Dao De Jing

Senza uscire dalla porta di casa puoi conoscere il mondo,
senza guardare dalla finestra puoi scorgere il Dao del cielo.
Più si va lontano, meno si conosce.
Per questo il saggio senza viaggiare conosce,
senza vedere nomina, senza agire compie.
Dao De Jing, Lao Zi

martedì 25 ottobre 2011

L'incredibile Zhang Qian, che cercando i Yuezhi, trovò la Via della Seta


Il bacino del Tarim
Alla fine del 1980, nel remoto deserto Taklamakan, nel bacino del Tarim (oggi provincia cinese dello Xinjiang) vennero rivenute delle mummie perfettamente conservate di 3000 anni che avevano lunghi capelli biondo-rossicci, caratteri europei e nessuna caratteristica dell’odierno popolo cinese, tanto che gli archeologi pensano che possono essere stati i cittadini di un’antica civiltà sconosciuta che esisteva nel crocevia tra l’Asia e l’Europa.

Molte delle mummie sono state trovate in buone condizioni, grazie alla secchezza del deserto che ha indotto il disseccamento dei cadaveri. Le mummie condividono molte caratteristiche tipiche dei Caucasici, e molti di loro hanno i capelli fisicamente intatti, hanno colori che vanno dal biondo al rosso al marrone e, in generale, lunghi, riccio e intrecciati. I loro costumi e vesti indicano una comune origine indo-europea neolitica: ad esempio l’uomo di Charchan indossava una tunica rossa e gambali di tartan. Il tessuto trovato con le mummie e uno dei primi tessuti europei e sono simili ai prodotti tessili trovati sui corpi nelle miniere di sale in Austria di circa 1300 a.C. Recentemente un team di ricercatori americani e cinesi ha confermato grazie alla sequenza dei dati del DNA, che le mummie hanno caratteristiche della zona del sud della Russia e dell’Europa occidentale.
L'uomo di Charchan

Gli studiosi in materia hanno elaborato diverse ipotesi sulla origine di queste popolazioni: l'opinione dominante è che fossero Indoeuropei, e potrebbe trattarsi del popolo noto come Tocari nelle fonti classiche, o di un popolo affine. Di questi Tocari non è chiara né la lingua né l'appartenenza etnica. È stato ipotizzato che fossero popolazioni iraniche dell'Asia Centrale affini agli Sciti, ma è anche possibile fossero di origine proto-turca. È verosimile che questi indoeuropei occidentali siano stati i fondatori e primi abitatori delle città-oasi nel deserto di Taklamakan, in Uigur, tra cui si possono citare: Turfan, Kucha, Aksu, Karashahr, Cherchen.



I cinesi chiamavano Yuezhi gli abitanti del bacino del Tarim: diverse fonti storiche in lingua cinese, infatti, fanno cenno all'esistenza di un «popolo bianco dai lunghi capelli» che viveva oltre i confini nord-occidentali della Cina. La prima testimonianza cinese del popolo Yuezhi risale al 645 a.C. per opera del letterato Guan Zhong che nel suo Guan Zi (Scritti del Maestro Guan), fa menzione di un popolo Yuzhi (禺氏) , un popolo del nord-ovest, esportatore di giada, estratta dalle montagne di Yuzhi nella provincia di Gansu. Il commercio della giada dal Bacino del Tarim è documentato sin dall'antichità, anche con il supporto di specifici ritrovamenti archeologici. Secondo il sinologo sovietico Yury Zuev intorno al III secolo a.C. i Yuezhi conquistarono le terre dei Tocari presso le sorgenti del Fiume Giallo. Sempre secondo Zuev le cronache cinesi dell'epoca si riferiscono a questo popolo i Yuezhi Maggiori (Da Yuezhi), in contrapposizione agli Yuezhi Minori (Xiao Yuezhi) con cui indicava il popolo Tocari. Le due popolazioni venivano poi considerate un tutt'uno con il nome appunto di Yuezhi.


Zhang Qian

Fino a qui niente di straordinario:storie di scoperte archeologiche, di teorie sulle origini dei popoli. Ma ecco la incredibile storia di Zhang Qian: nel 138 a.C l'imperatore Wudi della dinastia Han , inviò nelle regioni a nord-ovest, oltre i confini dell’impero, un oscuro funzionario di nome Zhang Qian con cento uomini di scorta alla ricerca del popolo degli Yuezhi al fine di stipulare un'alleanza militare contro i comuni nemici Xiongnu.

Da sempre i cinesi erano minacciati a nord da una popolazione formata da tribù nomadi, gli Xiongnu, che antichissimi resoconti storici cinesi riferiscono discendere dalla prima dinastia cinese, la mitica dinastia Xia. Il loro territorio si estendeva dalla Siberia meridionale, la moderna Mongolia, la Manciuria occidentale e le odierne province cinesi di Gansu e Xinjiang. Questi nomadi erano considerati così pericolosi e distruttivi, che la dinastia Qin iniziò la costruzione della Grande Muraglia per proteggere la Cina dai loro attacchi. Le relazioni fra le prime dinastie cinesi e gli Xiongnu erano complesse, con ripetuti periodi di confronti militari e intrighi alternati a scambi di tributi, commercio e matrimoni combinati a scopo politico. Alcuni storici ipotizzano che gli Unni che invasero l’Europa ne IV secolo d.C. siano parte degli Xiongnu migrati verso ovest dopo la definiva sottomissione delle tribù orientali da parte dei cinesi.



Ovviamente anche gli Yuezhi erano in conflitto continuo con gli Xiongnu: gli Yuezhi praticavano frequentemente lo scambio di ostaggi con i loro nemici. una volta ebbero l’occasione di detenere prigioniero Modu Shanyu, figlio del capo tribù degli Xiongnu. Il padre di Modu decise di sferrare un attacco a sorpresa contro i Yuezhi, che cercarono quindi di ucciderlo per rappresaglia. Modu riuscì fortunosamente a fuggire e tornato in patria uccise suo padre e divenne leader del suo popolo.

In questa veste, intorno al 177 a.C., Modu guidò una poderosa spedizione per invadere il territorio degli Yuezhi nella regione di Gansu, ottenendo importanti successi militari. Fu così che si vantò con l'imperatore cinese Han che «grazie al valore in combattimento dei suoi uomini e alla forza dei suoi cavalli, era riuscito a scacciare gli Yuezhi dalle loro terre, massacrando o costringendo alla sottomissione gran parte delle loro tribù». Il figlio di Modu, Jizhu, riuscì a sua volta ad uccidere il sovrano Yuezhi e, secondo le leggi delle tribù nomadi, ricavò un boccale dal teschio del suo nemico.

Secondo fonti della tradizione storica cinese, da allora una parte del popolo Yuezhi fu sottomesso al dominio degli Xiongnu, mentre una vasta porzione del popolo Yuezhi riuscì a migrare dalla regione di origine verso nord-ovest, insediandosi prima nella valle del fiume Ili subito a nord della catena montuosa dei Tian Shan[ I Monti Celesti] , dove si scontrarono con il popolo dei Sai (o Saci). Secondo il classico della storiografia cinese, Han Shu: «Il popolo Yuezhi attaccò il re del popolo Sai che fuggì molto lontano verso sud, cosicché gli Yuezhi occuparono le sue terre.»

Dopo il 155 a.C la popolazione nomade dei Wusun, nemica degli Yuezhi, si alleò con gli Xiongnu, per scacciare gli antichi nemici ancora più a sud. Fu così che il popolo Yuezhi fu costretto a un nuovo esodo verso le terre della civiltà Dayuan, nella Valle di Fergana, insediandosi lungo la riva settentrionale dell'Osso, nella regione di Transoxiana, fra l'odierno Tagikistan e l'Uzbekistan, poco a nord del regno ellenistico greco-battriano

Nelle cronache cinesi Shi Ji (Memorie Storiche) dello storico Sima Qian, risalente al II-I secolo a.C. Nello Shi Ji si narra che:

«Gli Yuezhi originariamente vivevano nella regione che si trova tra i Monti Qilian e la città di Dunhuang, tuttavia dopo essere stati sconfitti dal popolo degli Xiongnu essi migrarono lontano a occidente, oltre le regioni abitate dagli Dayuan, dove essi attaccarono e conquistarono il popolo Daxia e la loro terra e posero la corte del loro sovrano lungo la sponda settentrionale del fiume Amu Darya. Una piccola parte di questo popolo, tra coloro che non furono in grado di intraprendere il lungo viaggio verso occidente, si rifugiarono fra le popolazioni barbare dei Qiang e vengono detti Yuezhi minori.»

Nel 124 a.C. gli Yuezhi furono impegnati in un conflitto con i Parti, nel quale venne ferito e ucciso il sovrano Artabano I di Partia. Subito dopo questo conflitto, forse per le continue incursioni dei loro nemici da nord, o forse per le rinnovate ostilità dei Parti gli Yuezhi si spostarono ulteriormente a sud verso la Battria.

Questa regione era stata conquistata intorno al 330 a.C. dalle truppe di Alessandro Magno, che vi aveva fondato un regno ellenico. Dopo la sua morte (323 a.C.), il potere effettivo era passato nelle mani dei suoi generali, che si erano divisi le sue immense conquiste. La Persia era stata suddivisa tra vari satrapi macedoni, tra i quali era emersa presto la figura di Seleuco, satrapo di Babilonia, che aveva regnato con il titolo persiano di «Gran Re» su un impero che si estendeva dall'Afghanistan al Mar Egeo.

Durante quegli anni l'attenzione dei Seleucidi era stata concentrata a occidente per le ripetute guerre con L’ Egitto tolemaico e un'invasione di Galli in Asia Minore. Ne avevano approfittato i satrapi delle province più orientali per rendersi indipendenti: Diodoto aveva fondato il regno della Battria, che tuttavia sopravvisse poco a causa dell'invasione degli Yuezhi. La tradizione vuole che la città greca di Alessandria sull’Osso sia stata rasa al suolo dai Yuezhi durante la loro conquista.

E fu proprio durante la loro permanenza in Transoxiana, che i Yuezhi ricevettero l'ambasciata cinese guidata dell'inviato imperiale Zhang Qian: ma come mai l’ambasciatore cinese arrivò solo allora?

il viaggio di Zhang Qian
Ricordate? Zhang Qian, funzionario imperiale, aveva lasciato la capitale Chang’an nel 136 a.C. con cento uomini di scorta con la missione di tentare un’alleanza con i Yuezhi per contrastare i Xiongnu. Purtroppo, attraversando il territorio dei Xiongnu, era stato fatto prigioniero e trattenuto come schiavo per quasi dieci anni. In quel periodo tuttavia era riuscito a guadagnare la fiducia del capo tribù ed aveva anche sposato una donna Xiongnu che gli aveva dato un figlio maschio. Ma il fedele Zhang Qian non aveva mai dimenticato la missione che l’imperatore gli aveva affidato: capitatagli una occasione propizia, fuggì con la moglie e il figlio e attraversando il bacino del Tarim costeggiando i monti Kunlun aveva inseguito gli spostamenti dei Yuezhi e finalmente era giunto ai loro territori dopo ben dodici anni dall’inizio del suo viaggio.

Ma la cosa più beffarda fu che la missione diplomatica si rivelò un insuccesso: l'alleanza con i cinesi venne rifiutata in quanto i Yuezhi, essendosi spostati molto ad ovest, non erano più interessati a contrastare i Xiongnu. Tuttavia la missione di Zhang Qian non fu priva di conseguenze [serendipità …]. L'inviato imperiale ebbe tempo per studiare a fondo la cultura del popolo Yuezhi, del quale fece un dettagliato resoconto nel suo scritto Shiji, considerato un documento fondamentale per la conoscenza della situazione dell'Asia Centrale in questa epoca storica. Zhang Qian trascorse circa un anno ospite degli Yuezhi e fece diverse escursioni in Battria. Nel suo scritto ci rivela che:

«Gli Yuezhi Maggiori vivono a circa 2.000 o 3.000 "li" (circa 1.247 kilometri) a ovest di Dayuan, a nord del fiume Gui (l'Osso). Essi confinano a sud con i Daxia, a ovest con gli Anxi (i Parti), e a nord con i Kangju. Sono una nazione di nomadi, e si spostano da un pascolo all'altro con il loro bestiame, ed hanno costumi molto simili a quelli degli Xiongnu. Il loro esercito è composto da circa 100.000 o 200.000 arcieri.»

Organizzati in cinque tribù principali, ognuna di esse era guidata da un capo tribù detto yabgu.
Sempre grazie alla testimonianza scritta di Zhang Qian, abbiamo anche una descrizione del regno greco-battriano dopo la conquista da parte degli Yuezhi. Scrive il diplomatico cinese:

« Daxia si trova a circa 2.000 li a sud-ovest di Dayuan, a sud del fiume Gui. La sua popolazione è dedita alla coltivazione ed hanno città e abitazioni. I loro costumi sono come quelli dei Dayuan. Essi non hanno un sovrano ma piuttosto piccoli regnanti che governano le varie città. La popolazione non è addestrata a combattere e non ama la guerra, ma è molto abile nel commercio. Dopo che i Yuezhi Maggiori si spostarono a occidente e attaccarono questo popolo, tutta la loro terra è finita nelle mani degli invasori. La popolazione è numerosa, circa 1.000.000 di persone, e la loro capitale è la città di Lanshi (la moderna Balk) dove si trova un grande mercato dove è possibile comprare ogni sorta di mercanzia.»



Ripresa la via del ritorno, Zhang Qian fu nuovamente catturato dai Xiongnu, ma anche questa volta gli fu risparmiata la vita perché fu apprezzato il suo senso del dovere e la compostezza dimostrata di fronte alla morte. Due anni dopo, nel 115 a.C. approfittando della morte del capo dei Xiongnu e dei disordini che si erano creati tra le tribù, Zhang Qian riuscì nuovamente a fuggire ed a tornare in Cina, dove fu accolto con grandi onori, insignito del titolo di «Grande Messaggero» e nominato ministro. Un anno dopo il suo ritorno in patria, Zhang Qian morì.


Zhang Qian
Zhang Qian quindi è stato il primo diplomatico ufficiale di riportare informazioni affidabili su Asia Centrale alla corte imperiale cinese, e ha giocato un importante ruolo pionieristico nella colonizzazione cinese e la conquista della regione ora conosciuta come Xinjiang. Oggi Zhang Qian è considerato un eroe nazionale e riverito per il ruolo fondamentale ha giocato in apertura della Cina verso il mondo degli scambi commerciali.

La sua missione ha portato i cinesi a contatto con gli avamposti orientali della cultura ellenistica; questi contatti portarono immediatamente all'invio di diverse ambasciate da parte della Cina: con il successivo controllo stabilito dall’impero Han sull’Asia Centrale con l’assoggettamento dei Xiongnu venne favorito lo sviluppo dei traffici con l’Occidente che si svolgevano lungo quella che diventò poi la «Via della Seta».


Ma Il contributo dei Yuezhi allo sviluppo dei contatti tra Oriente ed Occidente non finisce qui: nel secolo successivo, la tribù Yuezhi del Guishuang (貴霜) ottenne la supremazia sugli altri, e unificò la regione formando una solida confederazione. Il nome Guishuang fu adottato ad occidente e modificato in Kushan o Kusana per designare la confederazione, per quanto i cinesi continuassero a chiamarli Yuezhi.

Ottenendo gradualmente il controllo dell'area dalle tribù indo-scitiche, i Kusana si espansero a sud nella regione tradizionalmente nota come Gandhara, un'area che copre principalmente il Potohwar pakistano ma che si stende anche in un arco che include la valle di Kabul e parte di Kandahar in Afghanistan. Fondarono capitali gemelle nei pressi delle odierne Kabul e Peshawar allora note come Kapisa e Pushklavati.


I Kusana fecero loro molti elementi della cultura ellenica della regione della Battriana, in cui si erano insediati. Adattarono l'alfabeto greco (spesso alterandolo) per rispondere alle esigenze del loro linguaggio (sviluppando la lettera Þ "sh", come in "Kushan") e ben presto cominciarono a coniare monete di foggia greca. Poi gradualmente iniziarono ad adottare anche la cultura indiana come gli altri gruppi nomadi che avevano invaso l'India. Il primo grande imperatore Kusana sembra avesse adottato lo Sivaismo, come indicato dalla sue monete. I successivi imperatori incarnarono un'ampia varietà di dei Indiani o dell'Asia Centrale, così come Buddha.

All'apice della dinastia i Kushan controllavano un territorio che si estendeva dal Mare di Aral, attraverso gli odierni Uzbekistan, Afghanistan e Pakistan, fino all'India Settentrionale.

L'unità non stringente e la relativa pace di un tale vasto territorio incoraggiarono i commerci a lunga distanza, portò le sete cinesi a Roma e creò file di centri urbani fiorenti. Il dominio dei Kushan collegò le rotte commerciali marine dell'Oceano Indiano con quella della Via della Seta, attraverso la valle dell’Indo. Fiorirono anche gli scambi culturali, incoraggiando lo sviluppo del Buddhismo greco, una fusione di elementi culturali ellenistici e buddhisti, che si sarebbe espanso nell'Asia centrale e settentrionale come buddhismo Mahayana.

I Kusana furono infine un elemento di cerniera tra l’Impero Romano e quello cinese. Diverse fonti romane descrivono la visita di ambasciatori dei re di Bactria e India, durante il II secolo, riferendosi probabilmente ai Kushan. Elio Spartiano, parlando dell'imperatore Adriano (117-138 d.C.) nella sua Historia Augusta scrive:

«Reges Bactrianorum legatos ad eum, amicitiae petendae causa, supplices miserunt»
«I re dei Bactriani gli inviarono ambasciatori supplici, per ottenere la sua amicizia»

Anche nel 138, secondo Sesto Aurelio Vittore (Epitome‚ XV, 4),Antonino Pio, successore di Adriano, ricevette ambasciatori indiani, bactriani (Kushan).

La cronaca storica cinese dell'Hou Hanshu descrive inoltre lo scambio di merci tra l'India nord-occidentale e l'Impero Romano dell'epoca:

«Ad ovest (Tiazhu, India nord-occidentale) comunica con Da Qin (l'Impero romano). Cose preziose dal Da Qin si possono trovare qui, così come fini vesti in cotone, eccellenti tappeti di lana, profumi di ogni sorta, pani dolci, pepe, zenzero e sale nero.»

Durante i I e il II secolo, l'Impero Kushan si espanse militarmente verso nord e occupò parti del Bacino del Tarim, loro luogo di origine, mettendole al centro del redditizio commercio centro-asiatico con l'Impero Romano. Viene riportato che collaborarono militarmente con i cinesi, contro incursioni nomadiche, in particolare quando collaborarono con il generale cinese Ban Chao contro i Sogdiani nell'84 d.C., quando questi ultimi stavano cercando di appoggiare una rivolta del re di Kashgar. Attorno all'85, aiutarono il generale cinese anche in un attacco su Turfan, ad est del Bacino di Tarim. In riconoscimento del loro aiuto ai cinesi, i Kushan richiesero, vedendosela negata, una principessa Han, anche dopo che inviarono dei doni alla corte cinese. Per rappresaglia, marciarono su Ban Chao nell'86 con una forza di 70.000 uomini, ma esausti per la spedizione, vennero infine sconfitti dalla più piccola forza cinese. I Yuezhi si ritirarono e pagarono un tributo all'Impero Cinese durante il regno dell'imperatore Han He (89–106 d.C.). Più tardi, attorno al 116, i Kushan fondarono un regno incentrato su Kashgar, prendendo inoltre il controllo di Khotan e Yarkand, che erano dipendenze cinesi nel Bacino del Tarim.

Seguendo queste interazioni, gli scambi culturali aumentarono ulteriormente, e i missionari buddhisti kushan come Lokaksema, Zhigian e Dharmaraksa, divennero attivi nelle città capitali cinesi di Luoyang e talvolta di Nanjing, dove si distinsero particolarmente per i loro lavori di traduzione delle scritture Hinayana e Mahayana in Cina, contribuendo enormemente alla diffusione del Buddhismo sulla Via della Seta.

A partire da Chang’an attraversava il corridoio del Gansu e a Dunhuang si divideva in due strade: una si volgeva verso nord-ovest e costeggiava il bordo settentrionale del bacino del Tarim, toccando Turfan, Karashahr, Kucha e Kashgar, quindi raggiungeva il Fergana, attraversando i monti del Pamir e si dirigeva verso il mediterraneo passando per Merv, Ctesifonte e Palmira. L’altra volgeva verso sud-ovest e costeggiava il bordo meridionale del bacino del Tarim, toccando Shanshan (Loulan), Kotan e Yarkand, quindi attraversava i monti del Pamir e giungeva a Bactra (Balkh); di qui partivano due percorsi, uno diretto verso l’India, l’altro diretto verso il Mediterraneo

E  come tutte le parabole umane,a partire dal III secolo l'Impero Kushan iniziò a frammentarsi in vari sottoregni fino a che i resti dell’ impero Kushan vennero definitivamente spazzati via dall’invasione degli Unno Bianchi nel V secolo e successivamente dall’espansione dell’Islam … ma intanto avevano cambiato in modo irreversibile le relazioni Oriente-Occidente.

Fonti:

http://ilfattostorico.com/2010/03/16/le-mummie-del-bacino-del-tarim/
http://salinguerra.wordpress.com/2009/08/11/le-mummie-di-tarim/
http://en.wikipedia.org/wiki/Zhang_Qian
http://monkeytree.org/silkroad/zhangqian.html
http://it.wikipedia.org/wiki/Xiongnu
http://it.wikipedia.org/wiki/Yuezhi
http://it.wikipedia.org/wiki/Dinastia_Han

lunedì 17 ottobre 2011

Alessandro Magno, il suo impero confinava con la Cina

Alessandro Magno (356 – 323 a.C.) fu re di Macedonia a partire dal 336 ed è conosciuto anche come Alessandro il Conquistatore: è considerato infatti uno dei più celebri conquistatori e strateghi della storia. In soli dodici anni conquistò l'intero Impero Persiano, dall'Asia Minore all'Egitto fino agli attuali Pakistan, Afghanistan e India settentrionale. Le sue vittorie sul campo di battaglia, accompagnate da una diffusione universale della cultura greca e dalla sua integrazione con elementi culturali dei popoli conquistati, diedero l'avvio al periodo ellenistico della storia greca. Un merito non secondario dell’azione di Alessandro è stato l’avvio dell'apertura della Via della Seta, unione dell'Estremo Oriente con l'Occidente, diretta conseguenza dell'espansione del suo impero verso l'Asia Centrale fino alla valle di Fergana, ai confini della provincia cinese dello Xinjiang. Alessandro morì per cause misteriose a Babilonia, a soli 33 anni: dopo la sua morte, l'impero venne suddiviso tra i generali che lo avevano accompagnato nelle sue conquiste, costituendo di fatto i regni ellenistici, tra cui quello Tolemaico in Egitto, quello degli Antigonidi in Macedonia e quello dei Seleucidi in Siria, Asia Minore, e negli altri territori orientali.



L'antica Macedonia
Ma chi erano questi Macedoni? Gli studiosi moderni li hanno definiti come un popolo indoeuropeo insediato già nel II millennio a.C. nella regione balcanica che da loro ha preso il nome. Impossibile affermare con sicurezza se i Macedoni fossero greci: le testimonianze del macedone antico sono troppo scarse e potrebbe trattarsi sia di una lingua greca, sia di una lingua in parte grecizzata. Rimane il fatto che per lungo tempo vennero considerati popolazione semi-barbara dagli abitanti delle colonie greche a loro sottomesse.

La Macedonia tuttavia entra da protagonista nella storia greca con Filippo II, il re della dinastia degli Argeadi che prende il potere nel 356 a. C. Filippo II - padre di Alessandro - in un primo tempo riorganizza il regno di Macedonia, creando una vera e propria corte di nobili .

Filippo II
Successivamente Filippo riesce ad approfittare della debolezza delle poleis greche, in continua lotta per l’egemonia e al tempo stesso minacciate dalla potenza persiana. Con la battaglia di Cheronea (338 a. C.) ottiene un successo decisivo contro la coalizione antimacedone formata essenzialmente da Atene e da Tebe. Subito dopo si mette a capo di una lega panellenica, con l’obiettivo di intraprendere la guerra contro la Persia. Si sta già svolgendo la fase preparatoria della spedizione, quando però Filippo viene assassinato (336 a. C.) da Pausania, un ufficiale della guardia, a seguito di una congiura di palazzo di cui le fonti antiche danno varie e talvolta fantasiose spiegazioni. Lo stesso figlio Alessandro e sua madre Olimpiade, terza moglie di Filippo, sono sospettati di essere gli istigatori della congiura, se è attendibile il racconto di Plutarco.

E qui inizia la parabola di Alessandro: fisicamente non era avvenente ma era tozzo e di corporatura robusta; aveva gli occhi di colore diverso (uno blu l'altro marrone, o forse uno sull'azzurro e l'altro nero), mentre la sua voce era aspra. Fra gli scultori del tempo, Lisippo ritraeva molto fedelmente il giovane Alessandro: nel realizzare il ritratto di Alessandro trasformò il difetto fisico - che obbligava il giovane re a tenere la testa sensibilmente reclinata su una spalla - in un atteggiamento verso l'alto che sembra alludere a un certo rapimento celeste, «un muto colloquio con la divinità».

Alessandro ritratto da Lisippo
La sua educazione fu curata particolarmente: ebbe come maestro il filosofo Aristotele, da cui Alessandro apprese l'amore per la medicina, per la filosofia, e per la letteratura. Alessandro resterà legato a quest’uomo per tutta la vita, sia come amico che come confidente. Di lui diceva: «Mio padre Filippo, dandomi la vita, mi ha fatto scendere dal cielo in terra; Aristotele, con la sua istruzione, mi ha fatto risalire dalla terra al cielo». Tra i vari autori quello che preferiva era Omero, di cui ammirava soprattutto l'Iliade: Alessandro giudicava questo poema un testo fondamentale di virtù bellica e non se ne separava mai. Dimostrò ben presto un carattere inflessibile, desideroso di gloria e fama, ma mitigato da un forte senso del dovere. La moderazione, la lealtà, ed il coraggio sono altre doti che i biografi antichi gli attribuiscono. Si racconta che un giorno alla corte macedone fu portato uno splendido cavallo, ma scontroso e intrattabile: Alessandro fu l'unico capace di domarlo. Quel cavallo era Bucefalo, che divenne il suo fedele compagno in ogni battaglia, morendo durante la campagna indiana.

Alessandro e Diogene


Un altro famoso aneddoto su Alessandro, riferisce al suo incontro con il filosofo cinico Diogene, che viveva in una botte, disprezzando le consuetudini sociali e rinunciando a tutti i beni superflui. Per provocarlo, Alessandro gli mandò un vassoio pieno di ossi e lui lo accettò e gli mandò a dire causticamente: «Degno di un cane il cibo, ma non degno di re il regalo». In seguito – come riferisce Plutarco in Vite Parallele - «Il re in persona andò da lui e lo trovò che stava disteso al sole. Al giungere di tanti uomini egli si levò un poco a sedere e guardò fisso Alessandro. Questi lo salutò e gli rivolse la parola chiedendogli se aveva bisogno di qualcosa; e quello: − “Scostati un poco dal sole”. A tale frase si dice che Alessandro fu così colpito e talmente ammirò la grandezza d'animo di quell'uomo, che pure lo disprezzava, che mentre i compagni che erano con lui, al ritorno, deridevano il filosofo e lo schernivano, disse: − «Se non fossi Alessandro, vorrei essere Diogene».

Dopo la morte del padre, Alessandro deve immediatamente consolidare il proprio potere. In primo luogo, con il pretesto di individuare e punire i mandanti dell’assassinio del padre, elimina tutti i membri della famiglia reale che potevano avanzare pretese dinastiche. Poi, con la campagna di Illiria (335 a. C.) sconfigge tutti i popoli dell’area centrale balcanica per proteggere meglio i confini settentrionali della Macedonia, ed infine impone la sua egemonia alla Grecia. L’unica città che si ribella apertamente è Tebe, che viene assediata e distrutta. Alessandro vuole che sia risparmiata dalla distruzione solo la casa del poeta Pindaro, per sottolineare di essere ammiratore e sostenitore della cultura greca. Subito dopo riprende il programma del padre e guida la grande spedizione che, in dieci anni, lo porterà a sottomettere l’impero persiano e spingersi oltre, fino all’Asia centrale e all’Indo, prima di rientrare a Babilonia, scelta come capitale dell’impero.

L’ostilità tra Macedoni, Greci e Persiani risale a molto tempo prima: nel 499 a.C., istigati da Aristagora, tiranno di Mileto, le colonie ioniche avevano costituito la cosiddetta «lega ionica» ribellandosi ai satrapi persiani locali. Galvanizzati dal successo, ai ribelli si erano uniti le città dell'Ellesponto, della Caria e di Cipro. La reazione di Dario I dei persiani fu a questo punto durissima: a una a una costrinsero alla resa le città greche, finché nel 494 a.C. schiacciarono definitivamente la rivolta. Nel 492 a.C. Mardonio, generale di Dario I tentò l'impresa della conquista greca, dopo aver eliminato tutti i tiranni nelle poleis asiatiche e soggiogato il regno di Alessandro I di Macedonia, ma fallì a causa di una terribile tempesta presso il monte Athos, nella penisola calcidica, che distrusse la flotta.

Nonostante l'insuccesso, nel 490 la spedizione fu ritentata sotto il comando del generale Artaferne. La flotta persiana passò per Samo, espugnò Nasso, sottomise il resto delle isole Cicladi e proseguì verso Eretria e la distrusse. Atene a quel punto si ritrovò da sola a fronteggiare l'esercito persiano, ma grazie alle capacità militari di Milziade riuscì a resistere . I Persiani furono sconfitti nella battaglia di Maratona e respinti sulle navi. Secondo il mito l'esito positivo di questo scontro fu riportato direttamente dal campo di battaglia ad Atene da Filippide: la sua impresa che consisté nel ricoprire tale distanza correndo è ricordata ancor oggi con, appunto, la gara atletica della «maratona».

Nel 486 a Dario I succedette Serse I. Il figlio decise di vendicare la sconfitta paterna e organizzò subito una nuova spedizione. Se la guerra portata da Dario doveva configurarsi solamente come spedizione punitiva nei confronti delle città che avevano aiutato i rivoltosi ionii, l'impresa di Serse si poneva, invece, intenti di espansione e conquista territoriale del continente greco, al fine di ridurlo a satrapia dell'Impero.

Di fronte al pericolo i rappresentanti delle poleis greche decisero di costituire un'alleanza difensiva, conosciuta come «lega panellenica», sotto il comando del re Leonida di Sparta. Ma nonostante i progetti di iniziativa comune, i Greci si presentarono sostanzialmente divisi di fronte all'invasione: gli Spartani premevano perché si affrontassero i Persiani sulla terraferma e lo si facesse all'imbocco del Peloponneso, presso l'istmo di Corinto, che nel frattempo veniva fortificato; gli Ateniesi ritenevano invece che fosse preferibile opporsi con la flotta. Prevalse il piano spartano, ma gli Ateniesi spinsero perché si cercasse di fermare il nemico più a nord. A causa di questi contrasti, e giudicando erroneamente che Serse fosse ancora lontano, solo un ristretto contingente si posizionò al passo delle Termopili, che era la strettoia obbligata verso la Grecia centrale, per sbarrare la strada ai nemici. Nell'agosto del 480 avvenne lo scontro tra i due eserciti. Dopo giorni di combattimento, mentre, poco distante, le forze navali nemiche si fronteggiavano senza che l'una riuscisse a prevalere nettamente sull'altra presso Capo Artemisio, il grosso dell'esercito greco si ritirò, tranne i trecento Spartani di Leonida e i settecento Tespiesi che, circondati dai nemici per il tradimento di Efialte, il quale aveva indicato ai Persiani un sentiero montano per aggirarli, si sacrificheranno per ritardare l'avanzata persiana e dare tempo agli alleati di ripiegare.


La battaglia delle Termopili
Superato il passo, i Persiani dilagarono in Grecia. L'Attica e la Beozia furono devastate, Atene venne saccheggiata e data alle fiamme. La flotta greca, però, era ancora pressoché integra, e a questo punto prevalse la strategia della battaglia per mare dell'ateniese Temistocle: a un mese dalla disfatta delle Termopili, in settembre, avvenne la decisiva battaglia navale presso l’isola di Salamina, vinta dai Greci, che indicò la via per avere ragione della flotta persiana, più numerosa, ma che usava navi troppo grandi e difficilmente maneggiabili in quel tratto così stretto di mare. L'anno dopo (478 a.C.) le città ionie dell'Asia Minore furono liberate da una flotta greca guidata dallo spartano Pausania.

Nel trentennio successivo continuarono gli scontri con i Persiani. Cimone, il nuovo stratega ateniese a capo della Lega di Delo, distrusse l'armata e la flotta persiane nel 467 a.C. presso il fiume Eurimedonte in Asia Minore. Alla fine nel 449 a.C. con il contributo di Pericle (di fatto capo di Atene) venne stipulata la pace di Callia: si trattava in definitiva di un trattato di non-aggressione, dove si stabilì l'autonomia delle città greche dell'Asia Minore, benché facenti parte dell'Impero Persiano, il controllo dei Persiani su Cipro e il divieto per le navi da guerra persiane di entrare nel Mar Egeo. Ma i sovrani persiani non rinunciarono mai alle loro mire sulla Grecia e si occuparono sempre di seminare zizzania fra le varie poleis finanziandone ora l'una ora l'altra, o addirittura le fazioni politiche all'interno di una stessa città.

E’ con queste premesse che, ben un secolo dopo, nella primavera del 334 Alessandro, dopo aver consolidato la sua posizione in Grecia , iniziò le ostilità contro i Persiani, sbarcando in Asia Minore con un esercito di circa 40.000 uomini, al comando di Parmenione. Ad Aristotele, che cercava di trattenerlo da questa impresa dicendo. «Aspetta di aver raggiunto la maggiore età: combatterai con maggior prudenza. », Alessandro aveva risposto: «È vero, ma nel frattempo perderei lo slancio della giovinezza. »


La falange macedone
Del suo esercito Alessandro fece uno strumento di formidabile efficienza: perfezionò innanzitutto la falange, rendendola irresistibile nell'urto e insuperabile nella difesa. Il fattore veramente nuovo nell'organizzazione militare di Alessandro fu tuttavia l'impiego della cavalleria, che divenne l'arma offensiva per eccellenza. La falange era destinata ad agganciare e a trattenere il grosso del nemico mentre la cavalleria pesante caricava a fondo non solo la cavalleria ma anche la fanteria avversaria. Lo schema di tutte le grandi battaglie di Alessandro presenta sostanzialmente le stesse caratteristiche: la massa delle fanterie posta al centro su due colonne, la cavalleria alle ali, con i reparti scelti a destra e comandati personalmente da lui. L'urto di questa cavalleria decideva le sorti della battaglia: Alessandro attaccava il nemico sempre su un fianco oppure avviluppava il centro avversario in una vigorosa manovra di doppio aggiramento, valorizzando al massimo il combattimento d'ala. Il genio militare di Alessandro non fu però mai prigioniero di una formula, ma si adattava senza posa alle contingenze. Uomo d'azione, prendeva e manteneva sempre l'iniziativa sul nemico partecipando personalmente alle battaglie più sanguinose. Tattico geniale, fu anche stratega accorto. Dopo la vittoria sfruttava il successo con l'inseguimento e la distruzione del nemico, con il controllo delle piazzeforti, la conquista dei magazzini e dei tesori avversari. Ebbe per regola costante di tenere unite le sue forze senza lasciarsi distrarre da scopi secondari a scapito dell'obiettivo principale; comprese la necessità di procurarsi in tempo notizie sul nemico e di garantire il suo esercito da sorprese e impiegò quindi largamente la cavalleria anche nel servizio di avanscoperta e di esplorazione lontana. Nel suo esercito non mancavano infine le macchine da guerra: torri su ruote, arieti, catapulte leggere per il lancio dei giavellotti e pesanti per quello delle pietre. Questo apparato tecnico era completato da reparti di zappatori e di pontieri, dagli addetti ai servizi dei trasporti, all'intendenza per il rifornimento dell'esercito con acquisti e requisizioni, al servizio sanitario, a una sezione topografica e al servizio dei dispacci che disponeva di corrieri e di stazioni di segnalazione ottica.

Nel maggio dello stesso anno, presso il fiume Granico, vicino al sito della leggendaria Troia, si svolse il primo scontro vittorioso contro i Persiani. L'Asia Minore era ormai aperta alla conquista macedone. Mentre il grosso dell'esercito svernava in Lidia al comando di Parmenione, Alessandro passò in Licia, in Panfilia, in Pisidia e in Frigia; L'intento di Alessandro era quello di conquistare tutte le città costiere impedendo l'attracco alle navi nemiche; nel frattempo si ebbe la notizia della morte di un figlio di Dario, ucciso per ordine dello stesso padre in quanto era in procinto di tradirlo. Alessandro nel giugno del 333 a.C. entrò nella Cilicia arrivando dopo molte miglia a Tarso.

A novembre, infine, il re persiano, temendo che l'inverno lo costringesse a ritirarsi nei quartieri invernali senza aver fermato Alessandro, gli venne incontro. Entrambi non sapevano esattamente dove si trovasse l'altro. Arrivato ad Isso, Dario trovò solo gli uomini abbandonati dal re avversario, in quanto non erano più utili all'imminente battaglia perché feriti o malati; il suo nemico si trovava a sole quindici miglia circa più a sud. Lo scontro iniziò alle cinque e mezzo del primo novembre. La battaglia si concluse con una completa disfatta dei Persiani: vennero catturati, oltre ad un immenso bottino, anche alcuni familiari di Dario tra cui sua madre. Il Grande Re perse le sue migliori truppe, quasi tutti i più validi ufficiali del suo esercito e soprattutto il proprio prestigio di condottiero, distrutto dalla sua precipitosa fuga davanti al nemico.

Alessandro rifiutò le proposte di pace di Dario preferendo la via della conquista all'accontentarsi dei numerosi territori fino a quel momento assoggettati. Invece di proseguire immediatamente verso l'Asia preferì entrare in Egitto al fine di coprire le spalle al suo esercito prima della spedizione successiva. Si dedicò quindi alle città costiere - Biblo e Sidone e Tiro, che cedettero rapidamente - per eliminare le ultime basi della flotta persiana.

Ma Dario insisteva con le sue proposte di pace: questa volta alla proposta erano allegati molti doni fra cui 10.000 talenti, la mano di sua figlia e il possesso di un vasto territorio sino all'Eufrate. Vi fu qui una celebre conversazione fra Alessandro e il suo generale Parmenione: «Se io fossi Alessandro, accetterei la tregua e concluderei la guerra senza più correre altri rischi». «Lo farei se fossi Parmenione; ma io sono Alessandro e come il cielo non contiene due soli, l'Asia non conterrà due re». Infatti, saputo del secondo rifiuto, Dario si dedicherà a radunare un esercito ancora più vasto del precedente.

Gerusalemme aprì le porte e si arrese. Nel novembre del 332 Alessandro iniziò il viaggio verso l'Egitto; superato dopo tre giorni il deserto, giunse in quelle terre venendo accolto come un liberatore e facendosi consacrare faraone: qui, infatti, il giogo persiano era maggiormente avvertito e poco accettato, poiché solo dodici anni prima il popolo era libero dal potere dei Persiani.

All'inizio del 331 a.C., sulle rive del Nilo, Alessandro decise di edificare una grande città che testimoniasse la sua grandezza; si racconta però che dopo un sogno, nel quale gli furono recitati alcuni versi dell'Odissea sull'isola di Faro, decise di costruirla nella regione del Delta del Nilo su una stretta lingua di terra tra la palude Mareotide ed il mare. Egli stesso disegnò la disposizione di piazze e mura da costruire. La città venne chiamata Alessandria d’Egitto.


Alessandria d'Egitto
Dopo un anno di sosta nel regno egiziano ritornò in Asia. Nella primavera del 331 Alessandro riprese la marcia verso oriente dove Dario aveva radunato un esercito nelle pianure dell'Assiria, luogo dove il sovrano persiano riteneva di sfruttare al meglio la propria superiorità numerica.

Dopo vari tentativi di Dario di confondere le truppe di Alessandro con finti attacchi e depistaggi, lo scontro avvenne presso il villaggio di Gaugamela nei pressi delle rovine di Ninive . La battaglia fu di vitale importanza per Alessandro. Si racconta che egli avesse solo 30.000 fanti e 3.000 cavalieri contro un milione di Persiani. Dello scontro nessuno storico poté dare un resoconto certo per via dell'enorme confusione creatasi: durante lo scontro la visibilità era ridotta di molto in quanto si poteva vedere ad una distanza di 4-5 metri ma non di più. Ci fu un attacco diretto da parte di Alessandro nei confronti del re nemico: il macedone colpì il cocchiere di Dario con una lancia uccidendolo. Il sovrano persiano, perso il carro, fuggì su di una giovane cavalla. Senza il comando reale le truppe rimanenti furono facile preda dei Macedoni, in quanto i Persiani pensavano che fosse il re ad essere stato trafitto dalla lancia:e quando si fece buio la battaglia terminò con la disfatta dei persiani. Alla fine di ottobre Alessandro entrò in Babilonia dove ottenne la sottomissione del satrapo Mazeo. Qui riposò circa cinque settimane ed ebbe tempo per osservare i giardini pensili costruiti da Nabucodonosor.


I giardini pensili di Babilonia
Si diresse quindi a Susa, raggiungendola in venti giorni, per impadronirsi dei tesori che vi si conservavano. A Susa il macedone si volle sedere sul trono del re persiano, evento tanto atteso dai sudditi a tal punto che Demarto non riuscì a trattenere le lacrime pensando ai morti lungo il percorso che persero tale spettacolo. Nel mese di gennaio dell'anno 330 Alessandro entrò infine a Persepoli, capitale dell'Impero Persiano, dove trovò circa centoventimila talenti di metallo prezioso non coniato.

Dario aveva intanto trovato rifugio ad Ecbàtana, dove fu raggiunto dai suoi uomini di fiducia (Besso, Barsaente, Satibarzane, Nabarzane, Artabazo).Nel maggio del 330 Alessandro marciò verso Ecbàtana, che si trovava a 450 miglia di distanza da Persepoli. Durante il tragitto ricevette alcuni rinforzi, arrivando ad un totale di 50.000 uomini. Ad Ecbàtana, Alessandro congedò i contingenti delle città greche, poiché il compito di vendicare l'invasione della Grecia da parte di Serse era ormai concluso.


Dario I di Persia
Dario, sapendo della velocità con cui il suo nemico si stava muovendo, cambiò i suoi piani, non dirigendosi più verso Balkh (in Afghanistan) come aveva in precedenza previsto, ma verso le Porte Caspie, anche se fra i suoi uomini iniziarono a manifestarsi i primi dissensi. Durante la marcia l'esercito macedone patì la sete e molti soldati morirono lungo la strada. Il re macedone venne a conoscenza dei movimenti di Dario quando si trovava a Rei, vicino a Tehran. Raggiunse quindi il passo ma ad attenderlo c'erano due messaggeri che lo informarono di una rivolta iniziata da Besso, Barsaente e Satibarzane –satrapi della Battriana - contro il loro re. Alessandro decise di raggiungere Besso, essendo a conoscenza del luogo dove Dario era tenuto prigioniero; scelse 500 opliti, che fece montare a cavallo al posto dei cavalieri, e galoppò di notte percorrendo ottanta chilometri, arrivando poi all'alba a Damgham, dove giunsero in 60. Besso nel frattempo si era ritirato nei suoi territori: spaventati dall’ improvviso arrivo di Alessandro, i due satrapi rimasti, Barsaente e Satibarzane , pugnalarono il prigioniero e fuggirono. Alessandro non fece in tempo a vedere in vita il suo rivale un'ultima volta. In ogni modo il conquistatore macedone, dopo aver coperto il cadavere con il suo mantello, lo riportò indietro e lo fece seppellire con tutti gli onori nelle tombe reali.

Con l’obiettivo di annientare le ultime resistenze persiane e di colpire gli assassini di Dario, Alessandro giunse prima in Battriana, vicino a Mashhad dove cadde Satibarzane; per onorare la vittoria venne fondata un'altra città, Alessandria degli Arii,[ la futura Herat] poi si diresse verso l'Aracosia, arrivando in Drangiana [l'attuale Afghanistan occidentale]. Barsaente, sapendo del suo arrivo, preferì fuggire presso una popolazione indiana del Punjab, che però lo tradì consegnandolo al conquistatore macedone che lo condannò a morte per l'omicidio di Dario. In queste regioni il re macedone fondò una serie di città con il nome di Alessandria, tra cui quella nota con il nome di Alessandria del Caucaso, e un'altra presso l'attuale Kandahar, in Afghanistan.

Rimaneva solo Besso, che nel frattempo si era autoproclamato imperatore di Persia, col nome di Artaserse V: dopo aver indugiato per alcuni mesi per l’inverno, Alessandro ripartì alla caccia di Besso e arrivò nei suoi territori [il massiccio dell'Hindu Kush, nell’odierno Uzbekistan ai confini tra Afghanistan e Pakistan]. Scendendo l'Hindu Kush, i soldati macedoni dovettero affrontare la fame; il cibo era scarso e non trovando foraggio per gli animali, molti di essi vennero uccisi per cibarsi delle loro carni. Attraversando Kunduz, Alessandro arrivò sino a Balkh [provincia settentrionale dell’Afghanistan al confine con l’Uzbekistan]. Ma infine Besso fu tradito a sua volta da un suo generale, Spitamene, [vatti a fidare dei satrapi!] che lo fece prigioniero: una corte di giustizia persiana lo dichiarò colpevole di alto tradimento, venendo infine giustiziato ad Ecbàtana. L'agire di Spitamene non fu inizialmente chiaro ad Alessandro che pensava volesse arrendersi, mentre voleva invece solo disfarsi di un alleato poco affidabile. Successivamente la tattica di Spitamene apparve chiara: attaccare la parte dell'impero rimasta scoperta dall'assenza di Alessandro: iniziò cosi una tattica di guerriglia che inflisse numerose perdite alle forze di Alessandro, ma alla fine anche Spitamene fu tradito ed ucciso dai suoi alleati. [come volevasi dimostrare …]

Alessandro, dopo aver assoggettato la regione della Sogdiana, giunse ai confini dell'odierno Turkestan cinese, dove fondò un'altra Alessandria, che chiamò Eschate [che significa «Ultima»], l'odierna Khujand, capitale della provincia più settentrionale del Tagikistan, ora chiamata Sughd [Sogdiana]. Soggiornò ancora a Samarcanda e nella Bactriana. Sposò Rossane, figlia di un comandante della regione, per rafforzare il suo potere in quei territori.

Sembrava tutto concluso: ma il proposito di Alessandro di unificare in un solo popolo Greci e Persiani e soprattutto la sua idea di dare un carattere divino alla monarchia, cominciarono ad alienargli le simpatie del suo seguito. Come continuatore dell'impero achemenide, Alessandro vagheggiava un impero universale e si proponeva forse di arrivare con le sue conquiste fino al limite orientale delle terre emer
Gran parte dell'India nord-occidentale era stata sottomessa dai persiani al tempo di Dario I, ma in questo periodo la regione era suddivisa in vari regni in lotta tra loro. Alessandro aveva forse intenzione di arrivare fino alla vallata del Gange, ma l'armata macedone giunta sul fiume Ifasi [oggi Beas], stanca dell'idea di proseguire una lunga campagna contro i potenti indiani (il regno Maghada stava attrezzando un potente esercito di centinaia di migliaia di soldati e migliaia di elefanti che spaventava i macedoni) fra giungle monsoniche, febbri malariche ed elefanti da guerra, si rifiutò di seguirlo oltre verso est.

Nel 324 Alessandro giunse nuovamente a Susa, dove venne a conoscenza della cattiva amministrazione messa in atto dai satrapi da lui un tempo graziati; fece procedere immediatamente ed energicamente contro i colpevoli, sostituendone molti con governatori macedoni.

Non soddisfatto dei suoi successi, durante i preparativi di invasione dell'Arabia e la costruzione di una flotta con cui intendeva attaccare i domini cartaginesi, venne colpito da una malattia che lo portò alla morte il 10 giugno del 323. Nel suo testamento commissionava la costruzione di magnifici templi in diverse città, la costruzione di un mausoleo intitolato a suo padre (che avrebbe dovuto rivaleggiare in imponenza con le piramidi egizie), la prosecuzione dell'unione fra Persiani e Greci, la conquista dei territori cartaginesi (Nord Africa, Sicilia e Spagna), l'espansione verso occidente e la costruzione di una strada in Africa lungo tutta la costa; i suoi successori ignorarono gran parte del testamento ritenendolo eccessivamente megalomane e inattuabile.

Sulle cause della sua morte sono state proposte varie teorie: l'avvelenamento da parte dei figli di Antipatro o da parte della moglie Rossane, una ricaduta della malaria che aveva contratto nel 336; infine, secondo congetture più recenti, per una cirrosi epatica provocata dall'abuso di vino.

Tutto vero? Le fonti storiche coeve di Alessandro Magno sono andate tutte perdute. Scrissero di lui, subito dopo le sue conquiste e la sua morte molti dei testimoni e dei protagonisti stessi degli eventi: lo storico di corte Callistene,il generale Tolomeo, l’architetto militare Aristobulo e l’ammiraglio delle flotte Nearco.

Gli storici successivi che trattarono le sue vicende «preferirono il meraviglioso al vero» come dice Strabone, cioè riportarono notizie frammentarie con molto uso di fantasia. Furono: Arriano - dopo più di 400 anni - storico di Nicomedia che scrisse Le campagne di Alessandro; Curzio Rufo, storico latino che scrisse Storia di Alessandro; Plutarco di Cheronea, storico greco che scrisse Vita di Alessandro e Virtù di Alessandro.

Molti racconti leggendari furono poi raccolti ad Alessandria d'Egitto, in anni ancora successivi, in un Romanzo di Alessandro, falsamente attribuito a Callistene . Questo libro ebbe gran diffusione nell'antichità e nel Medioevo, con numerose versioni e revisioni. Fu tradotto in latino, siriaco, arabo, persiano e in lingue slave.


Riferimenti bibliografici

http://it.wikipedia.org/wiki/Alessandro_Magno
http://it.wikipedia.org/wiki/Filippo_II_di_Macedonia
http://it.wikipedia.org/wiki/Guerre_persiane
http://it.wikipedia.org/wiki/File:Citt%C3%A0_fondate_da_Alessandro_Magno_ver.29-01-07.jpg
http://it.wikipedia.org/wiki/Chujand



domenica 9 ottobre 2011

Baudolino, Marco Polo e il mitico regno del Prete Gianni

Il libro Baudolino di Umberto Eco è incentrato sulla ricerca, da parte dei protagonisti, del regno del Prete Gianni. Di ambientazione medioevale, a cavallo tra il XII e il XIII secolo il libro narra, attraverso le parole del protagonista Baudolino, con un complesso susseguirsi di flash-back, scenari fantastici e personaggi ora storici ora immaginari: una successione lunghissima di episodi storici e leggende, dalla fondazione di Alessandria all'Italia dei comuni e del Barbarossa; dalla nascita delle università al fantasioso viaggio alla ricerca del mitico Prete Giovanni e del Graal, fino all'assedio ed il saccheggio di Costantinopoli da parte dei crociati nell'anno 1204. Altre avventure sono la creazione della sindone o la morte di Barbarossa annegato durante la crociata. Il romanzo si può considerare un misto di generi, tra il picaresco, il giallo, e il saggio storico.

La seconda parte del libro inizia con la lunga e avventurosa ricerca del regno del mitico Prete Gianni (o prete Giovanni come si preferisce nel romanzo) da parte di Baudolino e i suoi compagni, alcuni suoi amici dai tempi dei comuni studi all'università della Sorbona a Parigi, altri concittadini della neonata Alessandria (non a caso città natale dell'autore, il cui patrono è appunto S. Baudolino).

Sapevano tutti che il prete Giovanni stava ad oriente, ma che per arrivarci ci volevano anni … quattro anni era durato infatti il viaggio di Baudolino: sotto soli infuocati, per lande deserte e sabbiose; talora marciavano spediti per piane erbose o attraversavano massicci:

«che non si poteva neppure riposare sulle pietre perché ci si cuocevano le natiche, le uniche città che avevano incontrato erano fatte di casupole miserabili ed abitate da gente ripugnante come a Colandiofonta dove avevano visto gli artabanti, uomini che camminano proni come le pecore […] Presso le paludi di Cataderse avevano incontrato uomini coi testicoli lunghi fino alle ginocchia e a Necuveran, uomini nudi come bestie selvagge, che si accoppiavano per strada come i cani […] A Tana avevano incontrato gli antropofagi, che per fortuna non mangiavano gli straniere, che gli facevano schifo, ma solo i loro bambini […] A Salibut avevano attraversato un bosco infestato da pulci grosse come le rane, a Cariamaria avevano incontrato degli uomini pelosi che latravano […] e donne con i denti di cinghiale, capelli sino ai piedi e coda di vacca.»

Ma queste erano ancora le terre non selvagge: il bello doveva ancora venire. Prima del Paradiso Terrestre c’era una terra assai selvaggia abitata da bestie feroci. Dovettero poi attraversare la provincia di Abcasia,  una unica immensa foresta dove regnava sempre il buio più profondo, abitata da persone che si orientavano con l’udito e l’odorato. Usciti dalla oscura foresta dopo avere affrontato, non senza perdite, gli assalti di mostri (simili alle tre bestie dantesche: un gatto selvaggio,un mostro dalla testa di leone, il corpo di capra e le terga di un drago ed infine un corpo di leone, la coda di scorpione ed una testa quasi umana con una triplice chiostra di denti) incontrarono il Sambation , il fiume di pietra:

«era un fluire maestoso di massi e di terriccio, che scorreva senza sosta, e si potevano scorgere, in quella corrente di grandi ricce informi, lastre irregolari, taglienti come lame, ampie come pietre tombali e tra l’una e l’altra, ghiaia, fossili, cime, scogli e spuntoni»

Superare il Sambation voleva dire :

«semplicemente che si erano abbandonate le terre conosciute dove erano arrivati i più arditi viaggiatori. E infatti i nostri amici dovettero ancora andare per moli giorni, e per terre accidentate almeno quanto le rive di quel fiume di pietra. Poi erano giunti ad una pianura che non finiva mai. Lontano all’orizzonte si scorgeva un rilievo montuoso abbastanza basso, ma frastagliato di picchi, sottili come dita …»

Qui incontrano Gavagai, lo sciapode [essere con una sola gamba] che farà loro da guida in quello che afferma essere il regno del Diacono Johannes, figlio di Presbyter Johannes. Quando Baudolino e i suoi compagni giungono alla città di Pndapetzim, la capitale del Diacono - dove Baudolino dovrà attendere il permesso di raggiungere l’agognato regno (nel quale però non giungerà mai) - si trovano di fronte al meraviglioso mondo, dei panozi con le orecchie lunghissime, tanto da riuscire a volare se opportunamente addestrati, dei blemmi con la bocca sulla pancia e ad altre mostruosità.

Ma da dove nasce la mitica storia del Prete Gianni?

Fino dal 1165, nel medioevo,si era diffusa una leggenda, che narrava di un «regno meraviglioso», quello del «Presbyter Johannes» che si supponeva situato in un punto imprecisato tra la Babilonia e le Indie o nella regione sino/mongola. In quell’anno un misterioso personaggio che si firmava, appunto, Prete Gianni fece pervenire all'imperatore bizantino Emanuele Comneno una lettera nella quale gli offriva i propri servigi. L’autore della lettera si autoproclamava «Prete Re» e discendente di uno dei tre Re Magi. Questo Gianni - che affermava nella lettera di avere di recente sconfitto i musulmani di Persia - manifestava l’intenzione di ricongiungersi ai cristiani ormai assediati in Gerusalemme dalle truppe del Saladino.

Nella lettera, il Prete Gianni invitava i sovrani d'Europa a fare visita al suo impero, un impero ricco di meraviglie, il più vasto mai conosciuto, sconfinato e pieno di ricchezze inimmaginabili. All’interno del regno del prete Gianni, a parte una incredibile fonte della giovinezza, vi erano innumerevoli meraviglie, fra cui anche isole dove gli abitanti erano nutriti direttamente da Dio attraverso la manna due volte la settimana. Nel regno del Presbyter, ognuno aveva tutto ciò che gli necessitava per vivere, ogni cittadino era libero e ricco e, per non creare enormi differenze sociali, Gianni si faceva chiamare "Prete" piuttosto che "re", pur essendo il più grande sovrano di tutti i tempi, che aveva tra i suoi cittadini anche personaggi per noi fantastici quali sagittari e sirene e razze tra le più disparate. Sebbene Prete Gianni fosse cristiano, all’interno del suo regno erano pochi a seguirne le orme, ma lui lasciava libero il suo popolo di seguire la religione prescelta, senza mai imporsi. In tutto il suo regno c’era pace, ogni cittadino amava l’altro, senza mai cadere nell’adulterio, non vi erano ladri e non esisteva l’invidia, la menzogna era bandita, e se qualcuno mentiva, moriva all’istante. Le guerre erano esclusivamente intraprese a difesa del regno ma, anche se solo a scopo difensivo, l’esercito del Prete Gianni, che egli offriva a salvaguardia della cristianità, dopo aver, a suo dire, già annientato i mussulmani in numerose guerre, era straordinario, composto da migliaia di guerrieri di ogni razza e persino da splendide amazzoni.

Nella prima metà del XII secolo, l’Europa era infatti sotto la minaccia diretta dell’Islam: Vienna era a rischio di assedio e ad occidente gran parte della Spagna era sotto il dominio del Califfato di Cordoba. In poche parole l’orizzonte cristiano non era mai apparso più fosco.

Poi, improvvisamente, nel 1145, si verifica qualcosa che ha proprio l’aspetto del miracolo e si riaccende la speranza di una riscossa: alla corte pontificia romana, il vescovo di Biblo , porta dal Libano una lettera nella quale un certo Giovanni Presbitero parlava di un «...regno cristiano al di là del mare...».

In realtà l’Islam stava vivendo una fase di appannamento politico e, probabilmente niente sarebbe stato più opportuno di una controffensiva massiccia per minarne definitivamente l’alone di onnipotenza che lo aveva coronato dopo la crociata di Riccardo Cuor di Leone. Alla lettera del 1145 però non seguì più alcuna iniziativa, né da parte del fantomatico Gianni, né da parte di altri, così il Saladino concluse la sua «riconquista» nell’indifferenza, o nell’impotenza dei re cristiani.

La storia del medioevo è ricchissima di leggende, di personaggi favolosi e di situazione ai limiti del credibile: tuttavia il Regno misterioso perse ogni possibile contatto con il verosimile ed iniziò a spostarsi prima ad est, verso l’India o la Mongolia poi in Africa (Etiopia?). E fu in qualche modo la fine per Prete Gianni. Questo regno favoloso, tuttavia, affascinò ed ossessionò studiosi, scienziati, letterati, filosofi e regnanti per almeno quattro secoli.

Di coloro che direttamente o indirettamente si occuparono di queste ricerche fece parte anche il nostro Marco Polo e ancora nel XV secolo si coltivava, in maniera quasi ossessiva, la speranza di stabilire un contatto con il presunto alleato cristiano in funzione anti-musulmana.

Solo nel XVI secolo, quando i musulmani furono pesantemente sconfitti a Vienna ed a Lepanto, e la minaccia islamica si cominciò ad allontanare dall’Europa, l’interesse per il Prete Gianni e per il suo introvabile regno cominciò a scemare.

Di fatto il regno mitico di Prete Gianni non è mai stato trovato. Sussistono tuttavia fondate ragioni per credere che non si trattasse di pura fantasia. Vediamo su quali basi.

Si è parlato di un mito le cui origini sarebbero state da attribuirsi ad un certo Ugo di Gebal, un vescovo nestoriano (libanese) che, nel 1145, aveva capeggiato un gruppo di cristiani passati al manicheismo . I nestoriani erano cristiani seguaci del patriarca di Costantinopoli Nestorio: durante le dispute cristologiche del V secolo, i suoi avversari gli attribuirono erroneamente la dottrina - che sostiene che alle due nature, divina e umana, di Cristo corrisponderebbero anche due persone - condannata come eretica dal Concilio di Efeso nel 431 anche se Nestorio mai la sostenne. I suoi sostenitori,esiliati o espulsi dall’impero bizantino, costituirono una Chiesa separata, che si sviluppò in Assiria, in Caldea (la zona del medio e basso corso dei fiumi Tigri ed Eufrate) e in Persia, prevalendo sugli ortodossi e portando nel tempo la loro predicazione fino all'India ed alla Cina.

[vedi anche: Un prete di nome Adamo alla corte dei Tang]

Qualcosa si era verificato in un lontano regno sviluppatosi nelle regioni occidentali della Mongolia Interna. Nell’anno 762 d.C. era stato fondato il Regno dell’Orkhon. Questo regno era passato al manicheismo l’anno successivo, quando il re aveva assunto anche la guida del movimento manicheo. Egli sarebbe divenuto la figura istituzionale di «Prete Gianni» e l’avrebbe trasmessa a propri successori ed eredi. Di questo regno parla Marco Polo ne il Milione.

Una ipotesi è che questo personaggio misterioso fosse Ye-lu Ta-shih della dinastia Liao che ha regnato nella Cina Settentrionale dal 906 al 1125. Essendo stato sconfitto in un conflitto con i coreani, si spostò a ovest con parte della sua tribù, e fondò l'Impero del Kara Khitai, che si estendeva a un tempo dall'Altai al Lago Aral, assumendo il titolo di Korkhan.

I nestoriani qualche tempo mantenevano relazioni con Ye-lu Ta-shih, nemico giurato dei turchi, che nel 1137, aveva sconfitto l'emiro di Samarcanda: insomma i nestoriani forse erano dei rinnegati, forse erano al servizio dei mongoli, ma, si sa, “il nemico del mio nemico è mio amico” e, dunque, l'arrivo di questa lettera diventa un dato certamente positivo per l'occidente crociato, che ha forse trovato un alleato insperato nella lotta continua e sostanzialmente perdente contro l'Islam.

Secondo la narrazione di Marco Polo, in origine i Mongoli sarebbero stati tributari del Prete Gianni temendone la potenza: sembra tuttavia che anche il prete Gianni fosse preoccupato dalla crescente potenza dei Mongoli, tanto da cercare in più di un’occasione di rompere la loro unità cercando di seminare discordia tra le varie tribù. Il tentativo però non era riuscito e i Mongoli si erano sottratti al dominio di Prete Gianni emigrando in massa verso nord.

«Caracom [Karakorum, la prima capitale dell’impero mongolo] è una città che gira tre miglia, nella quale fue il primo signore ch’ebboro i tarteri, quando egli si partirono di loro contrada [le regioni della Manciuria,dove erano stanziato originariamente]. E io vi conterò di tutti i fatti di tarteri e come egliono ebbero signoria, e come egliono si sparsono per lo mondo. … Egli è vero ch’egliono non aveano signore, ma faceano rendita a un signore, che vale a dire in francesco “preste Giovanni” e di sua grandezza favellava tutto il mondo. Gli tarteri gli davano d’ogni bestie l’una. Or venne che gli tarteri moltipricarono molto. Quando preste Giovanni vidde ch’egliono moltipricavano così, pensò ch’egliono lo potessero nuocere e pensò di partirgli per più terre. Adunque mandò de’ suoi baroni per fare ciò; e quando gli tartari viddono quello che ‘l signore volea fare, egli ne furono molto dolenti. Allora partirono tutti insieme e andarono per luoghi deserti verso tramontana, tanto che ‘l preste Giovanni non poteva loro nuocere….»

Nel 1187 Gengis Khan divenne signore dei Mongoli, e iniziò la sua sfida al preste Giovanni

«Ora avvenne che ne’ 1187 anni gli tarteri feciono uno loro re ch’ebbe nome Cinghys Cane. Costui fue uomo di grande valenza e di senno e di prodezza; e si vi dico che, quando costui fu chiamato re, tutti gli tarteri quanti n’erano al mondo, … si vennero a lui e tennonlo per signore … Quando Cinghys si vidde cotanta gente, apparecchiossi con sua gente per andare a conquistare altre terre … Allora mandò suoi messaggi al presto Giovanni e ciò fu ne’ 1200 anni e mandogli a dire che voleva sua figliola per moglie …»

Ovviamente il preste Giovanni considerò questa richiesta un affronto e cacciò gli ambasciatori minacciando di morte Gengis Khan. Ovviamente Gengis rispose con minacce di guerra: i due eserciti si fronteggiarono nei pressi di Tenduc. Intorno al 1200, Gengis Khan avrebbe affrontato il Prete Gianni in una battaglia campale, uccidendolo. Con la scomparsa di Prete Gianni, si sarebbe estinto definitivamente l’ultimo avamposto del manicheismo orientale. Ne il Milione leggiamo che prima dello scontro finale con Gianni, Gengis Khan interrogò i suoi astrologi :

«Fece venire Cinghys i suoi astrolagi cristiani e saracini, e comandò che gli dicessono chi dovea vincere. Gli cristiani feciono venire una canna, e fessorla per mezzo, e dilungarono l’una dall’altra, e l’una missono dalla parte di Cinghys e l’altra dalla parte del Presto Giovanni. E missono il nome del Presto Giovanni sulla canna dal suo lato e il nome del Cinghys in sull’altra, e dissoro: “Qual canna andrà in sull’altra, quegli sarà vincente”, Cinghys Cane disse che questo egli voleva ben vedere, e disse che gliel mostrassero il più tosto che potessero. Quegli cristiani ebbero lo saltèro e lessoro certi versi e salmi e loro incantamenti: allora la canna ove era il nome di Cinghys montò sull’altra: e questo vidde ogni uomo che v’era. Quando Cinghys vidde questo, egli ebbe grande allegrezza, perché vidde gli cristiani veritieri. Gli saracini astrolagi di queste cose non seppero dire nulla […] Appresso quel dì, s’apparecchiano l’una parte e l’altra, e combattonsi insieme duramente […] ma Cinghys Cane vinse la Battaglia e fuvvi morto lo Presto Giovanni, e da quel dì innanzi perdeo sua terra tutta.»

Marco Polo, confermato da Giovanni da Montecorvino, aggiunge che un discendente del Prete Gianni, di nome Giorgio ma che portava lo stesso titolo di Prete Gianni, regnava ancora ai suoi tempi come vassallo del khan mongolo. Il Re Giorgio in Tenduk, che Marco Polo descrive come un successore del Prete Gianni, era davvero un parente di questo Yeliutashe che era rimasto sul trono originale della tribù.

[vedi anche: Frate Giovanni da Montecorvino il primo vescovo di Pechino ]

Era questo Re Giorgio che Frate Giovanni di Montecorvino afferma di aver convertito nel 1292.

Fra Giovanni, si era valso dei privilegi accordatigli dal Khan per dedicarsi con zelo alla predicazione del Vangelo anche tra i membri della famiglia imperiale. Nel suo primo anno di permanenza convertì molti nestoriani, tra i quali Re Giorgio, di Tenduk, una regione della Cina ed ivi riuscì a costruire una grande chiesa in onore della SS. Trinità. Re Giorgio ricevette gli ordini minori e diede esempio a tutti servendo le sacre funzioni all'altare. Questo Re morì due anni dopo, nel 1296, e lasciò al trono il figlioletto di 9 anni, battezzato con il nome di Giovanni, in onore dell'amico missionario.

«Tenduc è una provincia verso levante, ove hae cittadi e castella assai, e sono al Gran Cane, e sono discendenti del preste Giovanni. la mastra cittade è Tenduc e di questa provincia è re un discendente dal legnaggio del preste Giovanni e ancora si è preste Giovanni e suo nome si è Giorgio. Egli tiene la terra per lo Gran cane, ma non tutta quella che teneva lo preste Giovanni, ma alcuna parte di quelle medesime; e si vi dico che tuttavia il Gran cane ha date di sue figliole e di suoi parenti per moglie a questo re, discendente del preste Giovanni … La terra tengono gli cristiani … Egli sono gli più bianchi uomeni del paese e’ più belli … e sappiate che questa provincia era la mastra sedia del preste Giovanni quando egli signoreggiava i tarteri …»

Gli studiosi contemporanei sono indubbiamente meno entusiasti e sono piuttosto propensi a credere che la lettera di Prete Gianni fosse letteralmente una bufala, una operazione propagandistica architettata da Federico Barbarossa. Egli avrebbe elaborato liberamente a vantaggio della propria politica imperialistica diversi elementi della letteratura antica, oltre che dei bestiari medioevali. Lo scopo si dice fosse quello di contrastare lo strapotere della Chiesa romana scuotendo lo spauracchio di un alleato, potente quanto immaginario, ad Oriente.

Tuttavia non bisogna sottovalutare la possibilità che la lettera attribuita al Prete Gianni sia in realtà autentici e che Prete Gianni debba essere ricondotto al "Presto Giovanni" di cui parla Marco Polo.

Bibliografia

Le citazioni sono riportate da:

Umberto Eco, Baudolino, Tascabili Bompiani, 2010
Marco Polo, Il Milione, BUR, 1995

Il materiale dell’ articolo è stato tratto dai seguenti siti web:

http://it.wikipedia.org/wiki/Baudolino
http://it.wikipedia.org/wiki/Prete_Gianni
http://www.instoria.it/home/prete_gianni.htm
http://www.edicolaweb.net/arca008r.htm
http://www.provincia.ps.it/behaim/pretegianni.htm
http://forum.politicainrete.net/esoterismo-e-tradizione/61068-cercando-il-regno-del-prete-gianni.html#post1900464