Dao De Jing

Senza uscire dalla porta di casa puoi conoscere il mondo,
senza guardare dalla finestra puoi scorgere il Dao del cielo.
Più si va lontano, meno si conosce.
Per questo il saggio senza viaggiare conosce,
senza vedere nomina, senza agire compie.
Dao De Jing, Lao Zi

venerdì 2 novembre 2012

Il "Viaggio in Occidente" di San Zang


Chiunque ami i racconti di viaggi, non può non conoscere la straordinaria figura di San Zang, monaco pellegrino, vissuto in Cina nel VII secolo durante la Dinastia Tang. Insigne maestro spirituale, dotato di elevata forza d'animo e carisma, San Zang compì una marcia di ottomila chilometri,  lungo la Via della Seta,  per raggiungere il monastero di Nalanda, in India, culla della fede buddhista. Qui rimase diversi anni, studiando accanto ai più sapienti conoscitori della tradizione buddhista, prima di riprendere la strada per la Cina. Nel 645, dopo quasi diciassette anni di assenza, rimise piede nella capitale imperiale. Portava con sé venti cavalli carichi di reliquie religiose donategli dai buddhisti indiani e tre canestri di sūtra, i sacri testi della tradizione buddhista, donde il nome sanscrito con cui San Zang  fu presto conosciuto: Tripiṭaka «tre canestri» (in cinese, appunto, San Zang).

Il resoconto dettagliato dei suoi spostamenti  (Dà Táng Xīyù Jì, Annotazioni sulle Regioni Occidentali ai tempi dei grandi Tang) fu redatto da Bian Ji, un suo discepolo che impiegò più di un anno a trascrivere la dettatura del maestro e rappresenta la prima informazione affidabile per i cinesi riguardo alla geografia e agli abitanti di paesi lontani dell’occidente. Il libro contiene più di 120.000 caratteri cinesi ed è suddiviso in dodici volumi, che descrivono la geografia, i trasporti marittimi e terrestri, il clima, i prodotti locali, le etnie, le lingue, la storia, la politica, la vita economica, le religioni, la cultura e i costumi sociali di più di cento paesi, regioni, città-stato, nell’area geografica che attualmente ospita Xinjiang (Cina), Afghanistan, Tagjikistan, Uzbekistan, Pakistan, India, Bangladesh  e Sri Lanka. Attualmente il testo è di grande interesse per gli storici moderni e gli archeologi: le Annotazioni rappresentano una fonte importante di informazioni sull’Asia Centrale, documentano l’esistenza di una cultura buddhista in Afghanistan e testimoniano l’esistenza, a quel tempo, delle famose sculture dei Buddha di Bamiyan (quelle distrutte recentemente dai talebani) e, per l’esattezza delle descrizioni dei luoghi,  è stato utile negli scavi per il ritrovamento di numerosi siti archeologici in India.

San Zang  era nato nel 602 d.C. a Chen He, un villaggio nei dintorni di  Luoyang, nella provincia cinese dello Henan. La sua famiglia era famosa da secoli per la sua erudizione e Chen Hui (questo era il suo vero nome) era il più giovane di quattro fratelli: un suo antenato, Chen Shi, era stato ministro sotto la dinastia degli Han Orientali; suo nonno Chen Kang, era stato professore all’Accademia Imperiale durante la dinastia dei Qi Settentrinali. Suo padre, confuciano conservatore, era magistrato della contea di Jiangling durante il dominio della dinastia Sui. Fu educato dal padre assieme ai suoi fratelli  secondo lo spirito confuciano: secondo le biografie tradizionali, San Zang  mostrò fin da bambino una intelligenza eccezionale e stupì il padre per la sua scrupolosa osservanza dei riti confuciani fino dalla età di otto anni. Da ragazzo si appassionò allo studio dei Classici confuciani della letteratura cinese ma fu attratto, come il fratello maggiore, anche dalla religione buddhista ed entrò nel monastero  di Luoyang all’età di tredici anni. Dopo la morte del padre, visse con il fratello maggiore Chen Su nel monastero Jingtu di Luoyang per quattro anni, dedicandosi allo studio del buddhismo mahayana. A causa dei disordini sociali e politici che seguirono la caduta della dinastia Sui (618) dovette spostarsi a Chengdu nel Sichuan dove a vent’anni  (622) fu ordinato monaco presso il Tempio dello Splendore Celeste.

Salito al trono l’imperatore Taizong, della dinastia Tang, iniziò un periodo di relativa pace, durante il quale San Zang ebbe modo di viaggiare in lungo e in largo attraverso la Cina alla ricerca di testi sacri buddhisti. Dopo qualche tempo fu trasferito al Tempio del Grande Studio a Chang’an [oggi Xi’an], la nuova capitale dell’impero, in una comunità di monaci che avevano dedicato la loro vita alla traduzione dei Libri Sacri provenienti dall’India. Durante i suoi studi però, ebbe modo di constatare con dispiacere la incompletezza  e la errata  interpretazione della natura delle scritture buddhiste che erano arrivate in Cina. Così si era espresso a  riguardo: «Sebbene il Buddha sia nato  in Occidente, la sua dottrina si è diffusa in Oriente. Nel corso della traduzione, errori possono essere stati inseriti nei testi e parole possono  essere state mal interpretate. Se le parole sono sbagliate, si perde il loro senso e quando una frase viene mal interpretata, la dottrina viene distorta.». Un giorno San Zang ebbe un sogno premonitore e concepì allora l’ardito piano – sulle orme del monaco Fa Xian, che era andato in India due secoli prima alla ricerca di testi sacri buddhisti - di andare anche lui in India a cercare dei testi originali delle scritture da riportare in Cina.


È difficile immaginare un percorso più lungo, accidentato, pericoloso di quello che questo intrepido monaco aveva scelto di percorrere. San Zang era descritto come un uomo alto e bello, di costituzione delicata; elegante nel vestire, educato nei modi, dallo sguardo vivace e dalla voce suadente. Eppure, questo gentile e raffinato studioso non indietreggiò di fronte alla prospettiva di lasciare la sua casa a Luoyang, nella Cina nord-orientale, per mettersi in viaggio alla volta dell'India.

Ma seguiamo le sue avventure come lui stesso ce le racconta nelle Annotazioni: ci soffermeremo in particolare sul suo passaggio lungo la Via della Seta, che ci consente di approfondire la nostra conoscenza di un territorio pericoloso ma affascinante: il bacino del Tarim, che ospita il terribile deserto di Taklamakan, circondato a nord dalla catena montuosa dei Monti Celesti [Tian Shan] e a sud dal massiccio del Kunlun, considerato nella tradizione orientale una “Montagna Cosmica” che simboleggia “il punto che segna il passaggio dal Caos Primordiale all’Ordine”. Un territorio solo apparentemente deserto ed inospitale, che ha visto nei secoli il passaggio di innumerevoli carovane, ma che fu anche la via di ingresso del buddhismo in Cina.

San Zang iniziò il suo pellegrinaggio nel 628, partendo da Chang’an dirigendosi prima a nord-ovest, verso Anxi [nella attuale provincia del Gansu]: di qui la via diventava difficoltosa, dovendo costeggiare l’immenso deserto di Taklamakan, nel bacino del Tarim. Ma a complicare il viaggio di San Zang non c’era solo il deserto: in quei mesi  i cinesi erano scesi in guerra contro delle popolazioni turche ai confini nord-occidentali e l’imperatore Taizong aveva proibito a tutti di muoversi al di fuori dei confini imperiali. Scrive San Zang  in proposito:

«Quando arrivai al confine estremo della Cina, al bordo del deserto di Lop, fui catturato dalle milizie cinesi. Non avendo un permesso di viaggio, volevano rimandarmi al monastero di Dun Huang affinché rimanessi là. Allora io risposi: “Se voi insistete  a trattenermi, vi consento di togliermi la vita ma non farò nemmeno un passo indietro verso la Cina”».

Per fortuna anche l’ufficiale cinese era buddhista e  commosso dalla sua determinazione, lo lasciò passare. Per evitare il successivo posto di blocco, San Zang ebbe la malaugurata idea di abbandonare la pista principale e tentò una deviazione che lo condusse in una zona così aspra e selvaggia che non mostrava alcun segno di vita: non c’erano uccelli in cielo né animali  sul terreno né acqua, né vegetazione. Era esausto per il caldo e per la sete dopo quattro giorni iniziò ad avere terrificanti miraggi di cavalieri fantasma: stava per morire, quando il suo unico compagno, il suo cavallo, seguendo il suo istinto, cambiò improvvisamente direzione e lo condusse in un’oasi dove trovarono acqua e qualcosa da pascolare: la sua vita era salva! Alcuni giorni dopo arrivò a Turfan, dove si riposò per qualche giorno.

Turfan  è stata per lungo tempo un’oasi  fertile (grazie ad un ingegnoso sistema di canali sotterranei, detto karez, che raccolgono l’acqua dai monti circostanti) ed un importante centro commerciale lungo la Via della Seta. Conteso per secoli tra i cinesi e gli Xiongnu fin dai tempi della dinastia Han, Turfan, ai tempi di San Zang era un regno indipendente governato da una tribù di etnia turca. Il re di Turfan, incantato dalla conoscenza del monaco dei sacri libri buddhisti, voleva trattenerlo con sé e rifiutò di dargli il permesso di ripartire: solo quando Xuanzang iniziò lo sciopero della fame, il re, riluttante, gli consentì di andarsene e gli diede delle lettere di credenziali per presentarsi ai governanti delle oasi lungo la strada, fornendogli tutta l’assistenza necessaria per il successo del suo pellegrinaggio.

Proseguendo il suo cammino verso ovest lungo la carovaniera, Xuanzang sfuggì ad una imboscata di predoni e trovò riparo in un monastero buddhista a Kuqa. Scrive San Zang nelle sue note:

«Il terreno in questa zona è adatto alla coltivazione di riso e grano […] si coltiva le vigne, i melograni e numerose specie di susini, peri, peschi e mandorli […] Il sottosuolo è ricco di minerali: oro, rame, ferro, piombo e stagno. Il clima è temperato e le persone si comportano onestamente. La scrittura è simile a quella indiana, seppure con qualche differenza. Superano gli abitanti dei regni confinanti nella loro abilità a suonare il liuto e la pipa. Si vestono con abiti di seta ornati di ricami […] In questa regione ci sono circa cento conventi, con più di 5.000 monaci, che appartengono alla scuola Theravada [Piccolo Veicolo] e Sarvastivada. Le loro regole e la disciplina è simile a quella indiana e i loro testi sono quelli originali..»

La tappa successiva fu Aksu, che descrive come capitale del regno di Baluka: anche di questa regione descrive geografia, clima e usi locali, non dimenticando di elencare minuziosamente i conventi buddhisti incontrati e le loro regole. Tra un’oasi e l’altra il paesaggio è incredibile, sembra di essere in un pianeta sconosciuto: ecco, vicino a Aksu le cosiddette “Colline dai Cinque Colori”…

Da Aksu, invece di proseguire per Kashgar lungo la carovaniera della Via della Seta, prese la via del nord-ovest e, attraversate Montagne Celesti  (Tian Shan) al passo di Bedel, alto 4200 m., che segna il confine tra l’attuale provincia cinese del Xinjiang ed il Kyrgyzistan, arrivò  a Tashkent ed infine a Samarkanda. Nei suoi Appunti scrive: «questa grande città, che governa un potente stato,  è circondata da un muro di sette miglia di circonferenza.  È un paese ricco, che ha accumulato tesori provenienti  da terre lontane, dove si possono trovare cavalli forti ed artigiani esperti e il clima è abbastanza gradevole».

Da Samarkanda San Zang deviò verso sud e superando i contrafforti del Pamir passò il famoso passo Porta d’Acciaio. Continuando il suo viaggio verso sud seguendo il  corso del fiume Amu Darya arrivò a Termez, ai confini meridionali dell’odierno Kyrgyzistan, dove incontrò una comunità di monaci buddhisti che contava più di mille persone.

Entrò poi nell’odierno Afghanistan raggiungendo Kunduz, dove gli capitò di partecipare ai riti funebri del principe locale Tardu, morto avvelenato in una congiura. Proseguì poi per Balkh, per vedere il sito buddhista di Nava Vihara, che è rimasto famoso per essere stato il monastero più ad occidente del modo, al tempo, con più di 3000 monaci. Qui incontrò Prajnakara, un monaco con cui Xuanzang aveva studiato le prime scritture buddhiste, che lo aiutò a trovare il testo Mahavibhasa, che poi, tornato in patria, tradurrà in cinese. Prajnakara lo condusse a Bamiyan, dove San Zang poté vedere le famose statue giganti di Buddha scavate nella roccia.

Dopo questa importante tappa San Zang riprese il suo viaggio verso est e attraversato il passo Shibar, raggiunse la capitale della regione di  Kapisi, [circa 60 Km a nord di Kabul] . Là visitò più di cento monasteri, popolati da 6000 monaci, la maggior parte del rito mahayana ma incontrò anche religiosi indù jainisti: era l’anno 630.

Dalle Annotazioni di San Zang apprendiamo che, al tempo della sua visita, cioè nel 630, nella zona di Balkh c’erano almeno un centinaio di monasteri buddhisti, con 30.000 monaci,  c’era un grande numero di stupa ed altri monumenti religiosi: il buddhismo era quindi fiorente nella porzione bactriana dell’impero turco occidentale.

Attraverso il passo Kyber [che separa l’Afghanistan dal Pakistan] arrivò poi a Peshawar: la città aveva perso molto dell’antica gloria e il buddhismo era in declino nella regione. Peshawar era stata fatta capitale dal re dei Kushan, Kanisha nel II secolo a.C. Dopo poco iniziarono a diffondersi nella zona i missionari buddhisti che stranamente vennero ben accolti dai Kushan (che seguivano la religione di Zoroastro) che integrarono gli insegnamenti buddhisti nella loro religione e gradualmente si convertirono al buddhismo. Peshawar divenne rapidamente un grande centro di riferimento per il buddhismo anche se la religione zoroastriana e l’animismo dei Kushan sopravvissero specialmente nelle aree rurali. Il re Kanisha, diventato un fervente buddhista, aveva fatto costruire a Peshawar quello che sarebbe stato il più alto edificio del mondo a quel tempo, uno stupa gigante, per ospitare le reliquie del Buddha. Il primo riferimento a questo edificio era stato fatto dal monaco pellegrino cinese Fa Xian, che lo aveva visitato nel 400 d.C. e descritto come alto 120 metri e adornato con tutti i materiali preziosi del mondo. Nessuno stupa poteva essere paragonato per bellezza e potenza ad esso. Lo stupa venne distrutto da un fulmine e restaurato più volte, ma quando arrivò San Zang,  nel 634, era ancora integro. Le rovine di questo stupa furono ritrovate nel 1909 dall’archeologo americano  D.B. Spooner grazie alle indicazioni lasciateci da San Zang.

Sorvoliamo la storia del lungo periodo di permanenza in India dove San Zang visitò tantissimi luoghi sacri ed approfondì per anni la sua cultura buddhista: quindici anni più tardi San Zang, ripassava  sulla Via della Seta, ma questa volta in direzione della Cina. Questa volta passò come era d’uso per le carovaniere che andavano in Cina, lungo la pista meridionale del bacino del Tarim, visitando Kashgar, Khotan e Loulan prima di raggiungere Dunhuang: consapevole delle insidie che la carovaniera nascondeva in quella regione, San Zang riuscì  ad attraversare l’immenso deserto e raggiungere Dunhuang  dove depositò i suoi preziosi manoscritti nella biblioteca del monastero presso le grotte dei Mille Buddha di Bezeklik.

Questo complesso, si trova vicino alle antiche rovine di Gaochang, nella valle Mutou, una gola delle Montagne Fiammeggianti [che prendono questo nome dal colore rosso delle rocce di cui sono formate]. Nel sito vi sono 77 grotte scavate nella pietra, tutte decorate con dei murales del Buddha.


Il suo ritorno in Cina  fu un trionfo, poiché la fama e il prestigio guadagnati in terra indiana lo avevano preceduto, e l'imperatore in persona  volle ascoltare dalla viva voce del pellegrino le sue avventure e le sue osservazioni di viaggio. L'imperatore gli offrì persino una carica governativa, ma San Zang, privo di qualsiasi ambizione, preferì dedicarsi agli studi e alla traduzione dei sūtra che aveva portato dall'India e ancora oggi la tradizione riferisce a lui 1338 dei 5084 sūtra che costituiscono il canone buddhista cinese.

La fantasia popolare non tardò a impossessarsi della figura potente e insieme gentile di questo monaco. Su San Zang vennero creati racconti, favole, ballate, i quali confluirono a formare il corpus di una grande tradizione narrativa, tramandata prima oralmente e poi per iscritto. I più antichi di questi documenti risalgono alla dinastia Song. Al periodo Yuan va ascritta una versione teatrale intitolata Xiyouji, appunto «Cronaca di un viaggio in occidente». È questo un classico della letteratura cinese, forse il più famoso tra le giovani generazioni. È stato pubblicato anonimo nel 1590 circa e non ci è pervenuta alcuna prova materiale relativa all'identità dello scrittore, ma lo si attribuisce tradizionalmente all'erudito Wu Cheng’en. Il libro è una riflessione su quanto il buddhismo cinese avesse unito, fondendo aspetti del taoismo e del confucianesimo in Cina. Rappresenta inoltre un vero e proprio percorso di purificazione dei vari personaggi, che alla fine del viaggio giungeranno all'illuminazione. Il romanzo racconta in versione mitizzata il viaggio di un monaco buddhista. Nel romanzo, il monaco Xuan Zang [Hsüan Tsang] (ispirato al personaggio storico San Zang) viene inviato dalla Bodhisattwa Guanyin in India per ottenere le copie di determinati testi buddhisti importanti, non disponibili in Cina. È accompagnato nel suo viaggio da tre discepoli — il re scimmia Sun Wukong, il maiale Zhu Baijiè ed il demone fluviale Sha Wujing i quali decidono di proteggerlo ed aiutarlo nell'impresa per ottenere il perdono dei peccati commessi. Il cavallo del protagonista è invece, in realtà un principe drago, figlio del Re Drago del Mare del Sud. Insieme, combattono i mostri ed i demoni che incontrano lungo il cammino, compreso il Bai Gu Jing, che uccide intere famiglie succhiando l'anima e la vita, ed il demone del ratto, che seduce e uccide i monaci con i suoi artigli.

Uno degli assistenti soprannaturali del monaco, il re scimmia Sun Wukong, è diventato uno dei personaggi più famosi e più cari della letteratura cinese. Il suo grado di popolarità e di riconoscimento in Asia è stato paragonato a quello di Topolino nei paesi occidentali (considerando le sue avventure, il carattere, ed il valore educativo della storia, noi potremmo paragonarlo al nostro Pinocchio). La ragione della popolarità così duratura del romanzo, viene dal fatto che esso è portatore di messaggi a livelli multipli: è una storia di avventura, con parecchi passaggi al comico, e anche una metafora in cui il gruppo dei pellegrini che viaggiano verso l'India corrisponde ad un viaggiare simbolico verso il chiarimento, ad un viaggio interiore verso un livello di educazione più elevato.

Il romanzo è stato preso ad ispirazione per:

·         Monkey: serie umoristica a cartoni animati per la televisione, parodia del Viaggio in Occidente ma è anche un po' più fedele e come tale di difficile comprensione per il pubblico occidentale.

·         Lo scimmiotto, di Milo Manara e Saverio Pisu (Alterlinus, 1976). Versione molto libera della prima parte della storia, che si conclude con l'imprigionamento del re delle scimmie sotto la Montagna dei Quattro Elementi.

·         Dragon Ball: (serie giapponese di manga e anime liberamente ispirata anch'essa al Viaggio in Occidente, ma mentre l'intenzione del testo originale fu di diffondere la nozione di karma in una cultura perlopiù animista e in parte panteista, quella cinese appunto, Dragon Ball si propone invece di diffondere nozioni di panteismo in una cultura agnostica, quale quella occidentale).

Le (poche) traduzioni italiane sono:

·         Lo scimmiotto, traduzione di A. Motti dalla versione ridotta di Arthur Waley del 1942 (traduce soltanto trenta dei cento capitoli), Einaudi, 1960.

·         Il viaggio in Occidente, a cura di S. Balduzzi, Rizzoli,1998.

·         Lo scimmiotto, Adelphi, 2002 (prima edizione 1971).Son Goku - Lo scimmiotto di Pietra, Kappa Edizioni,2005.


Sitografia


http://en.wikipedia.org/wiki/Xuanzang
http://depts.washington.edu/silkroad/texts/faxian.html
http://it.wikipedia.org/wiki/Viaggio_in_Occidentehttp://bifrost.it/Articoli/Sunwukong.html
http://en.wikipedia.org/wiki/Turpan













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