Dao De Jing

Senza uscire dalla porta di casa puoi conoscere il mondo,
senza guardare dalla finestra puoi scorgere il Dao del cielo.
Più si va lontano, meno si conosce.
Per questo il saggio senza viaggiare conosce,
senza vedere nomina, senza agire compie.
Dao De Jing, Lao Zi

martedì 28 giugno 2011

Cheng yu: pillole di saggezza cinese

Chi di noi, un po’ seriamente, un po’ per gioco, non ha mai esordito, parlando con gli amici, con l’espressione: “Un proverbio cinese dice …” pronunciando poi qualche “sentenza”, magari inventata lì per lì, giusto per attirare l’attenzione o per far ridere. Il fatto che a noi italiani piaccia introdurre nei nostri discorsi delle massime “cinesi”, dimostra la nostra simpatia per quella cultura millenaria di cui, appunto, proverbi ed aforismi costituiscono una parte preziosa.

Ogni lingua fa ricorso ad espressioni idiomatiche, a metafore, a proverbi a sentenze: il cinese è senza dubbio la lingua che usa tali forme espressive più di qualunque altra. Un contributo alla comprensione del modo di pensare cinese può senz’altro derivare dalla analisi dei chengyu, (成语chéng yǔ, lett: «frasi fatte») aforismi, proverbi letterari, vere e proprie “pillole di saggezza” che nascondono riflessioni, insegnamenti, norme, credenze popolari. La maggior parte di queste massime derivano da testi classici e da poesie, altre da aneddoti, leggende e storie popolari. I chengyu si sono formati nei secoli secondo lo sviluppo della società, raffinandosi con l’esperienza attraverso un processo di ripetuta elaborazione. Nonostante la inevitabile evoluzione della lingua cinese nei secoli, i chengyu hanno mantenuto una straordinaria stabilità, conservando una testimonianza della antica cultura cinese.

I chengyu fanno ormai parte della lingua parlata: alcuni sono di comprensione immediata, tipo «Riparare l’ovile quando sono scappate le capre»; altri non sono chiari neanche quando si è appreso il significato di ciascun componente (di solito quattro ideogrammi, vale a dire quattro parole) e sono di difficile comprensione per chi non conosce i riferimenti sottintesi. In particolare, quei detti derivati da poesie o scritti classici, legati con favole, avvenimenti storici, tipo «tre la mattina, quattro la sera» o «dipingere il serpente aggiungendo le zampe» sono ovviamente incomprensibili se non se ne conosce l’origine.

I proverbi sono utilizzati per il loro potere evocativo, per chiarire con l’esempio o per rafforzare con l’analogia i pensieri e le idee di una persona. Di questi aforismi ricchi di allusioni se ne contano in Cina molte migliaia e sono usati spessissimo in letteratura e nella conversazione colta: ogni cinese con una buona istruzione ne conosce un gran numero a memoria.

Un aspetto originale dei chengyu, legato alla “tonalità” della lingua cinese, è la loro musicalità. Come è noto, la lingua cinese ha quattro toni: ciò vuol dire che foneticamente, per farsi intendere, non basta scandire le parole nella loro corretta pronuncia, ma bisogna farlo anche nella precisa modulazione della voce, in quanto ogni carattere cinese richiede anche un determinato tono. Una storpiatura tonale rischia l’incomprensibilità o il malinteso.

Per fare un esempio:

1. 妈 mā, primo tono (relativamente alto e continuo come quando si canta la nota "la") significa “mamma” ;
2. 麻 má, secondo tono (ascendente, come se si facesse una domanda “perché?”) significa “canapa”;
3. 马 mǎ, terzo tono (prima discendente, poi ascendente,come nel «noo» di incredulità) significa “cavallo”;
4. 骂 mà, quarto tono (discendente e breve, come un “no!” secco) significa “imprecare”

Essendo i chengyu quadrisillabi, si crea una notevole varietà di toni nella dizione e questo rende particolarmente piacevole la lettura.

In Cina si è sentito la necessità di catalogare i chengyu in appositi dizionari che ne spiegano il significato e l’origine risalendo ai testi antichi da dove essi sono comparsi: nel Dictionary of chinese Idiomatic phrases , edizione sino-inglese di Hong Kong ne sono state raccolte ben 30.000!

E per fare un bell’esempio, commentiamone uno:

辗      转     反 侧

zhǎn zhuǎn fǎn cè, che significa: «girarsi e rigirarsi»

Ed ora una piccola provocazione: se volete cimentarvi nella musicalità del chengyu, la pronuncia approssimativa è la seguente (il volume della voce sia proporzionale all’altezza dei caratteri)



Questo chengyu, è un verso di una poesia intitolata «I Cormorani» parte di uno dei “classici” cinesi, il Libro delle Odi, che raccoglie le opere scritte dall’inizio della dinastia Zhou (circa 1122-770 a.C.) alla metà dell’ epoca delle “Primavere e Autunni” (770-476 a.C.). Questa opera, oltre ad essere una preziosa documentazione della storia antica, ha esercitato una profonda influenza nell’evolversi della letteratura cinese. ma vediamo cosa dice la poesia:

Cantano i cormorani in coro
sull’isolotto, nel fiume.
la fanciulla serena e graziosa
accende amore nel cuore dl gentiluomo.

Lunghe e corte, le alghe
si piegano a destra e a sinistra.
Alla fanciulla serena e graziosa
corro dietro giorno e notte.

Le corro dietro ma invano
e di giorno e di notte la penso.
Lunghi i pensieri, lunga la notte
mi giro e rigiro nell’insonne giaciglio.
....

Qui l’innamorato non corrisposto si tormenta tutta la notte pensando alla sua amata senza poter prendere sonno girandosi e rigirandosi nel letto: ecco una buona metafora della situazione in cui una persona, gravata da desideri irraggiungibili, perde la serenità.

Arrivederci al prossimo chengyu!

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