Dao De Jing

Senza uscire dalla porta di casa puoi conoscere il mondo,
senza guardare dalla finestra puoi scorgere il Dao del cielo.
Più si va lontano, meno si conosce.
Per questo il saggio senza viaggiare conosce,
senza vedere nomina, senza agire compie.
Dao De Jing, Lao Zi

venerdì 8 aprile 2011

Frate Giovanni da Montecorvino, il primo vescovo di Pechino alla corte del Gran Khan

Marco Polo rimase al servizio di Qublai Khan, imperatore della Cina, per diciassette anni ma non fece in tempo a vedere insediato nella Città Proibita il primo vescovo cattolico di Pechino, il francescano Giovanni da Montecorvino. Della memoria di questo straordinario personaggio, che visse alla corte dei Khan per 34 anni, molto si è perduto. E questo perché la Chiesa nata per la sua attività missionaria non resistette alla cacciata dei Mongoli e all’insediamento della dinastia Ming (1368) che chiuse il Paese alle influenze straniere. Inoltre Giovanni non fece mai ritorno in Europa, e le fonti storiche sulla sua attività sono scarse e frammentarie.

La missione di frate Giovanni da Pian del Carpine presso il Gran Khan dei Mongoli Güyük, si era rivelata un fallimento: il Gran Khan aveva rifiutato ogni proposta del papa Innocenzo IV e anzi aveva ingiunto al pontefice e a tutti i principi cristiani di sottomettersi alla sua autorità. Tuttavia, con il suo avventuroso viaggio, fra Giovanni aprì la strada a successive spedizioni, compresa quella di Marco Polo, di cui fu precursore di ben ventisette anni.

E quando i Polo, poco dopo il 1260, giunsero alla corte del Khan, trasferita nel frattempo a Khambaliq (Pechino), vi trovarono un nuovo imperatore curioso e ben disposto, Qublai. Ai mercanti veneziani il Kahn «dimandò di messere il papa e di tutte le condizioni della Chiesa romana e di tutte le usanze dei latini». Il ritorno dei Polo, nove anni dopo, fu foriero di buone nuove per il Pontefice. Qublai aveva chiesto loro di tornare accompagnati da uomini di scienza che istruissero i tartari sulla religione cristiana e, per sé, desiderava un po’ dell’olio che ardeva nella lampada del sepolcro di Cristo.

Ma i Polo tornarono soli in Cina. I domenicani che il Papa aveva inviato con loro non giunsero sino a Pechino. Il giovane Marco, figlio di Niccolò, rimase al servizio di Qublai per diciassette anni, ma non fece in tempo a vedere insediato nella Città proibita il primo vescovo cattolico di Pechino, un altro francescano, anche lui di nome Giovanni, Giovanni da Montecorvino.

Giovanni da Montecorvino (1246-1328) entrò nell'ordine francescano dei frati minori dopo aver trascorso una giovinezza ricca di soddisfazioni mondane. In quel tempo l'ordine francescano si occupava principalmente della conversione degli infedeli, perciò verso il 1279 venne inviato con altri frati a predicare il messaggio cristiano in Armenia, Persia e altre regioni mediorientali.

Nel 1286 Arghun, il Khan di Persia, inviò una richiesta al Papa attraverso un vescovo nestoriano, Rabban Bar Sauma, chiedendo l’invio di missionari cattolici presso la Corte del grande Imperatore cinese, Kublai Khan, che era simpatizzante del messaggio cristiano. Verso il 1289 Giovanni da Montecorvino tornò a Roma con notizie simili, e papa Nicola IV, primo papa francescano, gli affidò l’importante compito di impiantare delle missioni nell’Estremo Oriente, dove ancora era presente il famoso Marco Polo.

Ma seguiamo anche questa volta le orme del nostro frate Giovanni (il secondo della serie) attraverso le sue peripezie per giungere in Oriente…

Fra’ Giovanni iniziò il suo viaggio nel 1289, avendo con sé delle lettere per il Khan Arghun, il grande imperatore Kublai Khan, il principe dei Tartari Kaidu, il re del Regno armeno di Cilicia ed il patriarca della Chiesa ortodossa siriaca. Lasciò Rieti, dove era la curia papale, il 15 luglio, e munito delle più ampie facoltà per la diffusione del Vangelo fra i popoli dell'Asia, da Ancona raggiunse dapprima Antiochia (l’odierna Antakya in Turchia) e la Georgia e passò poi a Sis, la capitale dell'Armenia, e a Tabriz sede del re di Persia. Qui svolse per breve tempo il suo apostolato, ospite gradito nei conventi dei Minoriti e dei Domenicani.

Nel 1291, a 44 anni e con due soli compagni, Nicolò da Pistoia e Pietro Lucalongo, ricco e pio mercante italiano, fra Giovanni riprese il suo cammino apostolico e da Tabriz si diresse verso Seres e poi a Ormuz sul Golfo Persico importantissimo scalo dell'attivissimo commercio indo-cinese. Da Ormuz prese la via del mare ed approdo in India, dove rimase per 13 mesi. Si soffermò sulla costa Malarica, presso Madras, dove secondo un'antica tradizione erano custodite le spoglie mortali dell'apostolo S. Tommaso. E qui, Fra Giovanni eresse la prima chiesa latina, vi battezzò i primi cento fedeli che per la sua predicazione si erano convertiti al Cristianesimo. In questa terra, dopo breve, morì l'amico e compagno di viaggio Fra Nicola, il domenicano e, il nostro frate dovette proseguire il suo viaggio verso la Cina in compagnia del coraggioso mercante genovese. Fu fatta la scelta di raggiungere la Cina per via mare e non per via terra, come avevano fatto i Polo, e fu una scelta coraggiosa, se si considera che allora si navigava con mezzi di fortuna, ci si affidava alla spinta dei venti e all'improvvisazione, senza contare i mille pericoli in agguato tra pirateria e vari imprevisti.

clikkate x ingrandire
La prima città cinese toccata fu Senkalà (Canton), grande tre volte Venezia, proseguì per Quanzhou nel Fujian che era uno dei più grandi porti del mondo con circa un milione di abitanti, ricca di templi e monasteri buddisti, percorsa da commercianti provenienti da tutto il mondo in cerca di sete preziose, giada, profumi e spezie varie.

Questa fu la meta del mercante genovese e Fra Giovanni attraversò il Fujian sino a Kinsaj, dai 12000 ponti raggiunse Yanzhon e da qui si imbarcò sul canale imperiale e con destinazione Khambaliq (Pechino).

Il Grande Canale imperiale
Era il 1294 erano trascorsi 5 anni dalla sua partenza, Giovanni consegnò la lettera del Papa Nicolò IV, ormai defunto, nella quale questi esprimeva il suo più vivo compiacimento per il desiderio del Khan di avere nel suo territorio missionari della Chiesa di Roma. Arrivato a corte, scoprì che purtroppo anche Kublai Khan era appena morto e che Temür Khan (1265-1307) gli era succeduto al trono.

Fra’ Giovanni Iniziò subito il suo apostolato missionario, invitando lo stesso Gran Khan ad abbracciare la fede cristiana, ma lo trovò tenacemente legato all'idolatria, sebbene benevolo verso i cristiani: il Gran Khan fece infatti riservare al legato pontificio uno speciale appartamento della città proibita, privilegio non accordato ai rappresentanti delle altre religioni e concesse infatti a fra’ Giovanni di annunciare liberamente il Vangelo in mezzo ai Tartari.

Straordinaria fu la portata dell’azione missionaria di frate Giovanni e la sua capacità di adattamento alla cultura locale: egli celebrava la messa in lingua tartara e fece grandi sforzi per approntare una traduzione del salterio, del Nuovo Testamento e del messale. Un’attività notevole, se si pensa che Giovanni visse da solo in Cina per undici anni, dimenticato da tutti, finché arrivò presso di lui frate Arnaldo di Colonia. Quando riuscì a far pervenire sue notizie in Europa, con una lettera dell’8 gennaio 1305, tutti ormai lo credevano perduto.

Più fortuna ebbe invece la sua predicazione con il re di Tenduc, Giorgio, nestoriano, (menzionato da Marco Polo ne Il Milione.) che non solo abbracciò la fede cattolica, ma volle ricevere anche gli Ordini minori, attraendo poi verso la sua nuova tede non pochi sudditi, e costruendo per essi una chiesa dedicata alla S.ma Trinità e detta "Chiesa romana" in onore del papa e del suo legato.

Tenduc è una provincia verso levante, ov'à castella e cittadi assai. E' sono al Grande Kane, e sono discendenti dal Preste Giovanni. La mastra cittade è Tenduc. E de questa provincia è re uno discendente de legnaggio del Preste Giovanni, e ancora si è Preste Gianni, e suo nome si è Giorgio. Egli tiene la terra per lo Grande Kane, ma non tutta quella che tenea lo Preste Gianni, ma alcuna parte di quelle medesime. E sí vi dico che tuttavia lo Grande Kane à date di sue figliuole e de sue parenti a quello re discendente del Preste Gianni…La terra tengono li cristiani, ma e' v'à degl'idoli e di quelli ch'adorano Maccometo. Egli sono li piú bianchi uomini del paese e i piú begli e i piú savi e i piú uomini mercatanti. (Marco Polo, Il Milione, cap 73, della provincia di Tenduc)

Per questo fu accusato di apostasia dai nestoriani (che già si trovavano in Cina) che accusarono Giovanni di essere un impostore, mago e falso legato papale. Tutto ciò creò grandi difficoltà per l'apostolato di Giovanni che, peraltro, riconosciuto innocente dinanzi al Gran Khan, poté riprendere con successo la sua opera. Apprese in profondità la lingua del paese e tradusse in mongolo il Nuovo Testamento e il Salterio, pensando anche alla traduzione di tutto il Breviario, perché insieme alla predicazione, alle immagini fatte dipingere in chiesa, al canto e al suono, divenissero strumenti più efficaci di evangelizzazione.

Giovanni lavorò in totale solitudine per ben 11 anni finché nel 1304 un legato tedesco, Arnoldo di Colonia, fu inviato ad aiutarlo. Ma la sua azione missionaria non poteva estendersi se non fosse sopraggiunto un aiuto dalla cristianità. Alla sua seconda lettera, del 13 febbraio 1306, Clemente V rispose inviando in Cina un gruppo di frati francescani, tra cui sette vescovi, perché raggiungessero fra Giovanni e lo consacrassero arcivescovo di Pechino.

Tre di quei vescovi (Nicolò da Banzia, Ulrico da Seyfridsdorf e Andreuccio da Assisi) non giunsero a destinazione, essendo morti nel viaggio attraverso l'India; uno ritardò la sua partenza (Guglielmo da Villanova); ma vi giunsero con molti missionari gli altri tre (Andrea da Perugia, Gerardo Albuini e Pellegrino da Città di Castello), tra il 1309-1310. Fu allora che, con la consacrazione di Giovanni e con i tre suffraganei superstiti, ai quali si aggiunsero poi il ritardatario Guglielmo e, nel 1311, altri tre vescovi (Pietro da Firenze, fra Tommaso e Girolamo di Catalogna), venne anche organizzata la prima gerarchia di Cina con le sedi di Khambalik, Zayton e Caffa.

Alla sua morte, avvenuta nel 1328 all’età di 81 anni, fu venerato come santo.

La Chiesa cinese gli sopravvisse tuttavia per soli quarant’anni, anche perché la peste nera del 1348 aveva decimato i frati minori, impedendo così l’invio di nuovi missionari. Inoltre la comunità cristiana non resistette alla cacciata dei Mongoli e all’insediamento della dinastia Ming (1368) che chiuse il Paese alle influenze straniere.

Ciononostante, la sua memoria non scomparve del tutto. Giovanni era riuscito in modo insperato e inaspettato, a deporre un seme che sarebbe rimasto sepolto per oltre due secoli, fino all’arrivo dei gesuiti e alla ripresa dei rapporti tra Occidente e Cina nell’epoca delle grandi colonizzazioni…

ma anche questa è un’altra storia!


Riferimenti bibliografici

http://it.wikipedia.org/wiki/Giovanni_da_Montecorvino

http://www.santiebeati.it/dettaglio/36100

Nessun commento:

Posta un commento