Siamo nel 1253: sono
passati quasi dieci anni dalla infruttuosa missione di frate Giovanni da Pian
del Carpine, inviato dal papa Innocenzo IV fino in Mongolia con l’obiettivo di convertire
il Gran Khan alla religione cristiana e porre fine al terrore seminato dalle
orde mongole: gli invasori erano giunti, invincibili, in Polonia, Boemia,
Ungheria, sino alle coste dell'Adriatico, seminando distruzione e facendo
prigionieri cristiani di mezzo continente. Poi si erano improvvisamente
ritirati assestandosi nella Russia europea.
Alla morte di Genghis
Khan, nel 1227, l'impero da lui costituito era stato diviso tra i quattro
figli. Djuci, il maggiore, era già morto ed anche la sua paternità era stata
messa in dubbio, così che a suo figlio Batu furono assegnate le terre più
lontane tra quelle conquistate, il sud della Rutenia [oggi Bielorussia, Ukraina
e Russia occidentale]. Il khanato assegnato a Batu resta noto come Il Khanato
dell’Orda d’Oro. Chagatai (secondo in linea di discendenza) era considerato una
«testa calda» e aveva ottenuto l'Asia centrale ed il nord dell'Iran. Ögödei
aveva ottenuto la Cina ed il titolo del padre, Gran Khan fondando la dinastia Yuan.
Tolui, il più giovane, aveva ricevuto le terre natie dei mongoli.
(vedi anche:
Ed ecco che al re di Francia Luigi IX,
detto il Santo,
[fu infatti canonizzato nel 1297 da Bonifacio VIII con il nome di san Luigi
dei Francesi ed è, insieme con santa Elisabetta d’Ungheria, patrono
dell'Ordine Francescano Secolare e del Terzo Ordine Regolare di San Francesco] impegnato in Terrasanta alla guida
della VII Crociata, giunge la notizia che Sartaq figlio di Batu, si era
convertito al cristianesimo: il papa Innocenzo IV
aveva ricevuto notizie in tal senso da
un sacerdote che il Khan gli aveva inviato con delle ambasciate. L’eventualità che i Tartari [così
venivano allora chiamati i Mongoli] potessero abbracciare le fede cristiana e
quindi diventare dei possibili alleati in funzione anti-islamica era una
opportunità strategica per il mondo occidentale. Il re decide quindi di ritentare l’impresa del papa Innocenzo IV e invia
nella lontana Russia, dove si era insediato il khanato dell’Orda d’Oro, Guglielmo
di Rubruck, un religioso fiammingo appartenente all’Ordine dei Frati Minori per
verificare se tale notizia fosse vera e riproporre loro la conversione (e
probabilmente qualche patto di
alleanza).
Guglielmo, che si trovava in Terrasanta assieme al re
Luigi, parte quindi nella primavera del 1253
e si imbarca al porto d’Acri alla volta di Costantinopoli, accompagnato
dal confratello Bartolomeo da Cremona, un giovane chierico di nome Gosset, un
interprete scalcinato di nome Homodei [letteralmente uomo
di Dio, traduzione dell'arabo Abdullah]. La sua destinazione era Saraj, la capitale del
Khanato dell’Orda d’Oro, sulle rive del basso Volga [nelle vicinanze
dell’odierna Volgograd], dove sperava di incontrare Sartaq.
Un viaggio difficile ma non particolarmente rischioso:
ma la missione di
Guglielmo si rivelerà, come vedremo, più complicata del previsto: il 7 maggio
Guglielmo entra nel Mar Nero su una nave di mercanti veneziani con i suoi
compagni ed un servo di nome Nicola acquistato a Costantinopoli e un paio di
settimane dopo sbarca a Soldaia [Sudak] in Crimea. Uno dei problemi maggiori che Guglielmo incontra è la difficoltà di
comunicazione: in Europa il latino era una lingua che consentiva agli uomini
colti una facile comunicazione in qualunque zona ma presso i Mongoli invece
comunicare è difficilissimo. Già all’inizio del suo viaggio, quando si presenta
dal primo capo mongolo per avere il lasciapassare per il viaggio, nessuno
capisce il greco in cui è scritta la lettera di richiesta, e devono attendere
diversi giorni perché venga tradotta. Ottenuti il lasciapassare e delle scorte per proseguire il loro viaggio verso
nord, oltrepassano l’istmo di Perekop [che separa il Mar nero dal Mare di Azov]
e si addentrano con carri trinati da buoi nelle steppe del bassopiano sarmatico
nel cuore della Russia europea. Il 20
luglio raggiungono la sponda del Don e al di là del fiume incontrano
finalmente Sartaq.
Sembra che Sartaq si fosse veramente convertito alla
religione cristiana (forse nestoriana); tratta con benevolenza il suo
ambasciatore ma dice di non poter accogliere la richiesta contenuta nella
lettera del re di Francia e lo consiglia di parlare con suo padre Batu, persona
più autorevole, che però si trova in un accampamento un poco più ad est.
Guglielmo incassa e lasciati i carri con le sue cose e il servo Nicola da
Sartaq, si mette in viaggio verso nord-est, attraversando il Volga all’altezza
di Saratov. Nella pianura russa tutto è vasto, enorme, eccessivo.
Il Volga è il fiume più grande che abbia mai visto, largo quattro volte la
Senna; il Caspio è un lago il cui perimetro è percorribile in quattro mesi di
cammino; l’unità di misura consueta per i viaggi, la dieta, ovvero la «giornata di cammino» è insufficiente; spazi
infiniti, solitudini immense: si può camminare anche quindici giorni senza
incontrare un accampamento o una fonte d’acqua. La regola francescana impone a
Guglielmo di non poter maneggiare denaro, che quindi, durante il viaggio, viene
affidato a Gosset, e poi all’interprete. Ma Guglielmo scopre presto che il
denaro in quei luoghi non serve a nulla, poiché gli scambi avvengono tramite
baratto di stoffe e tessuti. A un certo punto restano senza cavalli, e solo
dopo che la loro permanenza sul luogo divenne un peso gli fu consentito di
proseguire.
Il viaggio sarà di “soli” quattro mesi, e il nostro
sarà guidato da una scorta del Khan… purtroppo è settembre e sta per arrivare
l’inverno, ma Guglielmo accetta, e si mette in viaggio, separandosi
anche da Gosset, che torna da Sartaq. Il viaggio questa volta è più veloce,
perché a cavallo, ma con più disagi. Va verso est e attraversa l’Ural procedendo
tra le steppe del Kazakistan. Il gruppo devia poi verso sud, dove i mongoli si
spostano durante l’inverno, in modo da avere più punti d’appoggio, praticamente
assenti a nord in quella stagione. Si immettono quindi nella trafficata via che
dalla Persia porta alla Mongolia, e da lì riprendono il percorso verso est. In
novembre giungono al bacino del Lago Balqaš e si fermano a Cailac, l’odierna
Qailiq. Dal campo di Batu a qui hanno compiuto 3000 chilometri in 69 giorni, il
che vuol dire più di 40 chilometri al giorno, che significa 7/8 ore di
cavalcata… un ritmo massacrante! Dopo una breve sosta, si mettono nuovamente in
viaggio verso est: passano sulle rive del grande lago Alakol, e risalgono i
monti del Tarbaghatai; in questo tratto i centri abitati sono rarissimi;
costeggiano il fiume Ulungur e attraversano i monti dell’Altaj Nuru. Il 27
dicembre giungono all’accampamento di Mönke Khan; il percorso di 1500 Km è stato compiuto in inverno,
tra le montagne e la neve, in 27 Giorni.
Come abbiamo visto, (vedi: mission
impossibile:….)frate Giovanni da
Pian del Carpine aveva assistito nel 1246 alla incoronazione di Güyük; ma riassumiamo velocemente cosa era
successo in quegli anni: dopo la morte del Gran Khan Ögödei, 1241, la madre
di Güyük aveva fatto funzioni di reggente fino al 1246 e grazie alla sua
intercessione, era riuscita a far nominare Gran Khan il figlio dal Gran Concilio
mongolo. Ma Batu, carismatico Khan che controllava gran parte delle forze mongole
centro asiatiche ed occidentali, rifiutava fermamente questa risoluzione
reclamando il Gran Khanato per sé. La guerra civile era alle porte: Batu stava
ripiegando sulla Mongolia con tutte le sue Orde per affrontare colui che dal
suo punto di vista era un usurpatore. Güyük però, stanziato in Cina, era morto
sulla via di guerra presso l'odierna Xinjiang senza mai affrontare Batu, perito
a 42 anni per le conseguenze di un grave alcolismo. [L'alcol ed il suo abuso era un piaga che
aveva afflitto tutti i figli di Genghis Khan: vedi in proposito: …]. Alla fine il Gran
Concilio aveva nominato Gran Khan figlio di Tolui Möngke, che si era distinto come generale durante le scorrerie
in Europa dal 1236 al 1241.
Questa è la parte più
avventurosa del viaggio, dove Guglielmo farà moltissimi incontri: ambasciatori
di popoli tributari; sacerdoti nestoriani e buddisti; sciamani; prigionieri
occidentali. Scampa una condanna a morte per aver inavvertitamente
toccato la soglia d’ingresso alla tenda del capo; seda miracolosamente una
tempesta con le preghiere.
L’incontro
più interessante è con l’orafo Buchier: catturato in Ungheria e deportato alla
corte di Mönke dove gli viene
commissionata la costruzione di una fontana d’oro a forma di albero che eroga
bevande. Tuttavia come era prevedibile, Mönke si comporta come Güyük: non solo rifiuta
ogni proposta del re Luigi ma anzi consegna a Guglielmo
una missiva di risposta in cui ingiunge
a tutti i principi cristiani di sottomettersi alla sua autorità.
Altra spina nel fianco è l’interprete che accompagna Guglielmo nel suo
viaggio: se ne lamenterà in continuazione, e non solo lui. A causa sua la
predicazione sarà praticamente impossibile: è pigro, e soprattutto traduce scorrettamente,
sicché Guglielmo preferisce non predicare affatto piuttosto che rischiare di
stravolgere il messaggio cristiano. Sulla via del ritorno Guglielmo incontra un
gruppo di domenicani diretti in Mongolia: li avverte che senza un buon
interprete il loro viaggio sarà inutile, tanto che essi deviano verso una sede
del loro ordine per un consulto. Nell’epilogo Guglielmo spiega al suo re che,
in vista di una futura missione, è assolutamente necessario avere non uno, ma
almeno due ottimi interpreti, e molti mezzi, altrimenti la missione sarà
inutile. Ma a parte i problemi di comunicazione, anche l'intento di Guglielmo
di evangelizzare i mongoli si rivela un totale fallimento: sebbene il nostro
partecipi ad una famosa disputa presso la corte del Khan, il quale aveva
promosso un dibattito formale fra cristiani, buddhisti e musulmani, al fine di
stabilire quale fede fosse quella giusta,
i mongoli non mostrano alcun interesse ai contenuti della fede cristiana.
A proposito degli insuccessi di Guglielmo nella sua opera di
evangelizzazione, c’è un curioso aneddoto: un frate chiamato Giacono d’Iseo
riferisce di un incidente diplomatico avvenuto presso il Re dei tartari.
Giacono dice di aver sentito raccontare questo episodio quando si trovava nel
convento francescano di Tripoli da parte di Re Aitone I d’Armenia, il quale a
sua volta lo aveva sentito raccontare in territorio mongolo, quando era passato
per la corte di un magnus Rex Tartarorum. L’aneddoto parla di un
certo frate francescano Guillelmus, qualificato come flandricus e
lector, del quale si diceva che fosse stato inviato da re di Francia presso il Khan
mongolo. [Guglielmo dice di essere originario di Rubruck, identificato con l’attuale Rubrouck,
presso Cassel, nella regione Nord-Pas-de-Calais, al confine con il Belgio,
nelle fiandre francesi, ecco perché detto flandricus.]
Una volta là, questo monaco aveva fatto una predica dove prometteva il fuoco
dell’inferno a chiunque non si fosse convertito. Il Khan, dopo la predicazione,
ironizzò dicendo a questo Guillelmus che se voleva avere successo come
predicatore, doveva parlare di quanto c’è di bello nella sua religione
piuttosto che terrorizzarli con le punizioni. Secondo il racconto di Giacomo
d’Iseo, il Magnus Rex mongolo avrebbe usato una similitudine efficace:
una nutrice fa cadere nella bocca del neonato delle gocce di latte perché
questi, sentendone il sapore, sia invogliato a succhiare, e solo dopo porge la
mammella; allo stesso modo Guillelmus avrebbe dovuto convincere il suoi
uditori, che nulla sanno di cristianesimo, con argomenti ragionevoli, mentre ha
subito minacciato le pene dell’inferno. E Giacomo aggiunge che, in vista di
future missioni, sarebbe il caso di evitare questo tipo di atteggiamento. [evidentemente
questo frate non ha avuto molto seguito… ].
Oltre a ciò Guglielmo deve prendere atto anche che è fallito l’intento di
offrire supporto spirituale alle popolazioni cristiane deportate: solo sei battesimi;
a un certo punto un musulmano chiede di essere battezzato, ma cambia idea a
causa della strana convinzione che i cristiani non possano bere il comos,
convinzione piuttosto diffusa a quanto pare. In realtà pare che, la prima volta
che Guglielmo ebbe l’occasione di
assaggiare il cosmos[1],
al primo sorso si mise a sudare propter
horrorem et novitatem, ma poi gli parve che a avesse un buon sapore, e
addirittura si rammaricherà quando in futuro non gli verrà più offerto.
Guglielmo vorrebbe rimanere ancora, ma giunta l’estate Mönke Khan gli ordina di
ritornare; Bartolomeo, che è stanco e malato, può rimanere a Caracorum in
attesa che parta una carovana e lo riporti indietro più agevolmente. Nel luglio del 1254, Guglielmo quindi
riprende la via del ritorno: porta con sé la lettera dove Mönke Khan chiede al re
di Francia di sottomettersi.
Il percorso di ritorno è quasi uguale, ma un po’ più settentrionale, dato
che in estate i Mongoli si spostano più a nord. Ripassa da Sartaq e in
settembre incontra nuovamente Batu, dopo un anno esatto; ritrova Gosset e
Nicola; da Karakorum alla riva orientale del Volga dove si trova Batu ci sono
4000 Km, percorsi in 70 giorni. Guglielmo si ferma qui vari giorni: vorrebbe
partire per la Terrasanta prima dell’inverno e per un percorso diverso dal
quello dell’andata, quindi non passando per la Crimea, dove difficilmente
avrebbe trovato una nave, ma passando via terra. In ottobre partono in
direzione sud con una guida uigura datagli da Batu. Costeggiano la costa
occidentale del mar Caspio fino a Derbend, [la Porta di Ferro] fondata da
Alessandro Magno, quindi deviano verso sud-ovest. Verso Natale giungono a
Nakicevan (Naxum), in Azerbaigian, dove si fermano per tre settimane. In
gennaio ripartono da Nakicevan; si fermano a Shanshé, in Georgia. In febbraio
ripartono per Ani, antica capitale Armena. Procedono a tutta dritta verso ovest
seguendo la via carovaniera dell’Anatolia; la guida li obbliga a fermarsi a
Koyna, capitale del Sultano Rum. In aprile
Guglielmo incontra il sultano a Koyna. Grazie a dei mercanti
italiani, riesce a raggiungere Korykos,
città sul Mediterraneo, nella Piccola Armenia o Cilicia, la regione meridionale
della Turchia; Da Korycos si reca alla capitale della Piccola Armenia, Sis,
dove risiede Costantino, padre del re Het’um I e conferisce con lui; torna
sulla costa e si imbarca verso Cipro; In giugno arriva a Cipro e poco dopo
sbarca ad Antiochia, nella Terrasanta cristiana. Fine del viaggio. Sono passati
due anni e Guglielmo ha compiuto a piedi un totale di 12000 chilometri, il più
lungo e avventuroso viaggio di tutto il medioevo, e forse anche il meglio
raccontato.
Alla partenza di Guglielmo, Re Luigi si trovava in Terrasanta, e là Guglielmo pensa di trovarlo;
ma una volta rientrato scopre che il Re era già partito per la Francia e chiede
al suo superiore di poterlo raggiungere. Il permesso di partire di nuovo gli
viene negato e gli viene imposto di legere, cioè tenere lezioni di
teologia.
Così nel 1255 Guglielmo inizia a scrivere un rapporto per il Re,
incominciando col rimettere in ordine gli appunti che aveva preso durante il
viaggio e che costituiscono la struttura principale della relazione, la quale
si presenta come un resoconto progressivo di fatti che vengono registrati via
via nel loro svolgersi. Così prende forma l’Itinerarium fratris Willielmi de
Rubruquis de ordine fratrum Minorum, Galli, Anno gratia 1253 ad partes
Orientales. L'Itinerarium è suddiviso in 40 capitoli. I primi dieci
contengono osservazioni generali sui mongoli e sulle loro usanze e costumi. I
restanti capitoli contengono un sommario delle principali vicende occorse
durante il viaggio. Il resoconto è stato messo il 15 Agosto 1255 nelle mani di
Gosset il quale lo ha consegnato al Re di Francia.
È questo uno dei capolavori della letteratura geografica medievale,
comparabile al Milione di Marco Polo, nonostante le notevoli
differenze fra i due documenti. Guglielmo fu inoltre il primo occidentale che
dimostrò che si poteva raggiungere la Cina anche passando a nord del Mar
Caspio, anche se tale via era sicuramente conosciuta dagli antichi esploratori
scandinavi. Guarda caso, proprio nel 1255 Nicolò e Matteo Polo, padre e zio rispettivamente
di Marco, decidono
di vendere le loro proprietà, investono il ricavato in gioielli e lasciata
Costantinopoli, si dirigono in Soldania [l'odierna
Sudak, in Crimea]: da lì i Polo si spostano nella città di Bolgara, (l'attuale
Bolgary a sud di Kazan', sulla riva del Volga) e successivamente raggiungono la città di Buchara, un importante centro di scambi
commerciali dell’attuale Uzbekistan, dove rimangono bloccati per tre anni a
causa delle guerre in corso: un bel giorno passano di lì dei messi che si
recavano da Qubilai, Gran Khan di tutti i mongoli, [succeduto al fratello Mönke nel 1260]. I
messi invitano Niccolò e Matteo ad unirsi a loro, dato che, stando al racconto
di Marco Polo, il Gran Khan non aveva mai visto dei “latini” (intendendo
probabilmente abitanti dell’Europa meridionale) e sarebbe stato felice di
parlare con loro. Dopo un anno di viaggio i Polo arrivano a Karakorum alla
corte di Qubilai Khan, nipote di Gengis Khan, fondatore dell’impero mongolo.
(vedi: Marco lo ha raccontato nel Milione ma il "grande viaggio" lo ha pensato suo padre Nicolò Polo)
Guglielmo era un buon osservatore ed un eccellente scrittore. Egli faceva
molte domande durante i suoi viaggi e non prende leggende popolari e favole per
verità. Nell’ Itinerarium Guglielmo sfata infatti le leggende diffuse in Occidente sui mostri che
popolerebbero le regioni misteriose dell'Asia: nessuna
traccia del favoloso regno del Prete Gianni, la cui esistenza in occidente si
dava per scontata; nessuna traccia dei mostri di cui tanto si favoleggiava in
occidente e nessuno a Karakorum ne aveva nemmeno sentito parlare.
Nel suo resoconto descrisse le curiosità delle popolazioni mongole,
corredandole da molte osservazioni geografiche: l'Itinerarium fu il
primo trattato che descriveva l'Asia centrale in maniera scientifica. Vi si
possono trovare molte note di carattere antropologico e la sua meraviglia nel
trovare una presenza così diffusa dell'Islam in aree così distanti. Parlando
delle regioni dell’Asia centrale, Guglielmo esclama: «vorrei proprio sapere chi
diavolo ha portato la legge di Maometto fin là!».
Della vita di Guglielmo sappiamo poco o nulla. Ogni notizia ci è nota da quanto Guglielmo stesso dice di sé nella sua
opera: supponendo che avesse vent’anni quando si mise al seguito del Re, e una
quarantina quando iniziò il viaggio, si può supporre una data di nascita
intorno al 1210-1215; Conosce bene Parigi, citata spesso: vari paragoni con la
Senna e altri luoghi parigini; è molto legato al suo Re, al quale si rivolge
con familiarità e che ha seguito in Terrasanta.
È un uomo forte, colto, infaticabile,
aperto. Gli interessano gli usi e i costumi dei Mongoli, le persone che
incontra, le discussioni che tiene con loro. Rimane colpito dal loro perenne
vagare di nomadi, turbato dall'assenza di città, villaggi e case, spaesato
negli orizzonti senza fine delle steppe: «Tutto ciò che vedevamo era cielo e
terra – scrive - per tutto quello spazio non ci sono né boschi, né alture, né
pietre, ma solo ottima erba».
A Guglielmo
piace raccontare, e non si vergogna di esprimere le proprie sensazioni e i
propri sentimenti. Quando incontra i Tartari ha l’impressione di entrare in un
«altro mondo»: tutto è strano e nuovo rispetto a ciò a cui è abituato in
occidente, e Guglielmo osserva, si sforza di comprendere, e spesso manifesta lo
sgomento di colui che è stato catapultato in un mondo diverso.
Il testo non ebbe alcuna diffusione nel medioevo e la tradizione antica,
rappresentata da sei manoscritti, è esclusivamente di area inglese, come
inglese è l’unico lettore medioevale del testo, Ruggero Bacone, che inserì
nell’Opus maius degli estratti del testo di Guglielmo. Il resoconto di
Rubruck fu in parte tradotto in inglese e stampato da Richard Hakluyt tra il
1598 ed il 1600. La versione completa è stata stampata in francese dalla
Société de Géographie a Parigi nel 1893 con il titolo Recueil de voyages et
de mémoires. Una edizione critica del testo fu realizzata nel 1929 da
Anastasius Van den Wyngaert e inserita nel primo volume dei Sinica
Franciscana, raccolta di testi e documenti delle missioni francescane in
Estremo Oriente. Una nuova edizione critica del testo latino, corredata da un
commento e dalla traduzione completa in italiano, è apparsa nel 2011 con il
titolo Viaggio in Mongolia, a cura di Paolo Chiesa, docente all'Università
Statale di Milano.
Bibliografia
Guglielmo di Rubruck, Viaggio nell'impero dei Mongoli, traduzione e
note di Luisa Dalledonne, introduzione di Gian Luca Potestà, Genova-Milano,
Marietti, 2002.
Guglielmo di Rubruck,Viaggio in Mongolia (Itinerarium), a cura di
Paolo Chiesa, Milano, Fondazione Lorenzo Valla / Mondadori, 2011.
Sitografia
[1] Ecco come Guglielmo descrive la preparazione del
cosmos: «Dopo aver
raccolto una grande quantità di latte di cavalla che, appena munto, è dolce
come quello di mucca, lo versano in un grande otre e cominciano a sbatterlo con
uno strumento di legno adatto a questo scopo, che nella parte inferiore è
grande come la testa di un uomo e scavato internamente, mentre mescolano
rapidamente il latte ricomincia a ribollire come il mosto e a inacidire o
fermentare e continuano a scuoterlo fino a quando ne estraggono il burro. A
questo punto lo assaggiano e quando ha un sapore piccante al punto giusto lo
bevono. Mentre lo si beve, il cosmos pizzica la lingua come il vino di raspo e
dopo che si è finito di bere rimane in bocca il sapore del latte di mandorla.
Il cosmos fa molto bene all'intestino, inebria le persone abbastanza deboli ed è
notevolmente diuretico».
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