, attraverso gli odierni Uzbekistan, Afghanistan e Pakistan, fino all'India Settentrionale.

L'unità non stringente e la relativa pace di un tale vasto territorio incoraggiarono i commerci a lunga distanza, portò le sete cinesi a Roma e creò file di centri urbani fiorenti. Il dominio dei Kushan collegò le rotte commerciali marine dell'Oceano Indiano con quella della Via della Seta, attraverso la valle dell’Indo. Fiorirono anche gli scambi culturali, incoraggiando lo sviluppo del Buddhismo greco, una fusione di elementi culturali ellenistici e buddhisti, che si sarebbe espanso nell'Asia centrale e settentrionale come buddhismo Mahayana.

I Kusana furono infine un elemento di cerniera tra l’Impero Romano e quello cinese. Diverse fonti romane descrivono la visita di ambasciatori dei re di Bactria e India, durante il II secolo, riferendosi probabilmente ai Kushan. Elio Spartiano, parlando dell'imperatore Adriano (117-138 d.C.) nella sua Historia Augusta scrive:

«Reges Bactrianorum legatos ad eum, amicitiae petendae causa, supplices miserunt»
«I re dei Bactriani gli inviarono ambasciatori supplici, per ottenere la sua amicizia»

Anche nel 138, secondo Sesto Aurelio Vittore (Epitome‚ XV, 4),Antonino Pio, successore di Adriano, ricevette ambasciatori indiani, bactriani (Kushan).

La cronaca storica cinese dell'Hou Hanshu descrive inoltre lo scambio di merci tra l'India nord-occidentale e l'Impero Romano dell'epoca:

«Ad ovest (Tiazhu, India nord-occidentale) comunica con Da Qin (l'Impero romano). Cose preziose dal Da Qin si possono trovare qui, così come fini vesti in cotone, eccellenti tappeti di lana, profumi di ogni sorta, pani dolci, pepe, zenzero e sale nero.»

Durante i I e il II secolo, l'Impero Kushan si espanse militarmente verso nord e occupò parti del Bacino del Tarim, loro luogo di origine, mettendole al centro del redditizio commercio centro-asiatico con l'Impero Romano. Viene riportato che collaborarono militarmente con i cinesi, contro incursioni nomadiche, in particolare quando collaborarono con il generale cinese Ban Chao contro i Sogdiani nell'84 d.C., quando questi ultimi stavano cercando di appoggiare una rivolta del re di Kashgar. Attorno all'85, aiutarono il generale cinese anche in un attacco su Turfan, ad est del Bacino di Tarim. In riconoscimento del loro aiuto ai cinesi, i Kushan richiesero, vedendosela negata, una principessa Han, anche dopo che inviarono dei doni alla corte cinese. Per rappresaglia, marciarono su Ban Chao nell'86 con una forza di 70.000 uomini, ma esausti per la spedizione, vennero infine sconfitti dalla più piccola forza cinese. I Yuezhi si ritirarono e pagarono un tributo all'Impero Cinese durante il regno dell'imperatore Han He (89–106 d.C.). Più tardi, attorno al 116, i Kushan fondarono un regno incentrato su Kashgar, prendendo inoltre il controllo di Khotan e Yarkand, che erano dipendenze cinesi nel Bacino del Tarim.

Seguendo queste interazioni, gli scambi culturali aumentarono ulteriormente, e i missionari buddhisti kushan come Lokaksema, Zhigian e Dharmaraksa, divennero attivi nelle città capitali cinesi di Luoyang e talvolta di Nanjing, dove si distinsero particolarmente per i loro lavori di traduzione delle scritture Hinayana e Mahayana in Cina, contribuendo enormemente alla diffusione del Buddhismo sulla Via della Seta.

A partire da Chang’an attraversava il corridoio del Gansu e a Dunhuang si divideva in due strade: una si volgeva verso nord-ovest e costeggiava il bordo settentrionale del bacino del Tarim, toccando Turfan, Karashahr, Kucha e Kashgar, quindi raggiungeva il Fergana, attraversando i monti del Pamir e si dirigeva verso il mediterraneo passando per Merv, Ctesifonte e Palmira. L’altra volgeva verso sud-ovest e costeggiava il bordo meridionale del bacino del Tarim, toccando Shanshan (Loulan), Kotan e Yarkand, quindi attraversava i monti del Pamir e giungeva a Bactra (Balkh); di qui partivano due percorsi, uno diretto verso l’India, l’altro diretto verso il Mediterraneo

E  come tutte le parabole umane,a partire dal III secolo l'Impero Kushan iniziò a frammentarsi in vari sottoregni fino a che i resti dell’ impero Kushan vennero definitivamente spazzati via dall’invasione degli Unno Bianchi nel V secolo e successivamente dall’espansione dell’Islam … ma intanto avevano cambiato in modo irreversibile le relazioni Oriente-Occidente.

Fonti:

http://ilfattostorico.com/2010/03/16/le-mummie-del-bacino-del-tarim/
http://salinguerra.wordpress.com/2009/08/11/le-mummie-di-tarim/
http://en.wikipedia.org/wiki/Zhang_Qian
http://monkeytree.org/silkroad/zhangqian.html
http://it.wikipedia.org/wiki/Xiongnu
http://it.wikipedia.org/wiki/Yuezhi
http://it.wikipedia.org/wiki/Dinastia_Han

lunedì 17 ottobre 2011

Alessandro Magno, il suo impero confinava con la Cina

Alessandro Magno (356 – 323 a.C.) fu re di Macedonia a partire dal 336 ed è conosciuto anche come Alessandro il Conquistatore: è considerato infatti uno dei più celebri conquistatori e strateghi della storia. In soli dodici anni conquistò l'intero Impero Persiano, dall'Asia Minore all'Egitto fino agli attuali Pakistan, Afghanistan e India settentrionale. Le sue vittorie sul campo di battaglia, accompagnate da una diffusione universale della cultura greca e dalla sua integrazione con elementi culturali dei popoli conquistati, diedero l'avvio al periodo ellenistico della storia greca. Un merito non secondario dell’azione di Alessandro è stato l’avvio dell'apertura della Via della Seta, unione dell'Estremo Oriente con l'Occidente, diretta conseguenza dell'espansione del suo impero verso l'Asia Centrale fino alla valle di Fergana, ai confini della provincia cinese dello Xinjiang. Alessandro morì per cause misteriose a Babilonia, a soli 33 anni: dopo la sua morte, l'impero venne suddiviso tra i generali che lo avevano accompagnato nelle sue conquiste, costituendo di fatto i regni ellenistici, tra cui quello Tolemaico in Egitto, quello degli Antigonidi in Macedonia e quello dei Seleucidi in Siria, Asia Minore, e negli altri territori orientali.



L'antica Macedonia
Ma chi erano questi Macedoni? Gli studiosi moderni li hanno definiti come un popolo indoeuropeo insediato già nel II millennio a.C. nella regione balcanica che da loro ha preso il nome. Impossibile affermare con sicurezza se i Macedoni fossero greci: le testimonianze del macedone antico sono troppo scarse e potrebbe trattarsi sia di una lingua greca, sia di una lingua in parte grecizzata. Rimane il fatto che per lungo tempo vennero considerati popolazione semi-barbara dagli abitanti delle colonie greche a loro sottomesse.

La Macedonia tuttavia entra da protagonista nella storia greca con Filippo II, il re della dinastia degli Argeadi che prende il potere nel 356 a. C. Filippo II - padre di Alessandro - in un primo tempo riorganizza il regno di Macedonia, creando una vera e propria corte di nobili .

Filippo II
Successivamente Filippo riesce ad approfittare della debolezza delle poleis greche, in continua lotta per l’egemonia e al tempo stesso minacciate dalla potenza persiana. Con la battaglia di Cheronea (338 a. C.) ottiene un successo decisivo contro la coalizione antimacedone formata essenzialmente da Atene e da Tebe. Subito dopo si mette a capo di una lega panellenica, con l’obiettivo di intraprendere la guerra contro la Persia. Si sta già svolgendo la fase preparatoria della spedizione, quando però Filippo viene assassinato (336 a. C.) da Pausania, un ufficiale della guardia, a seguito di una congiura di palazzo di cui le fonti antiche danno varie e talvolta fantasiose spiegazioni. Lo stesso figlio Alessandro e sua madre Olimpiade, terza moglie di Filippo, sono sospettati di essere gli istigatori della congiura, se è attendibile il racconto di Plutarco.

E qui inizia la parabola di Alessandro: fisicamente non era avvenente ma era tozzo e di corporatura robusta; aveva gli occhi di colore diverso (uno blu l'altro marrone, o forse uno sull'azzurro e l'altro nero), mentre la sua voce era aspra. Fra gli scultori del tempo, Lisippo ritraeva molto fedelmente il giovane Alessandro: nel realizzare il ritratto di Alessandro trasformò il difetto fisico - che obbligava il giovane re a tenere la testa sensibilmente reclinata su una spalla - in un atteggiamento verso l'alto che sembra alludere a un certo rapimento celeste, «un muto colloquio con la divinità».

Alessandro ritratto da Lisippo
La sua educazione fu curata particolarmente: ebbe come maestro il filosofo Aristotele, da cui Alessandro apprese l'amore per la medicina, per la filosofia, e per la letteratura. Alessandro resterà legato a quest’uomo per tutta la vita, sia come amico che come confidente. Di lui diceva: «Mio padre Filippo, dandomi la vita, mi ha fatto scendere dal cielo in terra; Aristotele, con la sua istruzione, mi ha fatto risalire dalla terra al cielo». Tra i vari autori quello che preferiva era Omero, di cui ammirava soprattutto l'Iliade: Alessandro giudicava questo poema un testo fondamentale di virtù bellica e non se ne separava mai. Dimostrò ben presto un carattere inflessibile, desideroso di gloria e fama, ma mitigato da un forte senso del dovere. La moderazione, la lealtà, ed il coraggio sono altre doti che i biografi antichi gli attribuiscono. Si racconta che un giorno alla corte macedone fu portato uno splendido cavallo, ma scontroso e intrattabile: Alessandro fu l'unico capace di domarlo. Quel cavallo era Bucefalo, che divenne il suo fedele compagno in ogni battaglia, morendo durante la campagna indiana.

Alessandro e Diogene


Un altro famoso aneddoto su Alessandro, riferisce al suo incontro con il filosofo cinico Diogene, che viveva in una botte, disprezzando le consuetudini sociali e rinunciando a tutti i beni superflui. Per provocarlo, Alessandro gli mandò un vassoio pieno di ossi e lui lo accettò e gli mandò a dire causticamente: «Degno di un cane il cibo, ma non degno di re il regalo». In seguito – come riferisce Plutarco in Vite Parallele - «Il re in persona andò da lui e lo trovò che stava disteso al sole. Al giungere di tanti uomini egli si levò un poco a sedere e guardò fisso Alessandro. Questi lo salutò e gli rivolse la parola chiedendogli se aveva bisogno di qualcosa; e quello: − “Scostati un poco dal sole”. A tale frase si dice che Alessandro fu così colpito e talmente ammirò la grandezza d'animo di quell'uomo, che pure lo disprezzava, che mentre i compagni che erano con lui, al ritorno, deridevano il filosofo e lo schernivano, disse: − «Se non fossi Alessandro, vorrei essere Diogene».

Dopo la morte del padre, Alessandro deve immediatamente consolidare il proprio potere. In primo luogo, con il pretesto di individuare e punire i mandanti dell’assassinio del padre, elimina tutti i membri della famiglia reale che potevano avanzare pretese dinastiche. Poi, con la campagna di Illiria (335 a. C.) sconfigge tutti i popoli dell’area centrale balcanica per proteggere meglio i confini settentrionali della Macedonia, ed infine impone la sua egemonia alla Grecia. L’unica città che si ribella apertamente è Tebe, che viene assediata e distrutta. Alessandro vuole che sia risparmiata dalla distruzione solo la casa del poeta Pindaro, per sottolineare di essere ammiratore e sostenitore della cultura greca. Subito dopo riprende il programma del padre e guida la grande spedizione che, in dieci anni, lo porterà a sottomettere l’impero persiano e spingersi oltre, fino all’Asia centrale e all’Indo, prima di rientrare a Babilonia, scelta come capitale dell’impero.

L’ostilità tra Macedoni, Greci e Persiani risale a molto tempo prima: nel 499 a.C., istigati da Aristagora, tiranno di Mileto, le colonie ioniche avevano costituito la cosiddetta «lega ionica» ribellandosi ai satrapi persiani locali. Galvanizzati dal successo, ai ribelli si erano uniti le città dell'Ellesponto, della Caria e di Cipro. La reazione di Dario I dei persiani fu a questo punto durissima: a una a una costrinsero alla resa le città greche, finché nel 494 a.C. schiacciarono definitivamente la rivolta. Nel 492 a.C. Mardonio, generale di Dario I tentò l'impresa della conquista greca, dopo aver eliminato tutti i tiranni nelle poleis asiatiche e soggiogato il regno di Alessandro I di Macedonia, ma fallì a causa di una terribile tempesta presso il monte Athos, nella penisola calcidica, che distrusse la flotta.

Nonostante l'insuccesso, nel 490 la spedizione fu ritentata sotto il comando del generale Artaferne. La flotta persiana passò per Samo, espugnò Nasso, sottomise il resto delle isole Cicladi e proseguì verso Eretria e la distrusse. Atene a quel punto si ritrovò da sola a fronteggiare l'esercito persiano, ma grazie alle capacità militari di Milziade riuscì a resistere . I Persiani furono sconfitti nella battaglia di Maratona e respinti sulle navi. Secondo il mito l'esito positivo di questo scontro fu riportato direttamente dal campo di battaglia ad Atene da Filippide: la sua impresa che consisté nel ricoprire tale distanza correndo è ricordata ancor oggi con, appunto, la gara atletica della «maratona».

Nel 486 a Dario I succedette Serse I. Il figlio decise di vendicare la sconfitta paterna e organizzò subito una nuova spedizione. Se la guerra portata da Dario doveva configurarsi solamente come spedizione punitiva nei confronti delle città che avevano aiutato i rivoltosi ionii, l'impresa di Serse si poneva, invece, intenti di espansione e conquista territoriale del continente greco, al fine di ridurlo a satrapia dell'Impero.

Di fronte al pericolo i rappresentanti delle poleis greche decisero di costituire un'alleanza difensiva, conosciuta come «lega panellenica», sotto il comando del re Leonida di Sparta. Ma nonostante i progetti di iniziativa comune, i Greci si presentarono sostanzialmente divisi di fronte all'invasione: gli Spartani premevano perché si affrontassero i Persiani sulla terraferma e lo si facesse all'imbocco del Peloponneso, presso l'istmo di Corinto, che nel frattempo veniva fortificato; gli Ateniesi ritenevano invece che fosse preferibile opporsi con la flotta. Prevalse il piano spartano, ma gli Ateniesi spinsero perché si cercasse di fermare il nemico più a nord. A causa di questi contrasti, e giudicando erroneamente che Serse fosse ancora lontano, solo un ristretto contingente si posizionò al passo delle Termopili, che era la strettoia obbligata verso la Grecia centrale, per sbarrare la strada ai nemici. Nell'agosto del 480 avvenne lo scontro tra i due eserciti. Dopo giorni di combattimento, mentre, poco distante, le forze navali nemiche si fronteggiavano senza che l'una riuscisse a prevalere nettamente sull'altra presso Capo Artemisio, il grosso dell'esercito greco si ritirò, tranne i trecento Spartani di Leonida e i settecento Tespiesi che, circondati dai nemici per il tradimento di Efialte, il quale aveva indicato ai Persiani un sentiero montano per aggirarli, si sacrificheranno per ritardare l'avanzata persiana e dare tempo agli alleati di ripiegare.


La battaglia delle Termopili
Superato il passo, i Persiani dilagarono in Grecia. L'Attica e la Beozia furono devastate, Atene venne saccheggiata e data alle fiamme. La flotta greca, però, era ancora pressoché integra, e a questo punto prevalse la strategia della battaglia per mare dell'ateniese Temistocle: a un mese dalla disfatta delle Termopili, in settembre, avvenne la decisiva battaglia navale presso l’isola di Salamina, vinta dai Greci, che indicò la via per avere ragione della flotta persiana, più numerosa, ma che usava navi troppo grandi e difficilmente maneggiabili in quel tratto così stretto di mare. L'anno dopo (478 a.C.) le città ionie dell'Asia Minore furono liberate da una flotta greca guidata dallo spartano Pausania.

Nel trentennio successivo continuarono gli scontri con i Persiani. Cimone, il nuovo stratega ateniese a capo della Lega di Delo, distrusse l'armata e la flotta persiane nel 467 a.C. presso il fiume Eurimedonte in Asia Minore. Alla fine nel 449 a.C. con il contributo di Pericle (di fatto capo di Atene) venne stipulata la pace di Callia: si trattava in definitiva di un trattato di non-aggressione, dove si stabilì l'autonomia delle città greche dell'Asia Minore, benché facenti parte dell'Impero Persiano, il controllo dei Persiani su Cipro e il divieto per le navi da guerra persiane di entrare nel Mar Egeo. Ma i sovrani persiani non rinunciarono mai alle loro mire sulla Grecia e si occuparono sempre di seminare zizzania fra le varie poleis finanziandone ora l'una ora l'altra, o addirittura le fazioni politiche all'interno di una stessa città.

E’ con queste premesse che, ben un secolo dopo, nella primavera del 334 Alessandro, dopo aver consolidato la sua posizione in Grecia , iniziò le ostilità contro i Persiani, sbarcando in Asia Minore con un esercito di circa 40.000 uomini, al comando di Parmenione. Ad Aristotele, che cercava di trattenerlo da questa impresa dicendo. «Aspetta di aver raggiunto la maggiore età: combatterai con maggior prudenza. », Alessandro aveva risposto: «È vero, ma nel frattempo perderei lo slancio della giovinezza. »


La falange macedone
Del suo esercito Alessandro fece uno strumento di formidabile efficienza: perfezionò innanzitutto la falange, rendendola irresistibile nell'urto e insuperabile nella difesa. Il fattore veramente nuovo nell'organizzazione militare di Alessandro fu tuttavia l'impiego della cavalleria, che divenne l'arma offensiva per eccellenza. La falange era destinata ad agganciare e a trattenere il grosso del nemico mentre la cavalleria pesante caricava a fondo non solo la cavalleria ma anche la fanteria avversaria. Lo schema di tutte le grandi battaglie di Alessandro presenta sostanzialmente le stesse caratteristiche: la massa delle fanterie posta al centro su due colonne, la cavalleria alle ali, con i reparti scelti a destra e comandati personalmente da lui. L'urto di questa cavalleria decideva le sorti della battaglia: Alessandro attaccava il nemico sempre su un fianco oppure avviluppava il centro avversario in una vigorosa manovra di doppio aggiramento, valorizzando al massimo il combattimento d'ala. Il genio militare di Alessandro non fu però mai prigioniero di una formula, ma si adattava senza posa alle contingenze. Uomo d'azione, prendeva e manteneva sempre l'iniziativa sul nemico partecipando personalmente alle battaglie più sanguinose. Tattico geniale, fu anche stratega accorto. Dopo la vittoria sfruttava il successo con l'inseguimento e la distruzione del nemico, con il controllo delle piazzeforti, la conquista dei magazzini e dei tesori avversari. Ebbe per regola costante di tenere unite le sue forze senza lasciarsi distrarre da scopi secondari a scapito dell'obiettivo principale; comprese la necessità di procurarsi in tempo notizie sul nemico e di garantire il suo esercito da sorprese e impiegò quindi largamente la cavalleria anche nel servizio di avanscoperta e di esplorazione lontana. Nel suo esercito non mancavano infine le macchine da guerra: torri su ruote, arieti, catapulte leggere per il lancio dei giavellotti e pesanti per quello delle pietre. Questo apparato tecnico era completato da reparti di zappatori e di pontieri, dagli addetti ai servizi dei trasporti, all'intendenza per il rifornimento dell'esercito con acquisti e requisizioni, al servizio sanitario, a una sezione topografica e al servizio dei dispacci che disponeva di corrieri e di stazioni di segnalazione ottica.

Nel maggio dello stesso anno, presso il fiume Granico, vicino al sito della leggendaria Troia, si svolse il primo scontro vittorioso contro i Persiani. L'Asia Minore era ormai aperta alla conquista macedone. Mentre il grosso dell'esercito svernava in Lidia al comando di Parmenione, Alessandro passò in Licia, in Panfilia, in Pisidia e in Frigia; L'intento di Alessandro era quello di conquistare tutte le città costiere impedendo l'attracco alle navi nemiche; nel frattempo si ebbe la notizia della morte di un figlio di Dario, ucciso per ordine dello stesso padre in quanto era in procinto di tradirlo. Alessandro nel giugno del 333 a.C. entrò nella Cilicia arrivando dopo molte miglia a Tarso.

A novembre, infine, il re persiano, temendo che l'inverno lo costringesse a ritirarsi nei quartieri invernali senza aver fermato Alessandro, gli venne incontro. Entrambi non sapevano esattamente dove si trovasse l'altro. Arrivato ad Isso, Dario trovò solo gli uomini abbandonati dal re avversario, in quanto non erano più utili all'imminente battaglia perché feriti o malati; il suo nemico si trovava a sole quindici miglia circa più a sud. Lo scontro iniziò alle cinque e mezzo del primo novembre. La battaglia si concluse con una completa disfatta dei Persiani: vennero catturati, oltre ad un immenso bottino, anche alcuni familiari di Dario tra cui sua madre. Il Grande Re perse le sue migliori truppe, quasi tutti i più validi ufficiali del suo esercito e soprattutto il proprio prestigio di condottiero, distrutto dalla sua precipitosa fuga davanti al nemico.

Alessandro rifiutò le proposte di pace di Dario preferendo la via della conquista all'accontentarsi dei numerosi territori fino a quel momento assoggettati. Invece di proseguire immediatamente verso l'Asia preferì entrare in Egitto al fine di coprire le spalle al suo esercito prima della spedizione successiva. Si dedicò quindi alle città costiere - Biblo e Sidone e Tiro, che cedettero rapidamente - per eliminare le ultime basi della flotta persiana.

Ma Dario insisteva con le sue proposte di pace: questa volta alla proposta erano allegati molti doni fra cui 10.000 talenti, la mano di sua figlia e il possesso di un vasto territorio sino all'Eufrate. Vi fu qui una celebre conversazione fra Alessandro e il suo generale Parmenione: «Se io fossi Alessandro, accetterei la tregua e concluderei la guerra senza più correre altri rischi». «Lo farei se fossi Parmenione; ma io sono Alessandro e come il cielo non contiene due soli, l'Asia non conterrà due re». Infatti, saputo del secondo rifiuto, Dario si dedicherà a radunare un esercito ancora più vasto del precedente.

Gerusalemme aprì le porte e si arrese. Nel novembre del 332 Alessandro iniziò il viaggio verso l'Egitto; superato dopo tre giorni il deserto, giunse in quelle terre venendo accolto come un liberatore e facendosi consacrare faraone: qui, infatti, il giogo persiano era maggiormente avvertito e poco accettato, poiché solo dodici anni prima il popolo era libero dal potere dei Persiani.

All'inizio del 331 a.C., sulle rive del Nilo, Alessandro decise di edificare una grande città che testimoniasse la sua grandezza; si racconta però che dopo un sogno, nel quale gli furono recitati alcuni versi dell'Odissea sull'isola di Faro, decise di costruirla nella regione del Delta del Nilo su una stretta lingua di terra tra la palude Mareotide ed il mare. Egli stesso disegnò la disposizione di piazze e mura da costruire. La città venne chiamata Alessandria d’Egitto.


Alessandria d'Egitto
Dopo un anno di sosta nel regno egiziano ritornò in Asia. Nella primavera del 331 Alessandro riprese la marcia verso oriente dove Dario aveva radunato un esercito nelle pianure dell'Assiria, luogo dove il sovrano persiano riteneva di sfruttare al meglio la propria superiorità numerica.

Dopo vari tentativi di Dario di confondere le truppe di Alessandro con finti attacchi e depistaggi, lo scontro avvenne presso il villaggio di Gaugamela nei pressi delle rovine di Ninive . La battaglia fu di vitale importanza per Alessandro. Si racconta che egli avesse solo 30.000 fanti e 3.000 cavalieri contro un milione di Persiani. Dello scontro nessuno storico poté dare un resoconto certo per via dell'enorme confusione creatasi: durante lo scontro la visibilità era ridotta di molto in quanto si poteva vedere ad una distanza di 4-5 metri ma non di più. Ci fu un attacco diretto da parte di Alessandro nei confronti del re nemico: il macedone colpì il cocchiere di Dario con una lancia uccidendolo. Il sovrano persiano, perso il carro, fuggì su di una giovane cavalla. Senza il comando reale le truppe rimanenti furono facile preda dei Macedoni, in quanto i Persiani pensavano che fosse il re ad essere stato trafitto dalla lancia:e quando si fece buio la battaglia terminò con la disfatta dei persiani. Alla fine di ottobre Alessandro entrò in Babilonia dove ottenne la sottomissione del satrapo Mazeo. Qui riposò circa cinque settimane ed ebbe tempo per osservare i giardini pensili costruiti da Nabucodonosor.


I giardini pensili di Babilonia
Si diresse quindi a Susa, raggiungendola in venti giorni, per impadronirsi dei tesori che vi si conservavano. A Susa il macedone si volle sedere sul trono del re persiano, evento tanto atteso dai sudditi a tal punto che Demarto non riuscì a trattenere le lacrime pensando ai morti lungo il percorso che persero tale spettacolo. Nel mese di gennaio dell'anno 330 Alessandro entrò infine a Persepoli, capitale dell'Impero Persiano, dove trovò circa centoventimila talenti di metallo prezioso non coniato.

Dario aveva intanto trovato rifugio ad Ecbàtana, dove fu raggiunto dai suoi uomini di fiducia (Besso, Barsaente, Satibarzane, Nabarzane, Artabazo).Nel maggio del 330 Alessandro marciò verso Ecbàtana, che si trovava a 450 miglia di distanza da Persepoli. Durante il tragitto ricevette alcuni rinforzi, arrivando ad un totale di 50.000 uomini. Ad Ecbàtana, Alessandro congedò i contingenti delle città greche, poiché il compito di vendicare l'invasione della Grecia da parte di Serse era ormai concluso.


Dario I di Persia
Dario, sapendo della velocità con cui il suo nemico si stava muovendo, cambiò i suoi piani, non dirigendosi più verso Balkh (in Afghanistan) come aveva in precedenza previsto, ma verso le Porte Caspie, anche se fra i suoi uomini iniziarono a manifestarsi i primi dissensi. Durante la marcia l'esercito macedone patì la sete e molti soldati morirono lungo la strada. Il re macedone venne a conoscenza dei movimenti di Dario quando si trovava a Rei, vicino a Tehran. Raggiunse quindi il passo ma ad attenderlo c'erano due messaggeri che lo informarono di una rivolta iniziata da Besso, Barsaente e Satibarzane –satrapi della Battriana - contro il loro re. Alessandro decise di raggiungere Besso, essendo a conoscenza del luogo dove Dario era tenuto prigioniero; scelse 500 opliti, che fece montare a cavallo al posto dei cavalieri, e galoppò di notte percorrendo ottanta chilometri, arrivando poi all'alba a Damgham, dove giunsero in 60. Besso nel frattempo si era ritirato nei suoi territori: spaventati dall’ improvviso arrivo di Alessandro, i due satrapi rimasti, Barsaente e Satibarzane , pugnalarono il prigioniero e fuggirono. Alessandro non fece in tempo a vedere in vita il suo rivale un'ultima volta. In ogni modo il conquistatore macedone, dopo aver coperto il cadavere con il suo mantello, lo riportò indietro e lo fece seppellire con tutti gli onori nelle tombe reali.

Con l’obiettivo di annientare le ultime resistenze persiane e di colpire gli assassini di Dario, Alessandro giunse prima in Battriana, vicino a Mashhad dove cadde Satibarzane; per onorare la vittoria venne fondata un'altra città, Alessandria degli Arii,[ la futura Herat] poi si diresse verso l'Aracosia, arrivando in Drangiana [l'attuale Afghanistan occidentale]. Barsaente, sapendo del suo arrivo, preferì fuggire presso una popolazione indiana del Punjab, che però lo tradì consegnandolo al conquistatore macedone che lo condannò a morte per l'omicidio di Dario. In queste regioni il re macedone fondò una serie di città con il nome di Alessandria, tra cui quella nota con il nome di Alessandria del Caucaso, e un'altra presso l'attuale Kandahar, in Afghanistan.

Rimaneva solo Besso, che nel frattempo si era autoproclamato imperatore di Persia, col nome di Artaserse V: dopo aver indugiato per alcuni mesi per l’inverno, Alessandro ripartì alla caccia di Besso e arrivò nei suoi territori [il massiccio dell'Hindu Kush, nell’odierno Uzbekistan ai confini tra Afghanistan e Pakistan]. Scendendo l'Hindu Kush, i soldati macedoni dovettero affrontare la fame; il cibo era scarso e non trovando foraggio per gli animali, molti di essi vennero uccisi per cibarsi delle loro carni. Attraversando Kunduz, Alessandro arrivò sino a Balkh [provincia settentrionale dell’Afghanistan al confine con l’Uzbekistan]. Ma infine Besso fu tradito a sua volta da un suo generale, Spitamene, [vatti a fidare dei satrapi!] che lo fece prigioniero: una corte di giustizia persiana lo dichiarò colpevole di alto tradimento, venendo infine giustiziato ad Ecbàtana. L'agire di Spitamene non fu inizialmente chiaro ad Alessandro che pensava volesse arrendersi, mentre voleva invece solo disfarsi di un alleato poco affidabile. Successivamente la tattica di Spitamene apparve chiara: attaccare la parte dell'impero rimasta scoperta dall'assenza di Alessandro: iniziò cosi una tattica di guerriglia che inflisse numerose perdite alle forze di Alessandro, ma alla fine anche Spitamene fu tradito ed ucciso dai suoi alleati. [come volevasi dimostrare …]

Alessandro, dopo aver assoggettato la regione della Sogdiana, giunse ai confini dell'odierno Turkestan cinese, dove fondò un'altra Alessandria, che chiamò Eschate [che significa «Ultima»], l'odierna Khujand, capitale della provincia più settentrionale del Tagikistan, ora chiamata Sughd [Sogdiana]. Soggiornò ancora a Samarcanda e nella Bactriana. Sposò Rossane, figlia di un comandante della regione, per rafforzare il suo potere in quei territori.

Sembrava tutto concluso: ma il proposito di Alessandro di unificare in un solo popolo Greci e Persiani e soprattutto la sua idea di dare un carattere divino alla monarchia, cominciarono ad alienargli le simpatie del suo seguito. Come continuatore dell'impero achemenide, Alessandro vagheggiava un impero universale e si proponeva forse di arrivare con le sue conquiste fino al limite orientale delle terre emer
Gran parte dell'India nord-occidentale era stata sottomessa dai persiani al tempo di Dario I, ma in questo periodo la regione era suddivisa in vari regni in lotta tra loro. Alessandro aveva forse intenzione di arrivare fino alla vallata del Gange, ma l'armata macedone giunta sul fiume Ifasi [oggi Beas], stanca dell'idea di proseguire una lunga campagna contro i potenti indiani (il regno Maghada stava attrezzando un potente esercito di centinaia di migliaia di soldati e migliaia di elefanti che spaventava i macedoni) fra giungle monsoniche, febbri malariche ed elefanti da guerra, si rifiutò di seguirlo oltre verso est.

Nel 324 Alessandro giunse nuovamente a Susa, dove venne a conoscenza della cattiva amministrazione messa in atto dai satrapi da lui un tempo graziati; fece procedere immediatamente ed energicamente contro i colpevoli, sostituendone molti con governatori macedoni.

Non soddisfatto dei suoi successi, durante i preparativi di invasione dell'Arabia e la costruzione di una flotta con cui intendeva attaccare i domini cartaginesi, venne colpito da una malattia che lo portò alla morte il 10 giugno del 323. Nel suo testamento commissionava la costruzione di magnifici templi in diverse città, la costruzione di un mausoleo intitolato a suo padre (che avrebbe dovuto rivaleggiare in imponenza con le piramidi egizie), la prosecuzione dell'unione fra Persiani e Greci, la conquista dei territori cartaginesi (Nord Africa, Sicilia e Spagna), l'espansione verso occidente e la costruzione di una strada in Africa lungo tutta la costa; i suoi successori ignorarono gran parte del testamento ritenendolo eccessivamente megalomane e inattuabile.

Sulle cause della sua morte sono state proposte varie teorie: l'avvelenamento da parte dei figli di Antipatro o da parte della moglie Rossane, una ricaduta della malaria che aveva contratto nel 336; infine, secondo congetture più recenti, per una cirrosi epatica provocata dall'abuso di vino.

Tutto vero? Le fonti storiche coeve di Alessandro Magno sono andate tutte perdute. Scrissero di lui, subito dopo le sue conquiste e la sua morte molti dei testimoni e dei protagonisti stessi degli eventi: lo storico di corte Callistene,il generale Tolomeo, l’architetto militare Aristobulo e l’ammiraglio delle flotte Nearco.

Gli storici successivi che trattarono le sue vicende «preferirono il meraviglioso al vero» come dice Strabone, cioè riportarono notizie frammentarie con molto uso di fantasia. Furono: Arriano - dopo più di 400 anni - storico di Nicomedia che scrisse Le campagne di Alessandro; Curzio Rufo, storico latino che scrisse Storia di Alessandro; Plutarco di Cheronea, storico greco che scrisse Vita di Alessandro e Virtù di Alessandro.

Molti racconti leggendari furono poi raccolti ad Alessandria d'Egitto, in anni ancora successivi, in un Romanzo di Alessandro, falsamente attribuito a Callistene . Questo libro ebbe gran diffusione nell'antichità e nel Medioevo, con numerose versioni e revisioni. Fu tradotto in latino, siriaco, arabo, persiano e in lingue slave.


Riferimenti bibliografici

http://it.wikipedia.org/wiki/Alessandro_Magno
http://it.wikipedia.org/wiki/Filippo_II_di_Macedonia
http://it.wikipedia.org/wiki/Guerre_persiane
http://it.wikipedia.org/wiki/File:Citt%C3%A0_fondate_da_Alessandro_Magno_ver.29-01-07.jpg
http://it.wikipedia.org/wiki/Chujand