Dao De Jing

Senza uscire dalla porta di casa puoi conoscere il mondo,
senza guardare dalla finestra puoi scorgere il Dao del cielo.
Più si va lontano, meno si conosce.
Per questo il saggio senza viaggiare conosce,
senza vedere nomina, senza agire compie.
Dao De Jing, Lao Zi

sabato 21 dicembre 2013

Merry Christ-Mao! Il Natale secondo i cinesi



La festività del Natale è entrata ormai a pieno titolo nel novero delle numerose ricorrenze cinesi: colpa della globalizzazione? In realtà, se le cose stanno così, è colpa di Confucio, con la complicità del Partito Comunista … con buona pace del Grande Timoniere … se volete sapere perché, leggete:


Ma vediamo come i cinesi  si preparano al Natale quest’anno. Canti, luci colorate, alberi addobbati: le strade di Pechino in questo periodo dell'anno sono delle 'piste' per la corsa allo shopping delle tante persone che, sfidando la neve e il freddo, si riversano nei negozi per acquistare gli ultimi regali, una cartolina natalizia o l'ingrediente mancante affinché la cena della vigilia sia perfetta. Se non fosse per i caratteri cinesi sulle insegne dei negozi, l'istantanea di Pechino potrebbe essere stata scattata a Roma, Londra, Parigi o New York.

Una via di Pechino

Il fatto è che ai cinesi le feste piacciono molto: il loro antico calendario lunare è zeppo di ricorrenze festose , tipo il «quinto giorno della quinta luna», o il «quindicesimo giorno dell’ottava luna»: tutte le festività sono rivolte alle fasi lunari. Il «settimo giorno della settima luna», ad esempio, corrisponde al nostro S. Valentino. Altre festività riguardano i giorni 1 Ottobre, 1 Gennaio, 1 Maggio, che corrispondono a Feste Nazionali. I cinesi hanno un forte legame con le loro tradizioni e vivono molto intensamente le festività che sono legate alle fiabe, alle leggende e ai racconti che tramandano da generazione in generazione.

Ma c’è un altro aspetto, nella società cinese che sostiene il perpetuarsi del binomio tra la tradizione popolare e le festività nazionali ed è il migliorato benessere economico del paese. Infatti le festività tradizionali sono un ottimo incentivo per una maggiore crescita verso i consumi interni, un po’ come succedeva nei paesi occidentali nel dopo guerra e nel periodo del boom economico. 

E fin qui nulla di strano se non fosse per il fatto che, secondo le stime ufficiali, solo il 2% dell'intera popolazione cinese si definisce cristiana (in realtà, secondo la Chiesa cattolica i fedeli in Cina sono almeno il doppio, ma qui si aprirebbe una polemica sulle libertà religiose…). Ma al di là della querelle politica tra Pechino e Santa Sede, continuano anche in Cina i preparativi per il Natale, anche se ad aver catturato i cuori e le tasche dei cinesi è soprattutto l'aspetto commerciale della festività che registra il picco di vendite, nonostante non sia previsto neppure un giorno di vacanza. La gente non si fa gli auguri per strada, non ci sono le file ai negozi di giocattoli per bambini, il 25 dicembre è un giorno di lavoro come gli altri.

 Fino a ieri, il Natale capitalista si erano limitati a produrlo da operai e ad esportarlo: addobbi, giocattoli, elettronica, vestiti, a prezzi da fiera. La cosa strana è che la maggior parte degli alberi di plastica del mondo, e le decorazioni natalizie sono fatti proprio in Cina, ma la gente che li fa non sa perché: oggi la Cina produce circa l'80 per cento mondiale di tutti gli addobbi, i balocchi e le luminarie natalizie. Solo in Italia attualmente il 75% circa dei giocattoli presenti sul mercato proviene dalla Cina, mentre addobbi e luminarie toccano il 95%. Ma ora tutto è cambiato. Per la prima volta, lo scorso anno, le spese natalizie interne, in Cina, sono state superiori all'export. Una febbre nazionale. Dietro il mausoleo di Mao, nelle nuove vie del lusso, davanti ai centri commerciali dei quartieri del business, si aggirano migliaia di confuciani Babbi Natale: distribuiscono doni a bambini stupefatti e vecchi spaventati. Megafoni diffondono "Happy Christmas" anche nel Tempio dei Lama. Le municipalità di Pechino, Shanghai e Shenzen hanno steso 170 chilometri di luminarie. Non ci sono, è chiaro, presepi: ma per il resto, in Cina ormai è più Natale che a Berlino, Roma, o New York.


Una curiosità: Pechino ha deciso di stupire i propri cittadini esponendo un originale abete di Natale: sono occorsi ben cento violini per decorare questo albero, alto cinque metri. È stato posizionato fuori dal centro commerciale Landgent City Mall.

E, a proposito di alberi, da qualche anno si assiste alla crescente richiesta di alberi di Natale da parte del mercato orientale, cinese in particolare. I neocapitalisti di Pechino e dintorni dimostrano infatti una forte passione per gli abeti europei, soprattutto per i pregiatissimi Nordmann coltivati in Germania del nord. Niente di particolarmente strano fin qui, la globalizzazione ci ha abituati all'interscambio culturale più spinto.
Il "problema" è che la massiccia richiesta di piante "made in Europa" sta sconvolgendo il mercato di settore al punto da far crescere i prezzi degli alberi fino a 20 euro al metro, record mai raggiunto in precedenza. Tale rincaro viene subìto sia dagli acquirenti cinesi che, loro malgrado, dai cittadini europei e, nello specifico, tedeschi.
Il paradosso è, dati alla mano, che la già alta richiesta di alberi in plastica potrebbe salire a tutto vantaggio del leader di settore per l'esportazione di alberi in PVC che è, guarda caso, è proprio la Cina. Solita metafora del cane che si morde la coda, questa volta però "a mordere la coda del cane" sembrano essere proprio i produttori cinesi che, mentre incrementano i guadagni derivati dalle piante sintetiche (che consumano petrolio, la loro produzione libera gas ad effetto serra), fanno incetta di abeti tedeschi di prima qualità.

Tornando al Natale cinese, bisogna precisare che questo fenomeno riguarda principalmente bambini, giovani e adulti che vivono in città. Non è così nelle zone rurali: nelle campagne  il Natale continua a rappresentare un'incognita. Pochi conoscono il vero significato della festa. "So che riguarda una persona che si chiamava Gesù, ma non ne sono sicuro"  è stata la migliore risposta data a un cronista della CBN news (Christian Broadcasting news) deciso a indagare più a fondo sulla questione. I giornali, invasi dalla pubblicità di orologi, gioielli e alta moda, osano chiedere discretamente: "Compagni, ma cosa festeggiamo in dicembre?". Un sondaggio ha stabilito che lo sa il 4% della popolazione. Di questo, il 96% ha meno di 24 anni e il 100% naviga in Internet.

E se i cristiani del Paese di Mezzo festeggiano la nascita di Gesù nel più classico dei modi: aspettando la mezzanotte riuniti intorno alla tavola con amici e parenti e andando a messa – in cinese o in inglese – gli altri cinesi fanno lo stesso festeggiando il Natale senza…Gesù. Dopo aver addobbato «l'albero delle luci» – così viene chiamato in Cina – con lanterne, fiori e collane di carta,
molti cinesi continuano la tradizione riunendosi con gli amici attorno al tavolo di casa o di un ristorante dove vengono serviti piatti «sino-natalizi» come l'immancabile Babao ya, l'anatra dagli otto tesori, versione cinese del tradizionale tacchino di Natale dei Paesi anglofoni. E dopo la cena le opzioni sono due: messa o festa? Mentre molti giovani trascorrono la notte del 25 ballando, le famiglie, forse solo per curiosità, optano per la Chiesa dove poter ascoltare i canti natalizi. Ai più piccoli invece non resta che aspettare Shengdan Laoren, il Babbo Natale dagli occhi a mandorla che vive a Beiji Cun, nella freddissima provincia dello Heilongjiang il luogo più freddo nel nord della Repubblica popolare a circa ottanta chilometri dal confine con la Russia. Temperature che toccano i meno quaranta gradi centigradi e venti gelidi che arrivano dalla Siberia potrebbero far sembrare questa località una destinazione poco gettonata dai turisti, ma da quando è arrivato Babbo Natale, il numero di visitatori è progressivamente aumentato. C’è una casa, quella di Babbo Natale, un ufficio postale dove si  possono spedire cartoline di auguri e lettere per richiedere doni: arrivano tutti per vedere la neve, i paesaggi e la vegetazione tipica di montagna, e per provare la novità di indossare cappotti, sciarpe e calzettoni di lana. Come Rovaniemi in Lapponia, anche il Villaggio di Santa Claus di Beiji Cun è una delle poche località al mondo da dove è possibile ammirare l’aurora boreale. I turisti possono scegliere due sfondi per portarsene a casa un ricordo fotografico: quello più classico, con le montagne cinesi, e quello più esotico, con la Russia alle spalle.

Concludendo, quest'anno si può affermare con certezza che la festa del "povero bambin Gesù" sia diventata per i cinesi un nuovo status symbol del benessere.

Sitografia


martedì 17 dicembre 2013

Delocalizzazione e rilocalizzazione: il ritorno è il movimento del Tao






Prendo lo spunto da un articolo del Venerdì di Repubblica di questa settimana, per fare una piccola meditazione taoista…

Riporto qui un estratto significativo dell’articolo: «La scelta è stata resa possibile dalla rivalutazione della valuta cinese e dalla crescita del loro costo del lavoro, tanto che ormai un laureato cinese costa poco meno di un italiano. Aggiungiamo anche il peso dei trasporti dall’Asia, le differenze culturali, linguistiche, legislative, di fuso orario e vedremo che la convenienza alla delocalizzazione si sta rapidamente assottigliando».

Questo non è né il primo né l’ultimo di una serie di articoli che stanno descrivendo il fenomeno della “ri-localizzazione”: leggete ad esempio:





Finalmente qualcosa si muove!...

Il vecchio Maestro Lao aveva previsto tutto molti secoli fa: la principale caratteristica del Dao è la natura ciclica del suo movimento: l’idea è che nella natura tutti gli sviluppi, sia quelli del mondo fisico sia quelli delle situazioni umane, presentano configurazioni cicliche di andata e ritorno di espansione e contrazione.

Il ritorno è il movimento del Dao
La debolezza è l’efficacia del Dao
I diecimila esseri sotto il Cielo nascono dal «c’è»
E il «c’è» nasce dal «non-c’è»
(Lao Zi,40)

Questa idea fu certamente desunta dalla secolare esperienza della vita contadina, l’alternarsi del giorno e della notte, l’alternarsi delle stagioni, l’alternarsi dei cicli produttivi, ma in seguito fu assunta come regola di vita. I cinesi credono che ogni volta che una situazione si sviluppa fino alle estreme conseguenze essa sia costretta a trasformarsi nel suo opposto; «gli esseri, giunti al culmine, non possono che fare ritorno». Secondo la legge ciclica del Dao, tutto ciò che è forte, duro, superiore, è stato all’inizio debole, molle, inferiore ed è destinato a ridiventarle.

Tutti al mondo riconoscono il bello come bello;
in questo modo si ammette il brutto.
Tutti riconoscono il bene come bene;
in questo modo si ammette il male.
Difatti l’essere e il non-essere si generano l’un l’altro,
il difficile e il facile si completano l’un l’altro,
L’alto e il basso si invertono l’un l’altro
Il prima e il dopo si susseguono l’un l’altro
(Lao Zi,2)

Secondo questa legge, non esiste crescita infinita, non esiste sviluppo illimitato, ogni cosa prima o poi ritorna da dove era venuta. In virtù di questa logica naturale, per cui ogni cosa che sale dovrà necessariamente ridiscendere, il fatto di rafforzare un nemico può al limite servire ad affrettane la caduta.

Ciò che si deve chiudere, bisogna prima aprirlo
Prima consolidare ciò che è da indebolire
Prima favorire ciò che è da distruggere
Prima dare ciò che è da prendere
Questa si chiama «visione sottile»
Il molle vince il duro, il debole vince il forte.
(Lao Zi,36)

Coloro che accumulano sempre più denaro per aumentare la loro ricchezza finiranno con l’essere poveri. La moderna società industriale che cerca continuamente di alzare il livello di vita e così facendo abbassa la qualità della vita per tutti i suoi membri è un esempio eloquente di questa antica saggezza cinese.

E per finire, rileggetevi:

mercoledì 16 ottobre 2013

Jiuhua Shan, il Monte delle Nove Bellezze



Il Monte Jiuhua  ( 九华山 Jǐuhuá Shān letteralmente “Il monte delle Nove  Bellezze”) è una delle quattro montagne sacre della tradizione buddhista cinese, assieme al Monte Wutai (nello Shanxi), al Monte Emei (nel Sichuan) e al Monte Putuo (nel Zhejiang).
Si trova nella contea di Qungyang, della provincia Anhui, ed è famoso per le sue vista stupende e i numerosi templi antichi. L'area paesaggistica del monte - che ha una superficie di 120 chilometri quadrati ed è composta da 11 siti turistici - è caratterizzata da una forte cultura buddista. Sin dalla dinastia Tang qui vennero costruiti numerosi templi ed ancora oggi sul monte Jiuhua ne sopravvivono ben 99, con più di 10 mila statue buddiste e abitati da circa mille monaci. Tra le alte cime rocciose che sembrano rincorrersi tra loro, le nove maggiori assumono la forma di fiori di loto [da qui probabilmente il nome del monte] Le sorgenti limpide, gli stagni trasparenti e le impetuose cascate danno vita ad una pittura paesaggistica tradizionale cinese. A rendere ancora più suggestivo questo luogo sono gli scenari naturali da cui è avvolto: il mare di nuvole, il sorgere del sole e i pini tra la nebbia. A Jiuhua le quattro stagioni sono ben distinte tra loro, ognuna con proprie caratteristiche. In primavera, le cime si rivestono di fiori e gli uccelli cantano armoniosamente; d'estate gli alberi sono verdeggianti e il vento dalle valli porta una brezza leggera; in autunno il monte si tinge di rosso e di giallo; d'inverno invece il monte viene stretto in una morsa di neve e ghiaccio.


Il monte Jiuhua ha anche una profonda connotazione culturale. Famosi letterati e poeti, come Tao Yuanming, Li Bai, Su Dongpo e Wang Anshi, visitarono il monte ove composero poesie e scritti eccellenti. Ed è infatti a Li Bai (vissuto nel periodo Tang) che la leggenda fa risalire l’origine del nome di questo monte: il suo nome originario Jiuzi (Nove Picchi). Ma la leggenda racconta che,  dopo un pellegrinaggio in queste montagne Li Bai scrisse i seguenti versi:

L’altro giorno, veleggiando lungo il fiume Jiujiang,
ho visto da lontano le Nove Bellezze. (jiu hua)
Sembrava un fiume celeste che scendeva dal Paradiso
e sue verdi acque creavano ricami tra gli ibischi e le rose.

Da lì il nuovo nome.

Ma la fama del monte Jiuhua è legata al culto del Bodhisattva Ksitigarbha (noto in Cina come Dìzàng) protettore degli esseri nei reami infernali secondo la tradizione buddhista Mahayana. Il tempio Huacheng, dedicato al culto di Dìzàng, è il più antico ed anche il più importante tempio dell’ insediamento. Si narra che nell’anno 401, durante la dinastia Jing, un monaco indiano di nome Huaidu, costruì in quella località un piccolo tempio buddhista. Secondo la tradizione, il principe coreano Kim Qiaoque [ma si chiamano tutti Kim Qualcosa in Corea?], dopo avere conosciuto il buddhismo in una sua visita in Cina alla corte dei Tang, ne fu talmente colpito che, tornato in patria decise di farsi monaco. Tornò poi in Cina e passò cinque anni sul Monte Jiuhua presso questo tempio, per approfondire lo studio delle scritture e meditare. Visse fino a 99 anni e pare che il suo corpo non subisse la corruzione della morte: questo fatto straordinario, unito ad una notevole somiglianza fisica al bodhisattva Ksitigarbha, portò i monaci suoi compagni a ritenere che Kim fosse un reincarnazione del bodhisattva e così il Monte Jiuhua divenne centro di culto per Dìzàng. Durante le dinastie Ming e Qing sul Monte Jiuhua si contavano 360 templi, e monasteri popolati da più di 4000 monaci e monache.



Ma chi era questo Bodhisattva indiano?

La sua storia  si trova nel Sutra dei Grandi Voti del bodhisattva Ksitigarbha, uno dei più popolari sutra della tradizione Mahayana. In questo sutra, Buddha racconta che molti eoni fa, Ksitigarbha era una fanciulla brahmina [casta sacerdotale indiana] profondamente addolorata per la morte della madre che, avendo spesso peccato durante la sua vita, era finita all’inferno. Per salvare la madre dai tormenti infernali, la ragazza vendette tutto quello che aveva per comprare offerte per il Buddha del suo tempo, noto come “il Buddha del Fiore della Meditazione e della Illuminazione” e lo pregò ferventemente di aiutarla.Un giorno, mentre stava pregando nel tempio, sentì la voce del Buddha che le disse, se voleva sapere dove fosse la madre, di tornare a casa, sedersi in meditazione e invocare il suo nome. Lei fece quanto richiesto e durante la meditazione, la sua coscienza fu trasportata in un regno infernale, dove incontrò un guardiano che le rivelò che, grazie alle sue preghiere ed alle offerte, sua madre aveva accumulato molti meriti ed era quindi salita al paradiso. La ragazza consacrata fu molto sollevata da questa notizia e sarebbe tornata a casa molto felice ma la vista di tanta sofferenza nel mondo infernale aveva talmente toccato il suo cuore che fece voto di dedicare se stessa al sollievo delle sofferenze dei dannati, non solo per tutta la sua vita, ma anche per tutte le sue vite future.

Sitografia
http://en.wikipedia.org/wiki/Mount_Jiuhua