Dao De Jing

Senza uscire dalla porta di casa puoi conoscere il mondo,
senza guardare dalla finestra puoi scorgere il Dao del cielo.
Più si va lontano, meno si conosce.
Per questo il saggio senza viaggiare conosce,
senza vedere nomina, senza agire compie.
Dao De Jing, Lao Zi

venerdì 16 dicembre 2011

Marco Polo diceva il vero sulla corte del Grande Cane, parola di frate Odorico!

«Avvegnaché molte et varie cose de' costumi et de le conditioni di questo mondo da molte altre persone siano state ditte et narrate; perciò è da sapere et anche io voglio narrare. Io Frate Odorico di Friuli voglendo andare et passare nelle parte di coloro che non credono nella fé di Dio, et acciò ch'io possa di questo alcuno frutto che sia utile all'anime nostre guadagnare, molte cose grande et maravigliose udii et viddi, le quali io posso con veritade narrare.»


Siamo nel Maggio del 1330: così inizia il resoconto della avventurosa esperienza di Odorico da Pordenone quando – su richiesta del suo superiore Guidotto, che lo ospitava nel monastero presso la Basilica di Sant’Antonio di Padova – inizia a dettare la storia del suo viaggio al frate Guglielmo di Solagna. Odorico è distrutto e malato: tornato via terra da Pechino dopo un viaggio faticoso e pieno di pericoli, sarebbe dovuto andare ad Avignone per riferire al Papa Giovanni XXII della situazione della missione in Cina retta da Giovanni da Montecorvino. Ma un po’ per l’età – aveva già 65 anni, che per l’epoca era un traguardo ragguardevole – un po’ per la enorme fatica del viaggio, poco dopo il suo sbarco a Venezia si era ammalato ed aveva dovuto interrompere il viaggio in Francia, paese in cui non arriverà mai.

I manoscritti con la relazione di Odorico apparvero nel 1330 col titolo di Itinerarium Fratris Odorici de Foro Julii, Ordinis Fratrum Minorum, de mirabilibus Orientalium Tartarum. Dopo le descrizioni di viaggio fornite da Marco Polo e che Odorico sostanzialmente completa, costituiscono per noi la più preziosa fonte di informazioni storiche e geografiche sull'Asia del sec. XIV. La cosa interessante è che i racconti di frate Odorico coincidono nella sostanza con le osservazioni di Marco Polo, confermandone la veridicità.

Frate Odorico, al secolo Odorico Mattiuzzi era nato a Villanova di Pordenone nel 1265: entrato ancora adolescente nel convento di san Francesco di Udine, fu ordinato sacerdote nel 1290. Venuto a contatto con molti confratelli missionari, e colpito dalla figura di fra’ Giovanni da Montecorvino, fondatore di chiese nelle più remote regioni dell’Asia, sviluppò quel fervore missionario che lo avrebbe portato a lasciare il proprio paese per raggiungere il suo maestro a Pechino.

( vedi anche: Frate Giovanni da Montecorvino: il primo vescovo di Pechino)

Nel 1318 – aveva già 50 anni - parte da Venezia per Costantinopoli per poi raggiungere Trebisonda: passa poi per Erzurum, in Turchia, e dopo una sosta a Sultanyeh in Armenia prosegue verso Kashan in Persia e poi verso Yazd, seguendo probabilmente l’itinerario tenuto dai Polo nel loro ritorno, poi a Baghdad ed infine ad Ormuz. Ma diversamente dai Polo – che avevano rinunciato a prendere la via del mare a causa della poca sicurezza che offrivano le navi di questo porto – il frate friulano si imbarca per l’Oceano Indiano e raggiunta la costa la costa del Malabar, sosta per un periodo a Thane [che ora è un sobborgo di Bombay]. Ripreso il suo lungo viaggio, tocca l’isola di Ceylon e, passato nel mar del Bengala, si reca a Madras e poi a Sumatra e a Giava, giunge finalmente in Cina sbarcando a Canton. Da lì riprende il mare fino a Zayton, [oggi Quanzhou, nel Fujian]

 «...venni a una nobile terra che si chiama Zaiton, ne la quale noi Frati Minori abbiamo duo luoghi, ... In questa città è grande copia di tutte quelle cose che sono necessarie a la vita dell'uomo ... Et questa città è ben grande per due Bologne. Et sonvi molti monasteri di Religiosi, e quali adorano l'idole. In uno de' quali monasteri io fui, nel quale erano tre mila Religiosi, e quali hanno 11.ooo idoli, et el minore che v'è, è com'uno Sancto Cristofano grande. Quando fui là entro, era otta che gli davano mangiare in questo modo, che gli porgono el cibo caldo, si che el fumo vae all'idolo, el quale fumo dicono eh' è el loro mangiare, et l'altro si mangiano per loro. Et veramente questa è de le migliori terre che sia oggi nel mondo, di tutto quello che vuole el corpo dell'uomo. Et molte altre cose si potrebbe dire di questa terra, le quali io non scrivo... »


Infine, da Nanchino, per il Canale Imperiale giunge a Cambalec [Pechino] dove finalmente incontra il metropolita Giovanni da Montecorvino, ormai ottantenne, con cui si fermerà per ben tre anni.

Frate Odorico da Pordenone non è soltanto il missionario che pensa solo alla propagazione della fede, ma è anche un osservatore diligente e curioso; egli sa di quanto interesse saranno le notizie che porterà in Europa e perciò nota ogni cosa: i costumi dei paesi, i culti di quei popoli lontani, la lingua, le razze, i prodotti della terra e la ricchezza dei commerci.

Ci fa sapere Odorico che:

«Si riguarda come una gran leggiadria per gli uomini di questo paese l'avere unghie lunghe alle dita, che ripiegano nelle mani: ma la grazia e la bellezza delle loro donne consiste nell'avere piccoli piedi; epperò le madri, allorché le figlie sono giovani, glieli fasciano acciò non crescano...»

a proposito della scrittura cinese, osserva:

« assai pregevole quella che la scrittura cinese comprenda in una sola figura più lettere formanti una parola»

Un’altra peculiarità è l’unità di misura che Odorico usa per darci una idea della dimensione delle città: ecco che «... Censscanlan, et è ben grande per tre Vinegie...» «... Et questa città [Zaiton]è ben grande per due Bologne...» e quando, nel suo viaggio di ritorno incontrerà Ghosan, commenterà «.. et è bene Vicenza migliore di quella...»

Non secondario è l’interesse del frate per gli animali domestici e selvatici di cui i cinesi si cibano: il porto di Canton – che lui chiama Censscanlan – lo riempie di meraviglia come l’abbondanza e la varietà del cibo:

«...La prima città di questa provincia ch'io trovai, è chiamata Censscanlan, et è ben grande per tre Vinegie, lungi dal mare per una dieta, et è posta a pie d'un fiume, l'aqua del quale per occasione di questo mare monta oltra la terra ben per dodici diete:tutto el popolo di questa provincia son idolatri. Et questa città ha tanto et sì grande naviglio, che quasi noi no lo potremo credere. Onde tutta Talia non ha cotanto naviglio, né si grande come questa sola città... Et sonvi le più belle et le maggiori oche, et più beli' et maggior derrata che sia nel mondo: et l'una piglia per due delle nostre; et sono tutte bianche come latte, et hanno uno osso grande come uno uovo, et vermiglio come sangue, et hanno sotto la gola una pelle lunga ben uno somesso, che pende; ... et cosi come dell'oche, cosi è deir anitre et galline che vi sono, che sono sì grande che parrebbe una maraviglia. Et sonvi quivi e maggiori serpenti che siano nel mondo, et pigliasene molti da questa gente, et manuchansi dolcemente per loro. Et non è si solenne convito, che se no si avessono uno di questi serpenti, che si tenessero fare nulla. In questa città ae grandissima abundancia di tutte vettuarie che siano nel mondo ...»


Risalendo verso nord , la ricca provincia della Cina meridionale fa sfilare davanti ai suoi occhi estatici città e paesi densi di popolazione e floridi per commerci ed industrie quali Fuciù [Fuzhou] e Hangciù [Hangzhou]. Lungo la costa, non dimentica di annotare le stranezze di quei paesi, come la pesca con i cormorani:

«...Et partendomi di qui per altre diciotto diete per molte città et terre, et venendo a uno grande fiume, arrivai a una città, per la quale va questo fiume, et evvi per lo traverso uno grandissimo ponte,in capo del quale è uno albergo, in lo quale io albergai: il quale albergatore volendomi fare a piacere, disse: Se tu vuoi vedere pescare, vieni meco; et si me menò per questo ponte. Et essendo ivi, guardai et vidi in quelle sue barche smergoni legati in su le stanghe, a'quali quello uomo che gli avea, legò a ciascuno uno filo a la gola perchè non potessono trangugiare el pesce, et in una di queste barche mise tre grandi ceste; una da proda, l'altra in mezzo, l'altra da poppa: et quando ebbe cosi fatto, disciolse questi smergoni, e quali si giettavano nell'acqua, et così pigliavano molti pesci, e quali egli medesimi gli mettea nelle ceste; onde in piccola otta tutte quelle ceste furono piene: et essendo cosi piene, si gli disciogliea el filo dal collo, et poscia gli lasciava tuffare nell'acqua acciò che si pascessero di pesci: et quando erano pasciuti, e' tornavano al suo luogo, et sì gli legava ivi com'erano in prima. Io mangiai di questi pesci. ...»


Un’altra stranezza, che colpisce frate Odorico, è quella delle galline pelose:

«...Di questa contrada partendomi, venni verso l'Oriente a una città che si chiama Fuzo [Fuzhou nel Fujan]], la quale è di cercuito di trenta miglia, et sonvi e maggior galli che siano nel mondo; et le galline sono tutte bianche come neve, et non hanno penne, anzi lana come pecore. Et è una bella città posta sopra '1 mare ...»


Anche Marco Polo così narra a proposito della città di Quenlinfu: [oggi Jian’ou, nel Fujan]

«...E havvi belle donne, e havvi galline che non hanno penne, ma peli come gatte, e tutte nere, e fanno uova come le nostre, e sono molto buone da mangiare...»


L’unica differenza è che le galline di Odorico erano bianche!

Di Pechino non si sazia di ammirare le bellezze, la città imperiale, i giardini e lo sfarzo di corte, confermando con la sua testimonianza la verità della relazione di Marco Polo, anche se del grande viaggiatore veneziano non ha l’acutezza e l’esperienza: egli guarda alla superficie delle cose, non penetra l’anima del mondo orientale, dà molto posto alle favole e anche se annota tutto minuziosamente, la sua vista non spazia molto lontano.

Ecco come frate Odorico descrive la residenza dell’imperatore:

«...Allotta partendomi da questa città et passando per molte città et terre verso l'Oriente, venni a quella nobile città Cambalec. Questa è molto antica città, la quale è in quella provincia del Catayo; et questa tolsono e Tartari: ...In questa città quello grande Cane ae la sua sedis, ov'egli ae uno grande palagio. E muri di quello palagio circondano bene quattro miglia. Nel cortile di questo palagio è uno grande monte, nel quale è edificato uno palagio, el quale è il più bello del mondo. In questo monte sono edificati, cioè piantati, molti alberi; per la qual cosa egli ha nome el monte verde. Da lato di questo monte è fatto uno grande lago per traverso, et evvi uno bellissimo ponte. In questo lago sono tante oche salvatiche, anitre et cesani, eh' è molto maravigliosa cosa. Onde quando el Signore vuole uccellare, e' non ha bisogno d'uscire di casa. In questo palagio sono e giardini pieni di diverse generationi di bestie, le quali quando egli le vuole cacciare,
e' puote senza uscire di casa...»

«...El palagio, nel quale è la sedia sua, è molto bello et grande, del quale la terra è più alta duo passa: egli ae dentro ventiquattro colonne d'oro, e tutti e muri di quello sono coperti di pelle rosse: de le quali pelle si dice, ch'elle sono le più nobili che siano nel mondo. Nel mezzo del palagio è una grande pigna, alta più di duo passa, la quale è tutta d'una pietra preziosa, et è tutta legata d'oro; Questa pigna ae le reti di perle grande, che pende da quella, le quali reti sono larghe forse una spanna. Per questa pigna si reca el bere per condutto che s'ha nella corte del re. Appresso a questa pigna stanno molti vasi d'oro, con gli quali ciascuno che vuole, puote bere. Et in questo palagio sono molti paoni d'oro. Quando alcuno Tartaro vuole fare alcuna festa al suo Signore, allotta e' sono così ivi percotendosi insieme le mani; et allotta questi paoni alargano l'ale et pare che ballino: questo si fa per arte diabolica, overo per ingegno ch'è sotterra...»


Yesun Temur Khan
«...Quando questo Signore siede in su la sua sedia imperiale, da lato manco sta la Reina uno grado più di sotto, et de l'altre donne istanno, le quali egli vi tiene. Nella parte di sotto stanno tutte le altre donne del parentado: tutte quelle che sono maritate hanno uno pie d'uomo sopra el capo, lungo ben uno braccio et mezzo. Sotto quello pie sono penne di grua; ne la sommità tutto quello pie è adornato di grosse perle: onde se glie nel mondo delle perle grosse et belle, si sono ivi. Queste sono cos'i in adornamento di queste donne. Dall'altro lato dritto del Re dimora el figliuolo primogenito, el quale de'regnare dopo lui: di sotto da questi stanno tutti quegli che sono del sangue del Re. Et ivi sono quatro scrittori che scrivono tutte le parole che dice Io Re. Nanzi el cospetto di quello stanno e suoi baroni et molti altri infiniti huomini. Neuno di loro s'ardirebbe di favellare per neuno modo, s'eglino dal Signor grande noi domandassero: però eccetto gli giucolari, quando volessono fare alegrare el Signore ; et questi giucolari neuna altra cosa s'ardirebbero di fare se non come gl'imponesse el Signore. Inanzi la porta stanno li baroni per guardie, acciò che neuno tocchi el sogliar dell'uscio; et se trovassero veruno che 'l toccasse, egli lo batterebbono fortemente...»


L'imperatore, che al tempo era Yesür Temür Khan, molto tollerante in fatto di religioni, aveva assegnato ai Frati Minori un luogo in Pechino, ed anche alla corte imperiale, dice Odorico, avevano una sede dedicata a loro, con l'obbligo d'intervenire a tutte le feste imperiali, nelle quali i sacerdoti delle varie religioni dovevano dare la loro benedizione all'imperatore.

«...Una cosa io voglio contare del Gran Cane. Usanza è in quella parte che quando el ditto Signore passa per alcuna contrada, gli huomini dinanli alle lor case appigliano e fuochi et mettono in questi fuochi molte specie, et fanno fumo per mandare l'odore al suo Signore, et molta gente gli vanno retro. Una fiata venendo. egli in Cambalec, et sapiendosi certamente la sua venuta, uno nostro Vescovo con alquanti Frati Minori, et io con loro insieme, gli andammo incontro ben più giornate; et appressandoci a lui, ponemmo la croce in su l'asta pubblicamente, sia che ogni huomo la potea vedere, et io avea in mano uno teribolo, ch'io m'avea portato, et cominciamo a cantare ad alta boce : Veni creator Spiritus, eie: et cantando noi così, egli udi le nostre boci, et fece chiamare et fare el comandamento, che noi andassimo a lui; et cosi come io ho ditto di sopra, neuno s'osava appressarsi a lui al carro suo a una gittata di mano, se non era chiamato, altri che quegli che guardavano lui; et quando noi andamo da lui con la croce levata, incontenente egli si levò el capello di valore inestimabile, et fece riverentia a la croce, et incontenente io misi de l'incenso nel teribolo, et diedilo in man al Vescovo, et egli gli diede de l'incenso. Et tutti quanti che vanno a lui, sempre portano seco alcuna cosa da donargli, osservando quella legge antica che dice: Non appropinquabis in conspectu meo vacuus. Imperò portamo con noi alquante pome, et quelle in su uno taglieri gli presentamo con grande riverentia. Et egli ne tolse due et mangione un poco dell'una. Et poscia il Vescovo nostro gli die la sua beneditione; et fatto questo, egli ci fece segno che ci partissomo, acciochè e cavalli et la moltitudine della giente che venia di dietro a lui, non ci offendesse. Et incontenenle da lui ci partimo et venimo ad alquanti de' suoi baroni, e quali sono convertiti a la fé nostra per quegli nostri Frati, e quali erano nello slato del Gran Cane, et presentamogli di quelle pome, et eglino con grande alegrezza ricevendole, cosi si pareano alegrare come se noi gli avessimo fatto un grande dono. ...»

L’opera missionaria a Pechino stava dando buoni frutti, ma per bene operare sarebbe stato molto utile che ci fossero più missionari: più volte, Giovanni da Montecorvino aveva inviato al Papa - senza grandi risultati - delle missive con la richiesta di nuovi missionari: fu così che ad un certo momento decise di chiedere a frate Odorico di ritornare in Europa per chiedere di persona al Pontefice di concedere l’invio di rinforzi alla missione. Odorico accettò di buon grado il carico del lungo e faticoso viaggio, senza rendersi conto che avrebbe lasciato per sempre quei luoghi.

Intrapresa nel 1327-1328 la via del ritorno in Occidente per procurare altri missionari, attraversò pare le province di Shanxi [capitale Taiyuan], Shaanxi [capitale Xi’an], Sichuan [capitale Chengdu): Ma seguiamo il nostro Odorico: dopo cinquanta giorni di cammino per valli e monti, città e villaggi, va nel paese di Prete Gianni, il misterioso principe che fu argomento di tante leggende e di tante ricerche.

«...Partendomi di questo Gataio, venendo verso il Ponente cinquanta giornate, passando per molte contrade et terre, venni verso le terre di Prete Gianni, di cui no è quasi delle cento parti l'una che si dice di lui: la sua cittade principale se chiama Ghosan; et è bene Vicenza migliore di quella; et ae molte altre cittade sotto lui, et sempre per patto tole moglie la figliuola del Gran Gane..».

Anche qui c’è una conferma dei racconti di Marco Polo, il quale sostiene che nelle regioni occidentali della Mongolia Interna era stato fondato nel 762 d.C. il Regno dell’Orkhon: questo regno aveva protetto la presenza dei cristiani ed il re aveva assunto anche la guida del movimento nestoriano. Egli sarebbe divenuto la figura istituzionale di «Prete Gianni» e l’avrebbe trasmessa a propri successori ed eredi. Gengis Khan avrebbe poi sconfitto il Prete Gianni sottomettendo il suo regno ed - aggiunge Marco - che un discendente del Prete Gianni, di nome Giorgio ma che portava lo stesso titolo di Prete Gianni, regnava ancora ai suoi tempi come vassallo del Khan mongolo. Era questo Re Giorgio che Frate Giovanni di Montecorvino afferma di aver convertito nel 1292.

 (vedi anche: Baudolino, Marco Polo e il mitico regnodel Prete Gianni)

Dalla terra di Prete Gianni, andò parecchie altre giornate, e pervenne alla fertile e popolata provincia di Gasan.

«...Partendomi di quivi, per molte diete venni a una provincia che si chiama Gasan [è una regione che comprende parte delle odienre province del Shaanxi, Gansu e Sichuan]. Questa sì è la seconda migliore provincia che sia nel mondo et la meglio abitata: dov'ella è più stretta, è ben larga cinquanta giornate et lunga più di sessanta. Et questa è provincia sì bene abitata che quando si vae fuori delle porte d'una città, si vede le porte de l'altra cittade. In questa si è gran copia di vettuaria et specialmente di castagne. In questa contrada nasce il reobarbaro, et vi n'è sì gran derrata che per meno di sei grossi [moneta veneta] se ne charicherebbe uno asino: et questa provincia si è l'una delle sette parti del Gran Gane...»

E qui la cosa più incredibile: dal Gasan pare che il nostro frate Odorico sia passato addirittura per il Tibet:

«...Partendomi di questa provincia, venni a uno grande regno che si chiama Tibot, che l'è confine de l'India; et questo regno si è sottoposto tutto al Gran Cane. In questo si è maggior copia di pane et di vino che sia ih lo mondo. La giente di questa contrada stanno nelle tende, che sono di feltro nero. La sua principale et regale cittade è tutta fatta di muri bianchi et neri, et tutte le vie di quella sono tutte perfettamente mattonate ; et in questa cittade no è ardito di spargere sangue umano, ne di bestie, a riverentia d'una sua idola, la quale egli adorano ...»


Il nostro eroe si ferma a Lhasa, di cui dà una breve descrizione:

«...In questa città dimora lo Abiffo, cioè lo Papa in sua lingua; et questo si è el capo di tutte quelle idole , a' quali secondo la loro usanza dà et distribuisce tutti gli lor benefici, e quali egli hanno. In questo regno si ha questa usanza, che le femine portano più di cento treccie, et hanno in bocca duo denti lunghi, com'ae el porco salvatico. In questa contrada si è un'altra usanza. Pognamo ch'el padre di alcuno fosse in caso di morte, et il figliuolo dirae: Io voglio fare onore al mio padre. Et sì farà convocare tutti e preti, religiosi et lutti e giucolari della contrada, et parenti et vicini, et si lo portano con grande alegreza a la campagna; et ivi sì è apparecchiato uno grande desco, in su lo quale e preti gli tagliano el capo; et si Io dà al figliuolo suo; et allora il figliuolo con tutta la sua compagnia, cantano et fanno assai orationi per lui; et poscia e ditti preti tagliano in pezzi tutto questo corpo: et quando hanno così fatto, si partono, et reduconsi in su con tutta la lor compagnia et fanno oratione per lui. Dopo queste cose vengono le aguile, et gli avoltoi di suso e monti, et ciascuno se ne porta seco lo suo pezzo. Et allora tutti gridano ad alta boce et dicono: Vedete che uomo era costui: egli era santo. Vedete anche gli agnoli di Dio lo portano a Paradiso, Et così facendo, lo figliuolo si tiene molto onorato, perch'el padre suo è portato cosi onoratamente da gli agnoli di Dio. Allotta el figliuolo tole il capo del padre et sì lo cuoce et manuchalo, et della testa, overo de lo osso, se ne fa fare uno bicchieri, con lo quale egli e tutti quegli di casa sua beono sempre con devotione in memoria del

padre suo eh' è morto. Et facendo così, dicono che fanno grande reverenda al padre suo; onde molte altre cose sozze si fanno da queste gienti. ...»


Quindi frate Odorico da Pordenone si può considerare il primo italiano e probabilmente il primo occidentale in assoluto che sia penetrato nel Tibet ed abbia visitato Lhasa, lasciandoci una descrizione sia del Gran Lama, capo spirituale dei tibetani, sia dei loro costumi: in particolare il nostro deve essere rimasto molto colpito dalle usanze funerarie. Alla morte, ai tibetani viene impartita la cremazione o il «funerale del cielo»; si ritiene che questo rito (non usato in tutto il Tibet) porti al sicuro in paradiso lo spirito del defunto. Prima di questo funerale il cadavere è avvolto in un telo bianco e tenuto in casa per diversi giorni mentre i lama cantano sutra onde alleviare le pene per i peccati commessi in vita dal defunto. Il giorno del funerale arriva in casa uno smembratore che trasporta il cadavere al luogo sacro destinato ai funerali, immediatamente seguito dagli amici e da un lama. Lo smembratore fa a pezzi il cadavere e poi chiama gli avvoltoi perché lo divorino. Le ossa vengono abbandonate lì, a cielo aperto. I tibetani credono che gli avvoltoi abbiano il potere di portare in paradiso lo spirito del defunto. Nel caso che essi non mangino il cadavere, o ne divorino soltanto una parte, si ritiene che il morto abbia commesso peccati gravi e che di conseguenza sia condannato alla permanenza in uno degli inferni buddisti. Se invece gli avvoltoi divorano ogni parte del corpo o almeno la maggior parte di esso, l'anima procede verso una rinascita più pura.

Dal Tibet, le tracce di frate Odorico nella via del ritorno si perdono un poco: sceso probabilmente  in Afghanistan per la valle dell’Indo, passa in Persia dove racconta della contrada di Millestorte, regno del famosissimo Vecchio della Montagna (1) , di cui descrive l'incantato palagio, le perfide azioni, e la rumorosa caduta. Infine, costeggiando il mar Caspio arriva in Crimea da dove si imbarca per Venezia.


Particolare del''arca funebre del beato Odorico
Come sia andata a finire la vicenda umana di frate Odorico di Pordenone lo abbiamo già raccontato: resta solo da dire che nel 1755 il papa Benedetto XIV lo ha proclamato beato e attualmente è in corso il processo di canonizzazione.

(1) Questa storia, raccontata anche da Marco polo nel Milione, racconta di un luogo protetto da un castello fra le montagne (pare in Persia)  in cui il capo (asan-i abbā) aveva creato un paradiso terrestre con cibo e divertimenti come quelli descritti da Maometto, con vino latte e miele e dove i giovani da lui selezionati provavano tutti i piaceri della vita. Da questo luogo i predestinati potevano entrare e uscire solo profondamente addormentati. Quando il Vecchio aveva bisogno di un assassino, faceva cadere in un sonno profondo tramite hashish (da cui il termine «assassini») oppure oppio un adepto e lo faceva svegliare fuori dal «paradiso». Il malcapitato disperato e confuso, sarebbe potuto rientrare solo dopo aver portato a termine la propria missione e quindi avrebbe fatto tutto quanto richiestogli.


Fonti:

http://it.wikipedia.org/wiki/Odorico_da_Pordenone#
http://www.archive.org/stream/sopralavitaeivia00dome#page/16/mode/2up

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