Dao De Jing

Senza uscire dalla porta di casa puoi conoscere il mondo,
senza guardare dalla finestra puoi scorgere il Dao del cielo.
Più si va lontano, meno si conosce.
Per questo il saggio senza viaggiare conosce,
senza vedere nomina, senza agire compie.
Dao De Jing, Lao Zi

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venerdì 2 novembre 2012

Il "Viaggio in Occidente" di San Zang


Chiunque ami i racconti di viaggi, non può non conoscere la straordinaria figura di San Zang, monaco pellegrino, vissuto in Cina nel VII secolo durante la Dinastia Tang. Insigne maestro spirituale, dotato di elevata forza d'animo e carisma, San Zang compì una marcia di ottomila chilometri,  lungo la Via della Seta,  per raggiungere il monastero di Nalanda, in India, culla della fede buddhista. Qui rimase diversi anni, studiando accanto ai più sapienti conoscitori della tradizione buddhista, prima di riprendere la strada per la Cina. Nel 645, dopo quasi diciassette anni di assenza, rimise piede nella capitale imperiale. Portava con sé venti cavalli carichi di reliquie religiose donategli dai buddhisti indiani e tre canestri di sūtra, i sacri testi della tradizione buddhista, donde il nome sanscrito con cui San Zang  fu presto conosciuto: Tripiṭaka «tre canestri» (in cinese, appunto, San Zang).

Il resoconto dettagliato dei suoi spostamenti  (Dà Táng Xīyù Jì, Annotazioni sulle Regioni Occidentali ai tempi dei grandi Tang) fu redatto da Bian Ji, un suo discepolo che impiegò più di un anno a trascrivere la dettatura del maestro e rappresenta la prima informazione affidabile per i cinesi riguardo alla geografia e agli abitanti di paesi lontani dell’occidente. Il libro contiene più di 120.000 caratteri cinesi ed è suddiviso in dodici volumi, che descrivono la geografia, i trasporti marittimi e terrestri, il clima, i prodotti locali, le etnie, le lingue, la storia, la politica, la vita economica, le religioni, la cultura e i costumi sociali di più di cento paesi, regioni, città-stato, nell’area geografica che attualmente ospita Xinjiang (Cina), Afghanistan, Tagjikistan, Uzbekistan, Pakistan, India, Bangladesh  e Sri Lanka. Attualmente il testo è di grande interesse per gli storici moderni e gli archeologi: le Annotazioni rappresentano una fonte importante di informazioni sull’Asia Centrale, documentano l’esistenza di una cultura buddhista in Afghanistan e testimoniano l’esistenza, a quel tempo, delle famose sculture dei Buddha di Bamiyan (quelle distrutte recentemente dai talebani) e, per l’esattezza delle descrizioni dei luoghi,  è stato utile negli scavi per il ritrovamento di numerosi siti archeologici in India.

San Zang  era nato nel 602 d.C. a Chen He, un villaggio nei dintorni di  Luoyang, nella provincia cinese dello Henan. La sua famiglia era famosa da secoli per la sua erudizione e Chen Hui (questo era il suo vero nome) era il più giovane di quattro fratelli: un suo antenato, Chen Shi, era stato ministro sotto la dinastia degli Han Orientali; suo nonno Chen Kang, era stato professore all’Accademia Imperiale durante la dinastia dei Qi Settentrinali. Suo padre, confuciano conservatore, era magistrato della contea di Jiangling durante il dominio della dinastia Sui. Fu educato dal padre assieme ai suoi fratelli  secondo lo spirito confuciano: secondo le biografie tradizionali, San Zang  mostrò fin da bambino una intelligenza eccezionale e stupì il padre per la sua scrupolosa osservanza dei riti confuciani fino dalla età di otto anni. Da ragazzo si appassionò allo studio dei Classici confuciani della letteratura cinese ma fu attratto, come il fratello maggiore, anche dalla religione buddhista ed entrò nel monastero  di Luoyang all’età di tredici anni. Dopo la morte del padre, visse con il fratello maggiore Chen Su nel monastero Jingtu di Luoyang per quattro anni, dedicandosi allo studio del buddhismo mahayana. A causa dei disordini sociali e politici che seguirono la caduta della dinastia Sui (618) dovette spostarsi a Chengdu nel Sichuan dove a vent’anni  (622) fu ordinato monaco presso il Tempio dello Splendore Celeste.

Salito al trono l’imperatore Taizong, della dinastia Tang, iniziò un periodo di relativa pace, durante il quale San Zang ebbe modo di viaggiare in lungo e in largo attraverso la Cina alla ricerca di testi sacri buddhisti. Dopo qualche tempo fu trasferito al Tempio del Grande Studio a Chang’an [oggi Xi’an], la nuova capitale dell’impero, in una comunità di monaci che avevano dedicato la loro vita alla traduzione dei Libri Sacri provenienti dall’India. Durante i suoi studi però, ebbe modo di constatare con dispiacere la incompletezza  e la errata  interpretazione della natura delle scritture buddhiste che erano arrivate in Cina. Così si era espresso a  riguardo: «Sebbene il Buddha sia nato  in Occidente, la sua dottrina si è diffusa in Oriente. Nel corso della traduzione, errori possono essere stati inseriti nei testi e parole possono  essere state mal interpretate. Se le parole sono sbagliate, si perde il loro senso e quando una frase viene mal interpretata, la dottrina viene distorta.». Un giorno San Zang ebbe un sogno premonitore e concepì allora l’ardito piano – sulle orme del monaco Fa Xian, che era andato in India due secoli prima alla ricerca di testi sacri buddhisti - di andare anche lui in India a cercare dei testi originali delle scritture da riportare in Cina.


È difficile immaginare un percorso più lungo, accidentato, pericoloso di quello che questo intrepido monaco aveva scelto di percorrere. San Zang era descritto come un uomo alto e bello, di costituzione delicata; elegante nel vestire, educato nei modi, dallo sguardo vivace e dalla voce suadente. Eppure, questo gentile e raffinato studioso non indietreggiò di fronte alla prospettiva di lasciare la sua casa a Luoyang, nella Cina nord-orientale, per mettersi in viaggio alla volta dell'India.

Ma seguiamo le sue avventure come lui stesso ce le racconta nelle Annotazioni: ci soffermeremo in particolare sul suo passaggio lungo la Via della Seta, che ci consente di approfondire la nostra conoscenza di un territorio pericoloso ma affascinante: il bacino del Tarim, che ospita il terribile deserto di Taklamakan, circondato a nord dalla catena montuosa dei Monti Celesti [Tian Shan] e a sud dal massiccio del Kunlun, considerato nella tradizione orientale una “Montagna Cosmica” che simboleggia “il punto che segna il passaggio dal Caos Primordiale all’Ordine”. Un territorio solo apparentemente deserto ed inospitale, che ha visto nei secoli il passaggio di innumerevoli carovane, ma che fu anche la via di ingresso del buddhismo in Cina.

San Zang iniziò il suo pellegrinaggio nel 628, partendo da Chang’an dirigendosi prima a nord-ovest, verso Anxi [nella attuale provincia del Gansu]: di qui la via diventava difficoltosa, dovendo costeggiare l’immenso deserto di Taklamakan, nel bacino del Tarim. Ma a complicare il viaggio di San Zang non c’era solo il deserto: in quei mesi  i cinesi erano scesi in guerra contro delle popolazioni turche ai confini nord-occidentali e l’imperatore Taizong aveva proibito a tutti di muoversi al di fuori dei confini imperiali. Scrive San Zang  in proposito:

«Quando arrivai al confine estremo della Cina, al bordo del deserto di Lop, fui catturato dalle milizie cinesi. Non avendo un permesso di viaggio, volevano rimandarmi al monastero di Dun Huang affinché rimanessi là. Allora io risposi: “Se voi insistete  a trattenermi, vi consento di togliermi la vita ma non farò nemmeno un passo indietro verso la Cina”».

Per fortuna anche l’ufficiale cinese era buddhista e  commosso dalla sua determinazione, lo lasciò passare. Per evitare il successivo posto di blocco, San Zang ebbe la malaugurata idea di abbandonare la pista principale e tentò una deviazione che lo condusse in una zona così aspra e selvaggia che non mostrava alcun segno di vita: non c’erano uccelli in cielo né animali  sul terreno né acqua, né vegetazione. Era esausto per il caldo e per la sete dopo quattro giorni iniziò ad avere terrificanti miraggi di cavalieri fantasma: stava per morire, quando il suo unico compagno, il suo cavallo, seguendo il suo istinto, cambiò improvvisamente direzione e lo condusse in un’oasi dove trovarono acqua e qualcosa da pascolare: la sua vita era salva! Alcuni giorni dopo arrivò a Turfan, dove si riposò per qualche giorno.

Turfan  è stata per lungo tempo un’oasi  fertile (grazie ad un ingegnoso sistema di canali sotterranei, detto karez, che raccolgono l’acqua dai monti circostanti) ed un importante centro commerciale lungo la Via della Seta. Conteso per secoli tra i cinesi e gli Xiongnu fin dai tempi della dinastia Han, Turfan, ai tempi di San Zang era un regno indipendente governato da una tribù di etnia turca. Il re di Turfan, incantato dalla conoscenza del monaco dei sacri libri buddhisti, voleva trattenerlo con sé e rifiutò di dargli il permesso di ripartire: solo quando Xuanzang iniziò lo sciopero della fame, il re, riluttante, gli consentì di andarsene e gli diede delle lettere di credenziali per presentarsi ai governanti delle oasi lungo la strada, fornendogli tutta l’assistenza necessaria per il successo del suo pellegrinaggio.

Proseguendo il suo cammino verso ovest lungo la carovaniera, Xuanzang sfuggì ad una imboscata di predoni e trovò riparo in un monastero buddhista a Kuqa. Scrive San Zang nelle sue note:

«Il terreno in questa zona è adatto alla coltivazione di riso e grano […] si coltiva le vigne, i melograni e numerose specie di susini, peri, peschi e mandorli […] Il sottosuolo è ricco di minerali: oro, rame, ferro, piombo e stagno. Il clima è temperato e le persone si comportano onestamente. La scrittura è simile a quella indiana, seppure con qualche differenza. Superano gli abitanti dei regni confinanti nella loro abilità a suonare il liuto e la pipa. Si vestono con abiti di seta ornati di ricami […] In questa regione ci sono circa cento conventi, con più di 5.000 monaci, che appartengono alla scuola Theravada [Piccolo Veicolo] e Sarvastivada. Le loro regole e la disciplina è simile a quella indiana e i loro testi sono quelli originali..»

La tappa successiva fu Aksu, che descrive come capitale del regno di Baluka: anche di questa regione descrive geografia, clima e usi locali, non dimenticando di elencare minuziosamente i conventi buddhisti incontrati e le loro regole. Tra un’oasi e l’altra il paesaggio è incredibile, sembra di essere in un pianeta sconosciuto: ecco, vicino a Aksu le cosiddette “Colline dai Cinque Colori”…

Da Aksu, invece di proseguire per Kashgar lungo la carovaniera della Via della Seta, prese la via del nord-ovest e, attraversate Montagne Celesti  (Tian Shan) al passo di Bedel, alto 4200 m., che segna il confine tra l’attuale provincia cinese del Xinjiang ed il Kyrgyzistan, arrivò  a Tashkent ed infine a Samarkanda. Nei suoi Appunti scrive: «questa grande città, che governa un potente stato,  è circondata da un muro di sette miglia di circonferenza.  È un paese ricco, che ha accumulato tesori provenienti  da terre lontane, dove si possono trovare cavalli forti ed artigiani esperti e il clima è abbastanza gradevole».

Da Samarkanda San Zang deviò verso sud e superando i contrafforti del Pamir passò il famoso passo Porta d’Acciaio. Continuando il suo viaggio verso sud seguendo il  corso del fiume Amu Darya arrivò a Termez, ai confini meridionali dell’odierno Kyrgyzistan, dove incontrò una comunità di monaci buddhisti che contava più di mille persone.

Entrò poi nell’odierno Afghanistan raggiungendo Kunduz, dove gli capitò di partecipare ai riti funebri del principe locale Tardu, morto avvelenato in una congiura. Proseguì poi per Balkh, per vedere il sito buddhista di Nava Vihara, che è rimasto famoso per essere stato il monastero più ad occidente del modo, al tempo, con più di 3000 monaci. Qui incontrò Prajnakara, un monaco con cui Xuanzang aveva studiato le prime scritture buddhiste, che lo aiutò a trovare il testo Mahavibhasa, che poi, tornato in patria, tradurrà in cinese. Prajnakara lo condusse a Bamiyan, dove San Zang poté vedere le famose statue giganti di Buddha scavate nella roccia.

Dopo questa importante tappa San Zang riprese il suo viaggio verso est e attraversato il passo Shibar, raggiunse la capitale della regione di  Kapisi, [circa 60 Km a nord di Kabul] . Là visitò più di cento monasteri, popolati da 6000 monaci, la maggior parte del rito mahayana ma incontrò anche religiosi indù jainisti: era l’anno 630.

Dalle Annotazioni di San Zang apprendiamo che, al tempo della sua visita, cioè nel 630, nella zona di Balkh c’erano almeno un centinaio di monasteri buddhisti, con 30.000 monaci,  c’era un grande numero di stupa ed altri monumenti religiosi: il buddhismo era quindi fiorente nella porzione bactriana dell’impero turco occidentale.

Attraverso il passo Kyber [che separa l’Afghanistan dal Pakistan] arrivò poi a Peshawar: la città aveva perso molto dell’antica gloria e il buddhismo era in declino nella regione. Peshawar era stata fatta capitale dal re dei Kushan, Kanisha nel II secolo a.C. Dopo poco iniziarono a diffondersi nella zona i missionari buddhisti che stranamente vennero ben accolti dai Kushan (che seguivano la religione di Zoroastro) che integrarono gli insegnamenti buddhisti nella loro religione e gradualmente si convertirono al buddhismo. Peshawar divenne rapidamente un grande centro di riferimento per il buddhismo anche se la religione zoroastriana e l’animismo dei Kushan sopravvissero specialmente nelle aree rurali. Il re Kanisha, diventato un fervente buddhista, aveva fatto costruire a Peshawar quello che sarebbe stato il più alto edificio del mondo a quel tempo, uno stupa gigante, per ospitare le reliquie del Buddha. Il primo riferimento a questo edificio era stato fatto dal monaco pellegrino cinese Fa Xian, che lo aveva visitato nel 400 d.C. e descritto come alto 120 metri e adornato con tutti i materiali preziosi del mondo. Nessuno stupa poteva essere paragonato per bellezza e potenza ad esso. Lo stupa venne distrutto da un fulmine e restaurato più volte, ma quando arrivò San Zang,  nel 634, era ancora integro. Le rovine di questo stupa furono ritrovate nel 1909 dall’archeologo americano  D.B. Spooner grazie alle indicazioni lasciateci da San Zang.

Sorvoliamo la storia del lungo periodo di permanenza in India dove San Zang visitò tantissimi luoghi sacri ed approfondì per anni la sua cultura buddhista: quindici anni più tardi San Zang, ripassava  sulla Via della Seta, ma questa volta in direzione della Cina. Questa volta passò come era d’uso per le carovaniere che andavano in Cina, lungo la pista meridionale del bacino del Tarim, visitando Kashgar, Khotan e Loulan prima di raggiungere Dunhuang: consapevole delle insidie che la carovaniera nascondeva in quella regione, San Zang riuscì  ad attraversare l’immenso deserto e raggiungere Dunhuang  dove depositò i suoi preziosi manoscritti nella biblioteca del monastero presso le grotte dei Mille Buddha di Bezeklik.

Questo complesso, si trova vicino alle antiche rovine di Gaochang, nella valle Mutou, una gola delle Montagne Fiammeggianti [che prendono questo nome dal colore rosso delle rocce di cui sono formate]. Nel sito vi sono 77 grotte scavate nella pietra, tutte decorate con dei murales del Buddha.


Il suo ritorno in Cina  fu un trionfo, poiché la fama e il prestigio guadagnati in terra indiana lo avevano preceduto, e l'imperatore in persona  volle ascoltare dalla viva voce del pellegrino le sue avventure e le sue osservazioni di viaggio. L'imperatore gli offrì persino una carica governativa, ma San Zang, privo di qualsiasi ambizione, preferì dedicarsi agli studi e alla traduzione dei sūtra che aveva portato dall'India e ancora oggi la tradizione riferisce a lui 1338 dei 5084 sūtra che costituiscono il canone buddhista cinese.

La fantasia popolare non tardò a impossessarsi della figura potente e insieme gentile di questo monaco. Su San Zang vennero creati racconti, favole, ballate, i quali confluirono a formare il corpus di una grande tradizione narrativa, tramandata prima oralmente e poi per iscritto. I più antichi di questi documenti risalgono alla dinastia Song. Al periodo Yuan va ascritta una versione teatrale intitolata Xiyouji, appunto «Cronaca di un viaggio in occidente». È questo un classico della letteratura cinese, forse il più famoso tra le giovani generazioni. È stato pubblicato anonimo nel 1590 circa e non ci è pervenuta alcuna prova materiale relativa all'identità dello scrittore, ma lo si attribuisce tradizionalmente all'erudito Wu Cheng’en. Il libro è una riflessione su quanto il buddhismo cinese avesse unito, fondendo aspetti del taoismo e del confucianesimo in Cina. Rappresenta inoltre un vero e proprio percorso di purificazione dei vari personaggi, che alla fine del viaggio giungeranno all'illuminazione. Il romanzo racconta in versione mitizzata il viaggio di un monaco buddhista. Nel romanzo, il monaco Xuan Zang [Hsüan Tsang] (ispirato al personaggio storico San Zang) viene inviato dalla Bodhisattwa Guanyin in India per ottenere le copie di determinati testi buddhisti importanti, non disponibili in Cina. È accompagnato nel suo viaggio da tre discepoli — il re scimmia Sun Wukong, il maiale Zhu Baijiè ed il demone fluviale Sha Wujing i quali decidono di proteggerlo ed aiutarlo nell'impresa per ottenere il perdono dei peccati commessi. Il cavallo del protagonista è invece, in realtà un principe drago, figlio del Re Drago del Mare del Sud. Insieme, combattono i mostri ed i demoni che incontrano lungo il cammino, compreso il Bai Gu Jing, che uccide intere famiglie succhiando l'anima e la vita, ed il demone del ratto, che seduce e uccide i monaci con i suoi artigli.

Uno degli assistenti soprannaturali del monaco, il re scimmia Sun Wukong, è diventato uno dei personaggi più famosi e più cari della letteratura cinese. Il suo grado di popolarità e di riconoscimento in Asia è stato paragonato a quello di Topolino nei paesi occidentali (considerando le sue avventure, il carattere, ed il valore educativo della storia, noi potremmo paragonarlo al nostro Pinocchio). La ragione della popolarità così duratura del romanzo, viene dal fatto che esso è portatore di messaggi a livelli multipli: è una storia di avventura, con parecchi passaggi al comico, e anche una metafora in cui il gruppo dei pellegrini che viaggiano verso l'India corrisponde ad un viaggiare simbolico verso il chiarimento, ad un viaggio interiore verso un livello di educazione più elevato.

Il romanzo è stato preso ad ispirazione per:

·         Monkey: serie umoristica a cartoni animati per la televisione, parodia del Viaggio in Occidente ma è anche un po' più fedele e come tale di difficile comprensione per il pubblico occidentale.

·         Lo scimmiotto, di Milo Manara e Saverio Pisu (Alterlinus, 1976). Versione molto libera della prima parte della storia, che si conclude con l'imprigionamento del re delle scimmie sotto la Montagna dei Quattro Elementi.

·         Dragon Ball: (serie giapponese di manga e anime liberamente ispirata anch'essa al Viaggio in Occidente, ma mentre l'intenzione del testo originale fu di diffondere la nozione di karma in una cultura perlopiù animista e in parte panteista, quella cinese appunto, Dragon Ball si propone invece di diffondere nozioni di panteismo in una cultura agnostica, quale quella occidentale).

Le (poche) traduzioni italiane sono:

·         Lo scimmiotto, traduzione di A. Motti dalla versione ridotta di Arthur Waley del 1942 (traduce soltanto trenta dei cento capitoli), Einaudi, 1960.

·         Il viaggio in Occidente, a cura di S. Balduzzi, Rizzoli,1998.

·         Lo scimmiotto, Adelphi, 2002 (prima edizione 1971).Son Goku - Lo scimmiotto di Pietra, Kappa Edizioni,2005.


Sitografia


http://en.wikipedia.org/wiki/Xuanzang
http://depts.washington.edu/silkroad/texts/faxian.html
http://it.wikipedia.org/wiki/Viaggio_in_Occidentehttp://bifrost.it/Articoli/Sunwukong.html
http://en.wikipedia.org/wiki/Turpan













sabato 20 ottobre 2012

Perché il Buddha è così bello? Semplice, ci hanno pensato i greci!


Cosa ha a che fare Buddha con la Grecia? Niente sembra così lontano dalla nostra cultura classica del mondo indiano… eppure non è così!


Torniamo indietro, ai tempi di Alessandro il Grande: re di Macedonia a partire dal 336 a.C. è conosciuto anche come  Alessandro il Conquistatore: è considerato infatti uno dei più celebri conquistatori e strateghi della storia. In soli dodici anni conquistò l'intero Impero Persiano, dall'Asia Minore all'Egitto fino agli attuali Pakistan, Afghanistan e India settentrionale. Le sue vittorie sul campo di battaglia, accompagnate da una diffusione universale della cultura greca e dalla sua integrazione con elementi culturali dei popoli conquistati, diedero l'avvio al periodo ellenistico della storia greca. Ed una delle conseguenze della vicinanza di questa cultura al mondo indiano ha “contaminato” in modo significativo una religione emergente nell’Asia Centrale: il Buddhismo. Nelle regioni corrispondenti ai moderni Afghanistan e Pakistan, a partire dal VI secolo a.C. si sviluppò un sincretismo culturale tra l’Ellenismo ed il Buddhismo che porta il nome di Buddhismo Greco ed ha profondamente influenzato  l'arte e la filosofia del Buddhismo, in particolare il Buddhismo Mahayana, ancora prima che fosse adottato dall'India, e successivamente dalla Cina, Corea e Giappone.


La storia del buddhismo inizia nel VI secolo a.C., con  la predicazione del Buddha Siddharta Gautama: nel lungo periodo della sua esistenza, la religione si è evoluta adattandosi ai vari paesi, epoche e culture che ha attraversato, aggiungendo alla sua originale impronta indiana, elementi culturali dell'Asia Centrale, dell'Estremo Oriente e del Sud-Est Asiatico; la sua diffusione geografica fu considerevole al punto di aver influenzato in diverse epoche storiche gran parte del continente asiatico. Il Buddhismo, come tutte le maggiori religioni, è anche caratterizzato da numerose correnti di pensiero e scismi, con la formazione di varie scuole: la riluttanza di Gautama a nominare un suo successore o a formalizzare la propria dottrina, portò infatti all'emergere di diverse fazioni tra i suoi seguaci nei successivi 400 anni. Tra queste, le più importanti attualmente esistenti sono la scuola Theravāda, le scuole Mahāyāna e Vajrayāna.

Nei suoi primi secoli di vita, il buddhismo sembra essere rimasto un fenomeno relativamente minoritario, e la storicità degli eventi della sua formazione sono difficili da stabilire anche perché vi sono diverse, antiche e contraddittorie tradizioni. La situazione cambiò nel III secolo a.C., quando il re Aśoka si convertì al Buddhismo dopo la sanguinosa conquista del territorio di Kalinga [oggi Orissa] nell'India orientale. Pentitosi degli orrori prodotti dal conflitto,  il re decise di rinunciare alla violenza, e si impegnò a diffondere la fede buddhista costruendo stupa e colonne che richiamavano al rispetto di tutta la vita animale, e spingendo la popolazione a seguire il Dharma. Il re è ricordato anche per aver costruito strade, ospedali, case di riposo, università e canali d'irrigazione in tutto il Paese; trattò inoltre i suoi sudditi con la massima tolleranza, indipendentemente da religione, politica e casta. Sempre secondo la tradizione, il re Aśoka convocò un Concilio intorno al 250 a.C. a Pataliputra [oggi Patna], con l'obiettivo di riconciliare le differenti scuole buddhiste,  e organizzare l'invio di missionari nei Paesi in cui il Buddhismo non fosse ancora conosciuto.


Questo periodo segna  la prima diffusione del Buddhismo al di fuori dell'India; secondo le placche e le colonne lasciate da Aśoka, furono inviati emissari in molti stati con il compito di predicare il Buddhismo, fino ai regni ellenistici occidentali, a partire dal vicino regno greco-bactriano, e fino al Mar Mediterraneo. Alcuni degli editti di Aśoka descrivono gli sforzi di Aśoka per diffondere la fede buddhista nel mondo ellenistico, che al tempo, in seguito alle conquiste di Alessandro Magno, formava un corpo continuo dalla Grecia ai confini dell'India. Gli editti dimostrano una chiara comprensione dell'organizzazione politica dei regni ellenistici; i nomi dei maggiori re sono elencati e identificati come obiettivi di proselitismo: Antioco II del regno seleucide, Tolomeo II il Filadelfo del regno egizano, Antigono II Gonata del regno di Macedonia, Magante del regno di Cirenaica, e Alessandro II dell’Epiro.

Leggiamo infatti in un editto di Aśoka:

« La conquista del Dharma è stata vinta qui, sui confini, e anche a seicento yojana (5.400-9.600 km) di distanza, dove regna il re greco Antioco, e oltre, dove regnano i quattro re di nome Tolomeo, Antigono, Magante e Alessandro, così come nel Sud, tra i Chola, i Pandya, e fino a Tamraparni (Sri Lanka).»(Editti di Aśoka, XIII editto, S. Dhammika)

Inoltre, secondo le cronache pāli, alcuni degli emissari di Aśoka erano monaci buddhisti greci, evidenziando l'esistenza di intensi rapporti tra le due culture:

«Quando il thera [anziano, saggio] Moggaliputta, illuminatore della religione del Conquistatore [Aśoka], pose fine al [terzo] concilio [...] mandò avanti dei thera, uno qui e uno lì: [...] e verso Aparantaka [i paesi occidentali"] mandò lo yona [greco] di nome Dhammarakkhita » (Mahavasma XII)


Alcuni degli editti di  Aśoka sono scritti in greco o aramaico; uno di essi, ritrovato a Kandahar, consiglia l'adozione della "Pietà" [traducendo con εσέβεια, "eusebeia", il termine Dharma] alla comunità greca.
Sono state ritrovate ad Alessandria anche delle pietre tombali buddhiste del periodo tolemaico, decorate con raffigurazioni della ruota del Dharma. Commentando sulla presenza di buddhisti ad Alessandria, alcuni studiosi hanno fatto notare che «fu in seguito in quello stesso luogo che alcuni dei più attivi centri della Cristianità sono stati fondati».

L'interazione tra le culture greca e buddhista ha avuto una certa influenza sulla formazione del pensiero Mahayana, che sviluppò un approccio filosofico più sofisticato e una forma di "divinizzazione" della figura del Buddha; in queste aree di contatto compaiono inoltre le prime rappresentazioni antropomorfiche del Gautama.

L’idea classica ellenica di rappresentare l’uomo-dio in una forma puramente umana (vedi gli dei dell’Olimpo) ha prodotto in oriente un fattore importante di innovazione. Le opere d'arte più antiche conosciute attribuite al mondo religioso buddhista derivano dal campo dell'architettura. In questo caso si tratta di stupa, quindi originalmente opere architettoniche a forma di tumulo, che in origine vennero costruite come luoghi di conservazione per le reliquie del Buddha. In questi stupa si trovano, in forma di bassorilievi, anche le primissime rappresentazioni artistiche.. I rilievi inequivocabilmente più antichi attribuibili al Buddhismo risalgono al II secolo a.C.


Sebbene l'arte del subcontinente indiano già in quell'epoca potesse vantare una lunga tradizione anche di raffigurazioni figurative, inizialmente il Buddha Sakyamuni non veniva mostrato in figura umana. Al contrario egli stesso e i contenuti del suo insegnamento vennero rappresentati con diversi simboli, dei quali perlopiù ancora oggi sono parti essenziali dell'arte buddhista: Il fiore di loto, per la sua proprietà di non farsi intaccare sulla sua superficie né da sporcizia né da acqua, il simbolo della purezza e della natura immacolata di Buddha; l’ albero di Bodhi (fico sacro), quell'albero, sotto il quale il Buddha ha vissuto il Bodhi ("Illuminazione" o "Risveglio").  A volte viene anche raffigurato un trono vuoto sotto all'albero che, come l'albero stesso, dovrebbe ricordare il risveglio del Buddha. Altri simboli sono il Dharmachakra [la Ruota della Dottrina], in cui gli otto raggi rappresentano l’ottuplice sentiero, cioè l’insieme delle regole buddhiste che conducono al perfezione, oppure il Leone, simbolo della signoria e dell'origine regale del Buddha storico Śākyamuni [il saggio dalla casa di Shakya]. Infine la Buddhapada [l'impronta del piede], un simbolo dell'effusione del Dharma del Buddha nel mondo.
 

Durante il II e gli inizi del I secolo a.C. acquistarono sempre più importanza sculture, rilievi e pitture, che mostravano vari episodi della vita del Buddha e venivano spesso collocate sugli stupa come fregi, tavolette votive e ad illustrazione del Dharma per coloro che non sapevano leggere. Certamente anche i ritratti di uomini erano parti integranti delle opere, ma il Buddha stesso era rappresentato per mezzo di uno dei simboli sopra citati. La ragione di questo poteva trovarsi in un'affermazione che egli aveva fatto in uno dei suoi discorsi, secondo il quale aveva rifiutato di essere ritratto dopo la sua morte. Inoltre, tra gli storici delle religioni vi è l'opinione che ai monaci o ai pittori non sembrasse possibile raffigurare il Buddha - che aveva lasciato dietro di sé tutte le cose terrene, umane, materiali come mentali - mediante immagini.

Nelle regioni di Gandhara (oggi: Afghanistan orientale, Pakistan nord-occidentale) nacquero le prime rappresentazioni artistico-religiose del Buddha. Nello stile di Gandhara sono d'altro canto chiaramente riconoscibili gli stretti contatti, allora esistenti già da parecchi secoli, con l'area culturale ellenistica. Ma l’innovativa rappresentazione in forma umana raggiunse rapidamente un alto livello di sofisticazione scultorea, naturalmente ispirata allo stile della Grecia ellenistica.


Si possono identificare molti elementi stilistici di derivazione ellenistica nella rappresentazione del Buddha : lo himation, ad esempio,  una specie di toga che copriva entrambe le spalle,  l’ alos, cioè l’aureola di luce attorno al capo, usata nella iconografia religiosa per indicare santi o eroi. La postura, nelle statue, si ispira al cosiddetto “contrapposto” una posizione cioè in cui il corpo appoggia principalmente su uno solo dei piedi, creando una leggera torsione del busto, che conferisce alla figura un aspetto più dinamico o in alternativa più rilassato. Infine la acconciatura dei capelli stilizzata e le proporzioni del viso richiamano il tipico realismo delle sculture greche.


Nel I secolo a.C.  Gandhara  fu  conquistata dall'Impero Kushan e rimase per molti secoli sotto l'influenza di quest'ultimo (solo nel V secolo la dominazione cambiò di nuovo con la conquista da parte degli Unni bianchi). Particolare importanza assunse in questo periodo re Kaniska, che promosse il rinnovamento del Buddhismo in generale, e l'arte buddhista in particolare. Le prime istanze riformatrici che avrebbero portato successivamente alla nascita del Buddhismo Mahayana si manifestarono durante un Concilio in Kashmir: per segnare la differenza, la scuola prese il nome di Mahāyāna  [grande veicolo], indicando con Hinayāna [piccolo veicolo] tutte le altre scuole. La nuova forma di Buddhismo valorizzava il concetto di "vacuità" (Sunyata) di tutto l'esistente e quindi l'identità tra mondo fenomenico doloroso e imperfetto (Samsara) e la condizione nirvanica (Nirvana) in cui era assente lo stato di dolore. Questa identità dei fenomeni mondani con lo stato nirvanico e la credenza che la buddhità fosse presente in tutti gli esseri senzienti portò questa scuola alla sacralizzazione della natura di Buddha e quindi della sua divinizzazione. Inoltre le posizioni Mahāyāna promuovevano l'idea che non solo i monaci, ma tutti gli esseri viventi essendo intimamente dei Buddha potessero aspirare realizzare questo stato, e un certo livello di sincretismo con le influenze culturali del Nord-Ovest dell'India e dell'Impero Kushan all'interno del quale si era originata; il successo fu rapido, e nel giro di pochi secoli la nuova scuola rimpiazzò quasi completamente la Sarvāstivāda.


Dopo la fine dell'impero Kushan, il Buddhismo, ormai quasi esclusivamente Mahāyāna, conobbe una certa fortuna sotto i Gupta (IV-VI secolo); in particolare l'università Mahāyāna di Nalanda, nel Nord-Est dell'India, sarebbe diventato il polo culturale più grande e influente del Buddhismo nei secoli a venire. Particolare importanza assunse l'abilità degli scultori di Mathura, specialmente nell'impiego dell'arenaria rosa: qui fu trovata quella forma della rappresentazione che divenne infine caratteristica per quasi tutti i paesi buddhisti dell'Asia e che nel VII-VIII secolo si era universalmente affermata: il corpo delicato e dalle proporzioni perfette, lunghi lobi delle orecchie perforati che ricordano la sua infanzia e la sua gioventù come principe, sulla cima una crocchia come segno della sua vita da asceta ed infine gli occhi semichiusi, che non ricambiano lo sguardo dell'osservatore, ma sono rivolti verso l'interno in atteggiamento meditativo. Le rappresentazioni del Buddha a partire da quel periodo sono caratterizzate da un realismo idealizzante. In India il Buddhismo, e quindi anche l'arte buddhista, dal X secolo in poi fu a poco a poco soppiantato quasi interamente dall'Induismo che andava rafforzandosi e dall'Islam che penetrava dall'Occidente.


Sitografia



giovedì 4 ottobre 2012

Via della Seta o Via dei Sutra?




La diffusione  del buddhismo in Cina rappresenta, ancora oggi, uno dei processi di acculturazione delle idee e delle credenze religiose tra più straordinari della Storia dell'umanità. Culture elaborate e dai profondi risvolti filosofici e spirituali, come quelle indiana, centroasiatica e cinese, riuscirono in Cina a fondersi e a costituire un insieme di scuole dottrinali e di culture materiali, parte delle quali sopravvive tutt'oggi nell'area di influenza cinese e in Giappone, e da dove, nello scorso secolo, hanno raggiunto l'Occidente.

Il Buddhismo è penetrato in Cina agli albori dell'era cristiana, sotto la dinastia Han, giungendo, lungo il tratto orientale della Via della Seta, dalla Serindia, nome che deriva dalla combinazione delle parole Seri e India ed indica propriamente la parte dell'Asia nota anche come, Turkestan Cinese o Asia Superiore, che in quel periodo era diventata un protettorato cinese.
Il tratto orientale della Via della Seta

La forza militare della dinastia Han aveva infatti permesso all'impero di espandersi a occidente nella pianura desertica del Tarim, dove erano situate le città-stato e i principati dei Tocari, Saci e Sogdiani nella provincia del Xinjiang-Uigur attualmente di etnia prevalentemente uigura. In questo modo la Via della Seta veniva resa sicura fino al Pamir, ai confini con la Battriana nell'odierno Afghanistan. Come vedremo, in quella regione inospitale la diffusione del buddhismo fu impressionante e modificò in modo irreversibile la vita delle popolazioni che vivevano là: la cosa interessante è che proprio tramite le testimonianze dei viaggio dei monaci che si muovevano avanti e indietro tra la Cina e l’India, possiamo ricostruire la vita di quei luoghi.

(vedi anche:La Cina alla ricerca di Roma: il prode ban Chao e l'ingenuo Gan Ying)

E proprio attraverso l’Afghanistan [pensate alla diffusione “culturale” che questa regione rappresenta oggi] che si creò quel collegamento tra India e Cina che consentì la diffusione del buddhismo in quella regione: non si hanno notizie certe su quando questo avvenne  ma solo leggende, la principale delle quali vorrebbe che l'imperatore Míng Di, degli Han Orientali, (regno: 57-75 d.C.) avesse sognato un uomo d'oro. Particolarmente colpito dall'accaduto, un suo consigliere suggerì che potesse essere un dio straniero di nome Buddha. Míng inviò dunque alcuni ambasciatori verso Occidente, che tornarono insieme a due monaci indiani, Kāśyapa Mātanga  e Gobharana, condotti su di un cavallo bianco. I monaci portarono con loro testi delle scuole del buddhismo dei Nikaya, tra cui il Sutra in quarantadue capitoli, che tradussero nel 67 d.C. a Luòyáng dove fondarono il Monastero del Cavallo Bianco.

Qualcosa di  più documentato si ha a partire dal II sec. d.C., grazie alle cronache monastiche cinesi. Intorno al 150 giunse in Cina, come ostaggio, An Shigao, un principe persiano buddhista il quale avrebbe tradotto diversi sutra (le cronache parlano di 35 testi) delle scuole del buddhismo dei Nikaya. Nel 181 giunse il persiano An Xuan, un mercante il quale, divenuto discepolo di An Shigao, tradusse altri testi sempre delle scuole del buddhismo dei Nikaya e predicò attivamente la dottrina buddhista. Poi, sempre nel II secolo, è la volta di Lokaksema un vero e proprio missionario mahayana proveniente dall’impero Kushan che tradusse moltissimi testi ma di scuole del buddhismo mahayana. L'opera di Lokaksema fu seguita da un altro missionario kushan, Zhi Qian, un monaco poliglotta, discendente di una famiglia che si era stabilita un secolo prima a  Luoyang. Il più importante traduttore del III sec., anche lui un kushan, fu tuttavia Dharmaraksa. La sua famiglia si era stabilità da tempo a Dunhuang e là nacque Dharmaraksa che entrò in un monastero buddhista a soli 8 anni. I buddhisti cinesi e gli stranieri buddhisti residenti in Cina sentirono tuttavia la necessità di acquisire direttamente nuovi testi religiosi, quindi Dharmaraksa accompagnò il suo maestro, un monaco indiano conosciuto con il suo nome cinese, Zhú Gāozuò, in un viaggio verso l'Occidente dove visitarono numerosi regni incontrando ben 36 idiomi diversi e raccogliendo sutra buddhisti. Tornato in Cina, Dharmaraksa si occupò della loro traduzione. Ne tradusse ben 149 prima di morire, in età molto avanzata, nel 316 d.C.

Nel corso del IV secolo, a seguito della invasione della Cina settentrionale da parte dei popoli delle steppe (in particolare gli Xiongnu), la corte cinese abbandonò Luoyang spostandosi verso Sud, fondando la nuova capitale a Jiankang (oggi Nanjing) e la nuova dinastia Jin Orientale (317-420). Nella Cina meridionale il Buddhismo prosperò soprattutto tra le classi aristocratiche e vi furono importanti monaci cinesi, che operarono per inserire la dottrina buddhista nella cultura tradizionale cinese. Tra questi monaci cinesi, va menzionata l'opera di Huiyan ( 334-416), fondatore del monastero di Dōnglín ( Monastero del Bosco Orientale), Dao’an (312-385), fondatore del monastero di Xiuanyan. Nel corso di quegli anni venne completata la progressiva raccolta di sutra buddhisti provenienti dall'Asia centro-orientale e quindi si cercò di raggiungere l'India, il paese che diede i natali al Buddha Shakyamuni, per poter completare la raccolta con nuovi testi.

Per tale ragione nel 399 partì, sempre da Jiankang, il monaco cinese Fa Xian ( 340-418) per una missione durata 14 anni (dal 399 al 412) in India e Sri Lanka alla ricerca dei Vinaya indiani e di nuovi sutra. Il suo viaggio è descritto nel suo Annotazioni sui regni buddhisti, redatti dal monaco cinese Fa Xian sui suoi viaggi in india e Ceylon alla ricerca dei libri della disciplina buddhista, in cui illustra la storia e la geografia di numerosi paesi incontrati lungo la Via della Seta, l’India e Ceylon. Dalle Annotazioni di Fa Xian, che forse sono le prime informazioni che abbiamo su quelle regioni, possiamo ricostruire come era il bacino del Tarim nel V secolo: seguiamolo nel suo avventuroso viaggio per il tratto di Via della Seta che attraversa quelle regioni.
Il viaggio di Fa Xian

Partito da Chang’an, Fa Xian attraversò la provincia del Gansu arrivando a Lanzhou: già in quella zona trovò le prime difficoltà, in quanto, per i disordini che agitavano quella provincia, era quasi impossibile viaggiare sulle strade principali: dovette proseguire per vie secondarie. Tuttavia il re locale lo accolse benevolmente e lo ospitò per qualche mese. Riprese quindi il viaggio accompagnato da alcuni monaci e si diresse a Dunhuang, dove fece un’altra tappa.


Le grotte di Mogao
Probabilmente a Dunhuang visitò le grotte di Mogao, che da pochi anni si stavano sviluppando: si tratta di un sistema di 492 tempietti scavati nella roccia, in una rupe lunga 1600 metri (per cui il termine con cui sono note, cioè "grotte", può non essere il più adatto a descriverle). La leggenda narra di un monaco buddhista chiamato Lezun che, nel 366, ebbe una visione: mille Buddha. Convinse quindi un ricco pellegrino della Via della Seta a fondare il primo tempio che si trova qui. Col passare dei secoli i templi crebbero fino a superare il numero di mille, e con essi vennero costruiti ricoveri e repositori di testi sacri, e cappelle votive. Fra il IV e il XIV i monaci di Dunhuang raccolsero numerosi manoscritti occidentali, e molti dei pellegrini che passavano per il sito dipinsero affreschi all'interno delle grotte, oltre a lasciare un'offerta e a pregare per propiziarsi un viaggio tranquillo.
 Gli affreschi coprono una superficie di oltre 42.000 metri quadrati.
I monaci buddhisti praticavano una vita austera e speravano che l'isolamento delle grotte li avrebbe portati più facilmente all'illuminazione. I dipinti servivano come aiuto per la meditazione, in quanto rappresentazione visiva della ricerca dell'illuminazione. Inoltre avevano lo scopo di illustrare agli analfabeti le storie e le credenze buddhiste. Tuttavia, nel corso dell' XI secolo le grotte vennero murate, in quanto erano ormai diventate ricolme di vecchi manoscritti, lacerati o perlopiù inutilizzabili. Agli inizi del XX secolo un taoista cinese di nome Wang Yuan-Lu si autonominò guardiano di alcuni di questi templi. Egli scoprì che dietro ad un muro vi era un corridoio, il quale portava ad una piccola caverna ricolma di antichi manoscritti (tutti databili fra il 406 e il 1000): antichi rotoli di canapa cinesi e tibetani, antichi dipinti su seta e carta e molte figure di Buddha, perlopiù danneggiate. Wang si imbarcò in un ambizioso progetto di restauro dei templi, sia per mezzo di donazioni private che di istituzioni. Oggi le grotte di Mogao sono uno dei più importanti siti turistici della regione, oltre che attrattiva per numerose spedizioni scientifiche, anche se la minaccia alla conservazione del sito arriva dalla sabbia che si è riversata sulle facciata della rupe ricoprendo con un velo le opere, dal vento che ha eroso la roccia, dall'umidità che ha deteriorato le opere e dai terremoti che hanno fratturato la struttura. Nel 1987 le Grotte di Mogao sono state inserite nell'elenco dei Patrimoni dell’umanità dell'UNESCO.

Il deserto di Lop Nor
Fa Xian fu aiutato dal prefetto locale di Dunhuang,  che fornì al gruppo i mezzi per attraversare il deserto di Lop Nor, [un antico lago salato, poi dissecatosi e diventato una immensa crosta di sale di 3.000 km2. Per la cronaca i cinesi lo hanno utilizzato nel 1959 per il primo test nucleare] Fa Xian lo descrive: « … infestato di demoni feroci e battuto da venti caldissimi. Non si vedono uccelli volare, né animali muoversi sul terreno: le uniche indicazioni sula via da percorrere sono le ossa risecchite di uomini e animali che si incontrano ai bordi delle piste».

Dopo un viaggio di 17 giorni, avendo percorso circa ottocento chilometri, il pellegrini raggiunsero il regno di Shanshan (con capitale Loulan), un territorio collinoso e sterile.  Posizionato sul ramo meridionale della Via della Seta, che collega Dunhuang a Khotan, Sanshan fu conteso per secoli tra i cinesi han e gli Xiongnu, in quanto territorio strategico per il controllo del traffico delle merci tra oriente e occidente. Fa Xian ci racconta che:

Luolan


«Gli abiti degli abitanti sono grossolani ma simili a quelli indossati nella nostra terra di Han. Il re segue la nostra legge[buddhismo], e nella regione si trovano più di 4000 monaci Theravada [hinayana]. Le persone comuni di questo e di altri reami in questa regione seguono, come i monaci,  le regole di vita indiane, anche se in modo più blando. Così i viaggiatori che si muovono verso occidente, trovano le stesse regole in tutti i reami, a parte la diversità delle lingue locali. I monaci tuttavia, che hanno abbandonato la vita mondana e lasciato le loro famiglie, sono tutti studiosi dei Libri Sacri indiani e conoscitori della lingua indiana[sanscrito]».

Il bacino del Tarim

Qui si fermarono per un mese e quindi ripresero il cammino verso nord-est, raggiungendo, dopo un paio si settimane, il regno di Karashahr  sul bordo settentrionale del Tarim: qui trovarono delle comunità di monaci di più di 4000 persone, tutti seguaci  della scuola Hinayana. Questi monaci erano di osservanza molto stretta e i monaci cinesi non erano preparati a seguire le loro regole: Fa Xian riuscì a rimanere per un paio di mesi in uno di quei monasteri, aiutato dal sovrintendente Fu Gongsun che lo aveva preso in simpatia. Tuttavia la gente del luogo trascurando i doveri di correttezza e di giustizia trattò gli stranieri in maniera così avara che alcuni compagni di Fa Xian se ne tornarono verso Turfan con la speranza di ottenere là i mezzi per proseguire il loro cammino. Turfan è stato per lungo tempo il centro di una oasi fertile ( l’acqua era ottenuta attraverso un ingegnoso sistema di canali, detto karez, che raccoglieva l’acqua dai monti e la convogliava verso la città tramite una fitta rete di canali sotterranei) ed un importante centro commerciale. Sede di un antico regno chiamato Gushi, fu conquistata dai cinesi nel 60 d.C. ma durante la dinastia Han passò di mano varie volte tra cinesi e Xiongnu. Dopo la caduta degli Han la regione diventò un regno vassallo della Cina, governato da popolazioni uigure.

Fa Xian riuscì invece, grazie alla liberalità di Fu Gongsun, ad avere i mezzi per proseguire, con la restante compagnia, in direzione sud-ovest. Trovarono però quella regione totalmente deserta: le difficoltà che trovarono nell’attraversarla furono al limite della capacità umana ma per fortuna, dopo più di un mese di marcia riuscirono a raggiungere Khotan.

L’antico reame di Khotan  è stato uno dei primi stati buddhisti al mondo ed ha rappresentato un ponte culturale attraverso cui la cultura e l’insegnamento buddhista fu trasmesso dall’India alla Cina. L’oasi di Khotan ha una posizione geografica strategica trovandosi alla congiunzione tra un antico ramo della Via della Seta (quello che corre lungo il lato sud del bacino del Tarim, tra Dunhuang e Kashgar) con una delle antiche vie che portavano a sud verso il Tibet e l’India. Ecco come lo descrive Fa Xian:
Un tempio a Khotan

«Khotan è un regno piacevole e prosperoso, molto popolato. Gli abitanti seguono la nostra legge e amano divertirsi riunendosi per ascoltare e cantare le loro musiche religiose. Ci sono miriadi di monaci, la maggior parte di scuola mahayana. Tutti ricevono il loro cibo dai magazzini comuni. Le case della gente sono separate l’une dalle altre ed ogni famiglia ha un piccolo stupa davanti alla porta di casa. Nei monasteri ci sono delle foresterie che ospitano i monaci viaggianti, che sono riforniti per tutte le loro necessità. I monaci sono chiamati a mangiare dal suono di una campana: quando entrano nel refettorio, il  loro comportamento è ispirato ad una gravità riverente, prendo posto in modo ordinato il tutto in un perfetto silenzio. Non si sente alcun rumore dalle loro ciotole o da altri utensili durante il pasto e se qualcuno di questi uomini puri ha bisogno di cibo, non può chiamare gli inservienti ma solo fare dei segnali con le mani…».

Alcuni compagni di Fa Xian partirono in anticipo, mentre Fa Xian rimase là con il resto del gruppo per altri tre mesi, perché voleva vedere le processioni delle immagini. Ed ecco come le descrive:

Il re di Khotan
«In quel reame ci sono quattro grandi monasteri, senza contare quelli più piccoli. A partire dal primo giorno del quarto mese dell’anno, i monaci spazzano e lavano le strade all’interno della città ripulendo anche i vicoli e strade secondarie. Davanti alla porta della città allestiscono una grande tenda, magnificamente adornata in tutti i modi possibili, dove il re e la regina, con le cortigiane in abiti sfarzosi, prendono temporanea residenza. I monaci del monastero Gomati, di tradizione mahayana, tenuti in grande reverenza da parte del re, hanno la precedenza su tutti gli altri nella processione: a distanza di un paio di chilometri dalla città, allestiscono un grande carro che trasporta le immagini sacre in una configurazione che richiama la sala grande del monastero. Le sette sostanze preziose (cioè oro, argento, lapislazzuli, quarzi, rubini, diamanti  e agate) sono tutte presenti sul carro assieme a drappi di seta e baldacchini tutto intorno. L’immagine principale del Buddha è sistemata nel centro del carro, con due Bodhisattva che lo scortano, mentre quelle dei Deva [esseri soprannaturali] tutte impreziosite da oro ed argento sono disposte appese ai fianchi in guisa di corteo. Quando il carro arriva in prossimità della porta della città, il re si toglie la corona e si cambia d’abito indossando un semplice saio e portando fiori ed incenso, esce dalla sua tenda per rendere omaggio alle immagini sacre, circondato da due ali di cortigiani. Prostrato a terra ai piedi del carro sacro sparge i fiori e brucia l’incenso. Il carro poi entra in città, accompagnato dalla regina e dalle dame di corte che spargono ogni tipo di fiore al suo passaggio. Nei giorni successivi il rito si ripete: ogni monastero infatti prepara il proprio carro sacro ed effettua la processione, finché al quattordicesimo giorno, il rito termina ed il re ritorna nel suo palazzo».


Terminato il rito delle processioni, Fa Xian riprese il cammino verso l’India. A partire da Khotan, raggiunse Tashkurgan, vicino a Kashgar, dove i due rami della Via della Seta che aggiravano il deserto di Taklamakan si ricongiungevano per poi proseguire ad ovest verso il Mediterraneo e a sud verso l’India. In quest’ultima direzione, le difficoltà del viaggio cambiavano totalmente: non più zone calde e desertiche come quelle incontrate nel bacino del Tarim, ma altissime ed impervie montagne da attraversare. Per arrivare in India bisognava infatti superare il passo del Karakorum, alto oltre 5.500 m. che collega Yarkand a Leh nel Ladakh. Fa Xian così commenta quella fatica: «la neve le ricopre tutto l’anno e in quelle rigide zone si possono incontrare draghi velenosi che ,se provocati, sputano dei venti velenosi dalle loro fauci e provocano tormente di neve o tempeste di sabbia: solo uno su diecimila si salva quando incontra questi pericoli. La gente del luogo chiama questa catena “ Monti Nevosi” ». Oggi, come si può vedere dalla cartina, c’è una comoda autostrada che collega il Xinjiang all’India (anche se, per motivi climatici, il passo è aperto “solo” da maggio ad ottobre!).


Dopo un altro mese di viaggio raggiunsero Skardu [ nel Ladak] dove Fa Xian ritrovò i suoi compagni di viaggio che erano partiti prima. Di qui si mossero verso l’India Settentrionale e dopo un altro mese di cammino, Fa Xian e i suoi compagni arrivarono in India, nel Punjab: e qui lasciamo il nostro pellegrino alla ricerca dei libri sacri buddhisti.


Dopo 14 anni Fa Xian tornò in Cina via mare non senza gravi difficoltà dovute a vari naufragi. Riuscì comunque a portare con sé molti testi buddhisti ed immagini sacre e passò il resto della sua vita a tradurre e commentare le scritture che aveva raccolto.


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