Dao De Jing

Senza uscire dalla porta di casa puoi conoscere il mondo,
senza guardare dalla finestra puoi scorgere il Dao del cielo.
Più si va lontano, meno si conosce.
Per questo il saggio senza viaggiare conosce,
senza vedere nomina, senza agire compie.
Dao De Jing, Lao Zi

martedì 24 aprile 2012

La pienezza del vuoto!

 Tante volte sentiamo dire «è pieno di sé», oppure «è una persona vuota», o cose simili. Ma cosa vogliono dire queste cose, esattamente? Come spesso accade quando si cerca di spiegare dei luoghi comuni, dei modi di dire che sono entrati nel linguaggio corrente, ci si accorge che questi diventano sfuggenti, evanescenti, difficili da spiegare.

Se si parla del vuoto, non si può non parlare del pieno e viceversa: nella mentalità occidentale il concetto di «pieno» ha una connotazione prevalentemente positiva: «Nel pieno delle sue facoltà mentali…» oppure «Ave Maria, piena di grazia…», anche se uno «pieno di sé» non è il massimo! Il vuoto, invece non è molto simpatico dalle nostre parti, nella nostra cultura spicciola. «E’ una persona vuota» non è un complimento, così come non sono espressioni connotate positivamente «un’esistenza vuota», «quello ha la testa vuota».

Se apriamo l’enciclopedia troviamo: «In fisica, il vuoto è l'assenza di materia in un volume di spazio».
La percezione comune che abbiamo è che le cose, tutte le cose, siano «piene», e che il vuoto sia la mancanza del pieno, il nulla. Secondo la concezione aristotelica del mondo,  Natura abhorret a vacuo [la natura rifiuta il vuoto]. Aristotele era giunto a questa conclusione osservando che quando da un luogo viene tolta tutta la materia, producendo appunto il vuoto, immediatamente nuova materia vi si precipita a colmarlo, quindi la materia deve essere ovunque.

La tradizione giudaico-cristiana ha poi ereditato gran parte delle dottrine platoniche e aristoteliche dell'essere del non essere. Agostino, ad esempio, afferma che termini come «vuoto, nulla, tenebre» denotano esclusivamente una «mancanza» e sono relativi a un particolare «stato mentale».

Nella filosofia tedesca successiva il «vuoto» viene a coincidere col «nulla» in senso metaforico all'interno del nichilismo che predica la caduta di tutti i valori privi di fondamento ultimo o metafisico - si pensi a Schopenhauer e Nietzsche: il nulla è appunto il vuoto lasciato dal senso, dal fine, dai valori.

Nella maggioranza delle tradizioni culturali d’Oriente, l’idea di vuoto è invece sinonimo di infinita ricchezza di possibilità, di massima apertura e libertà. Secondo un maestro hindu  «Lo stato di vuoto mentale non è la demenza dell'idiota, ma intelligenza sommamente attenta, non distratta da pensieri estranei». Questa idea di vuoto è stata formulata soprattutto dal buddhismo in India, si è poi sviluppata col taoismo in Cina, ed ulteriormente in Giappone, specialmente grazie all’influsso che il buddhismo della Scuola Zen ha esercitato nelle arti. Il vuoto, quindi, non come semplice negazione del pieno, ma come «entità di per sé esistente». Del vuoto, infatti, è possibile avere un’esperienza positiva attraverso le forme d’arte orientali che, invece di «rappresentare» un oggetto, «presentano» il vuoto tra le cose, ciò che le individua e distingue.

Il titolo con cui è comunemente tradotto il Lie Zi, uno dei più importanti classici taoisti, è Il Vero Libro della Sublime Virtù del Cavo e del Vuoto, dove Virtù (Te) sta per virtualità, cioè potenzialità. Per il taoismo il vuoto è costitutivo dell’universo quanto il pieno. Ma leggiamo qualche passo del Dao De Jing di Laozi a proposito del vuoto.


«Coloro che nell’antichità erano abili nella Via,
penetravano l'arcano e comunicavano col mistero,
erano tanto profondi da non poter essere compresi

Chi s'attiene a questa Via non brama d'esser pieno,
e proprio perché non desidera esser colmo
mai completa consunzione lo coglie. »(XV)

Lo spazio tra cielo e terra, quanto è simile a un mantice di fucina!
Svuotato non si esaurisce mai;
messo in moto, produce sempre di più. (V)


«Ciò che è piegato diventa intero.
Ciò che è tortuoso diventa dritto,
Ciò che è vuoto diventa pieno…»

Il Dao di cui si parla non è il vero Dao
I Nomi che si usano non sono i veri Nomi
Il nome “non-essere” indica l’inizio del Cielo e della Terra
Il nome “essere” indica la madre dei diecimila esseri
Così, grazie al costante alternarsi del “non-essere” e dell’ “essere” che si vedranno
dell’uno il prodigio, dell’altro i confini.
Questi due, sebbene abbiano  un’origine comune,  sono designati con nomi diversi.
Ciò che essi hanno in comune, io lo chiamo il Mistero,
il Mistero Supremo, la porta di tutti i prodigi. (I)


Difatti: l’Essere e il non Essere si generano l’un l’altro…
Il difficile e il facile si completano l’un l’altro,
Il lungo e il corto di formano l’uno dall’altro;
l’alto e il basso si invertono l’un l’altro;
il prima e il dopo si seguono l’un l’altro (II)

 La Via è vuota; nonostante l’uso non si riempie mai. (IV)


Secondo la tipica circolarità del pensiero orientale, tutto ciò che «esiste» (l’universo) ha origine da ciò che «non-esiste»: il «manifesto» presuppone e trova origine nel «non-manifesto» . La forma è generata dal senza forma, così come la forma porterà al senza forma.  Questa «esistenza prima dell’esistenza», questa potenzialità non ancora espressa, è indicata col termine Dao. Dao è l’inesprimibile, l’inspiegabile, è il «caos»[1] originario, l’unità indifferenziata ma feconda, dal cui ventre nasce la vita.

Mistero, in effetti, è tale duplice aspetto del Dao: l’ineffabile Uno che ingloba tutta la realtà dicibile. La realtà in tutta la sua molteplicità deriva direttamente, organicamente dall’Uno in un rapporto di generazione e non per un atto di creazione.

È incredibile come la scienza moderna sia vicina alla visione taoista:

«Oggi l’idea di una natura che ha orrore del vuoto è cambiata radicalmente: la natura non aborre affatto il vuoto anzi, l’Universo è quasi ovunque vuoto ed è semmai la materia che ora costituisce l’eccezione. (...). La meccanica quantistica, ossia la teoria che descrive il comportamento originale e imprevedibile delle particelle subatomiche (elettroni, fotoni, quark, ecc.) ha una visione del tutto nuova di vuoto: essa lo immagina pervaso da continue fluttuazioni energetiche dalle quali si genera materia. (...). Uno dei risultati più straordinari della fisica del microcosmo è l’avere scoperto che lo spazio vuoto non è affatto vuoto: appare tale solo perché la creazione e la distruzione incessante di particelle ed altre strane entità si verifica in esso su intervalli temporali brevissimi e tali comunque da non lasciare allo sperimentatore il tempo materiale per la loro rilevazione. (...). Questa incredibile proprietà del vuoto scaturisce dalla combinazione della meccanica quantistica con la relatività di Einstein. Una conseguenza diretta della meccanica quantistica (o fisica dei quanti) è il principio di indeterminazione di Heisenberg il quale afferma che il mondo microscopico possiede un’incertezza di fondo: l’impossibilità di determinare con precisione assoluta i parametri fisici delle particelle di piccole dimensioni. Nel vuoto questa incertezza si manifesta sotto forma di piccole fluttuazioni energetiche che vanno e vengono senza sosta e che in parte si convertono in entità materiali. La teoria della relatività, attraverso la famosa equazione E=mc² (energia uguale massa per velocità della luce al quadrato), suggerisce infatti che l’energia possa trasformarsi in materia e viceversa. Per la precisione la materia si genera a partire dall’energia sotto forma di particella e antiparticella (ad esempio elettrone e positone insieme) dalla vita brevissima: per tale motivo esse vengono chiamate «virtuali». Le particelle virtuali quanto più sono grandi tanto meno vivono, ma in quel breve lasso di tempo potrebbero anche diventare reali (cioè particelle effettive) se potessero disporre di una fonte di energia adeguata. (...). Dal vuoto sarebbe addirittura nato l’Universo intero. Non è infatti da escludere che anche il Cosmo si sia materializzato dal nulla in seguito ad una gigantesca fluttuazione quantistica del vuoto: le leggi della fisica, come abbiamo visto, non escludono una simile eventualità.»

Lao Zi  ama usare i paradossi per prendere in contropiede determinate abitudini di pensiero: preferire il debole al forte, il non-agire all’agire, il femminile al maschile, il sotto al sopra, l’ignoranza alla conoscenza. Ma il paradosso più radicale consiste nell’affermare che il nulla  ha più valore di qualcosa, il vuoto ha più valore del pieno:

Trenta raggi convergono nel mozzo
Ma è proprio dove non c’è nulla che sta l’utilità della ruota
Si plasma l’argilla per farne un recipiente
Ma è proprio dove non c’è nulla che sta l’utilità del recipiente
Si aprono porte e finestre per fare una stanza
Ma è dove non c’è nulla che sta l’utilità della stanza
Così il «c’è» presenta delle opportunità, che il «non c’è» trasforma in utilità
(Lao Zi,11)

 Abbiamo visto che per l’Oriente il vuoto non è un'entità negativa e non è da confondere con l'inesistenza tout court. Esiste il pieno, ed esiste il vuoto: il vuoto non è semplicemente l’assenza del pieno. E' come una cavità ricolma di nulla, ma pronta e disponibile ad accogliere e a elargire, a ricevere e a dare. Il vuoto è indefinito, indifferenziato e, quindi, con infinite possibilità di trasformazione.

Nella tradizione orientale, e in particolar modo nel taoismo, pieno e vuoto sono due aspetti delle cose, come yin yang. Niente di totalmente pieno esiste; niente di totalmente vuoto esiste. Anche nel pieno più spinto vi è perlomeno la potenzialità del vuoto; anche nel vuoto più spinto c’è la potenzialità del pieno.

Può una cosa, qualsiasi cosa, essere e rimanere completamente piena? No. Può una cosa essere e rimanere completamente vuota? No. «Quando lo yin raggiunge il suo culmine, produce lo yang; quando lo yang raggiunge il suo culmine, produce lo yin».

La Via del Cielo, quanto è simile all’atto di tendere un arco!
Quel ch'è alto viene abbassato, quel ch'è basso viene innalzato,
quello che eccede viene ridotto, quel che difetta viene accresciuto.
La Via del Cielo  è di diminuire a chi ha in eccedenza
e di aggiungere a chi non ha a sufficienza. (LXXVII)

 Secondo la filosofia yin-yang il vuoto-pieno  dovrebbe essere equilibrato dinamicamente, perché la staticità non esiste in natura. Senza fine, quindi, è nell’universo l’alternanza tra vuoto e pieno. Così, la persona che vuole seguire la via naturale, che vuole essere in armonia col Tao, deve riprodurre in sé quest’alternanza. Se il pieno e il vuoto fossero esattamente equivalenti, se lo yin e lo yang fossero esattamente ripartiti, saremmo in una situazione statica, morta. Perché sia possibile la differenziazione, la vita, ci deve essere uno squilibrio che metta in moto le cose, squilibrio che evolva dinamicamente.  Quindi la soluzione è l’ennesimo paradosso: dalla tensione, dallo squilibrio, deriva l’armonia dell’universo!

Noi però tendiamo ad essere sempre pieni: siamo pieni esternamente (le nostre case sono piene di vestiti, scarpe, mobili, utensili domestici ed altre cose  - perlopiù inutili  - che non usiamo da molto tempo) e siamo pieni internamente: opinioni, preconcetti, conoscenze (per la maggior parte statiche: non molti sono disposti a mettere in discussione ciò che già sanno), preferenze... tutto ciò che abbiamo accumulato nel corso della nostra vita.

Ed ecco l’attualità del pensiero taoista:  solo creando un poco di vuoto nella nostra vita si crea la possibilità che qualcosa di nuovo arrivi. Finché restiamo emozionalmente carichi di sentimenti vecchi ed inutili non avremo spazio per nuove opportunità. Vuotiamo le nostre case dagli oggetti inutili, solo così si troverà lo spazio per circondarci di cose nuove. L’atteggiamento di «conservare» genera la stagnazione, l’assenza di movimento che rovina la nostra vita.

Celeberrima è la storiella zen dello studioso che va a trovare il saggio e gli chiede di istruirlo. Per prima cosa il maestro zen fa accomodare l’ospite e gli serve del té. Gli pone la tazza di fronte e inizia a versare la bevanda; la tazza si riempie, e lui continua a versare. Finché, alle rimostranze dello studioso, replica: «Anche tu sei come questa tazza: sei pieno. Se prima non ti svuoti, come posso io insegnarti qualcosa?».

Non c’è errore più grande che approvare i desideri.
Non c’è disgrazia più grande che non sapere avere a sufficienza
Non c’è torto più grande che il desiderio di ottenere
Poiché sapere che abbastanza è abbastanza,
significa avere sempre a sufficienza. (XLVI)









[1] Il greco chaos deriva da una forma più antica che corrisponde al latino cavus dai cui l'italiano cavo. Si è poi passati dal significato di «spazio vuoto» a quello di massa disordinata, indistinta: il caos è quanto esisteva, per la mitologia greca, all'origine di tutto, prima degli dei e del mondo. Nei miti probabilmente più antichi il caos era concepito come il vuoto.