Dao De Jing

Senza uscire dalla porta di casa puoi conoscere il mondo,
senza guardare dalla finestra puoi scorgere il Dao del cielo.
Più si va lontano, meno si conosce.
Per questo il saggio senza viaggiare conosce,
senza vedere nomina, senza agire compie.
Dao De Jing, Lao Zi

mercoledì 16 novembre 2011

Taoismo e Decrescita Felice: morte le ideologie, restano le utopie!

Crescita, crescita, crescita: chi non cresce è perduto! ma ci rendiamo conto di quanto è folle questo ragionamento? Gli esperti di economia – passi per quelli di destra, ma inspiegabilmente anche quelli di sinistra – sostengono che per risolvere i problemi generati dalla crisi economica bisogna riprendere a crescere, perché senza crescita non ci sono opportunità, senza opportunità non c’è lavoro, senza lavoro non ci sono consumi, senza consumi non ci sono opportunità, e così via in una spirale che si allarga senza fine. Ma la domanda è: dove andremo a «finire» di questo passo?

Un primo concetto: la crescita infinita, in un sistema limitato come è quello della Terra, è impossibile. Il PIL [Prodotto Interno Lordo] mondiale cresce circa il 4% annuo: con questo tasso di crescita in un secolo il PIL avrebbe un fattore di moltiplicazione di 13.780 volte! E tutto questo senza mettere in conto l’aumento della popolazione mondiale: ciò significa un aumento mostruoso del consumo di risorse ed un altrettanto mostruoso aumento dei rifiuti. Il problema non è tanto un tasso di crescita più o meno sostenibile, quanto l’insostenibilità di qualsiasi crescita sul lungo periodo, quale che sia il tasso. C’è un aneddoto interessante a riguardo: su un lontano pianeta viveva una specie di animali mostruosi che si nutrivano dei loro simili: uno di questi mostri, il più feroce ed aggressivo, aveva ucciso e divorato molti degli avversari, diventando sempre più grosso e potente. Un bel giorno però, il nostro eroe, dopo una lotta immane, uccise e si mangiò l’unico esemplare rimasto della sua specie … lascio a voi la triste conclusione di questa storia!

Un altro esempio significativo: in Cina circolano attualmente circa 140 milioni di autovetture (13 auto per 1000 abitanti) praticamente lo stesso numero di vetture degli Stati Uniti, che però contano solo 300 milioni di abitanti, con una densità di vetture di 450 per 1000 abitanti. Pensate cosa accadrebbe se la densità delle auto in Cina raggiungesse quella degli Stati Uniti: si avrebbero circa 6/700 milioni di veicoli in circolazione!!

Un altro aspetto del problema della crescita è il suo aumento in modo esponenziale: per spiegare questo aspetto drammatico della cosa ai non esperti di matematica, propongo un’altra storiella molto istruttiva: nel lontano oriente c’era un grande lago dove crescevano delle bellissime piante di ninfee: il clima era così propizio che ogni giorno il numero dei fiori galleggianti sull’acqua raddoppiava. Passavano i mesi e cresci, cresci, un bel giorno le ninfee avevano occupato metà della superficie del lago: quanto tempo mancava perché le ninfee occupassero tutta la superficie del lago? Solo un giorno!

Infine, secondo il concetto di «entropia», in un sistema chiuso, in cui non si scambia energia con l’esterno [e la Terra può essere considerata tale con buona approssimazione a parte l’apporto della energia irraggiata dal Sole] l’energia «ordinata», cioè quella utilizzabile (petrolio, carbone, gas, etc …), si trasforma parzialmente – ma inesorabilmente - in energia «disordinata», cioè in una forma non più utilizzabile. È vero che l’energia non si può né creare né distruggere, ma è altrettanto vero che non la si può completamente trasformare da una forma in un'altra senza che una parte venga dissipata sotto forma di calore e perda quindi la possibilità di essere ulteriormente trasformata. E visto che l’energia totale della Terra è limitata, non sarà possibile continuare a trasformarla senza che l’entropia, cioè il disordine aumenti.

Un esempio molto terra-terra ma molto significativo: nelle nostre abitazioni, l’attività quotidiana produce un aumento graduale di disordine [cioè dell’entropia]: la casa si sporca, i libri nella libreria non sono più al loro posto, la cantina si riempie progressivamente ma inesorabilmente di roba vecchia, gli armadi straripano di vestiti passati di moda … solo un deciso apporto di energia esterna al «sistema-casa» – la nostra fatica di riordino, e quindi immissione di energia «esterna» al sistema – riesce a ricreare «ordine» e quindi a ridurre l’entropia: chiaro,no?

Questa in rapida sintesi, la situazione drammatica della nostra epoca: ma proprio dalla Cina arriva un messaggio di speranza: 2500 anni fa il problema là era già noto – anche se in una forma decisamente più leggera- e i grandi pensatori cinesi lo avevano affrontato proponendo delle soluzioni di una modernità sconcertante.

I taoisti erano convinti che esistesse una realtà ultima, soggiacente alla molteplicità delle cose e degli eventi che osserviamo: essi chiamarono questa realtà Tao, che significa Via. Nel suo originario significato cosmico, il Tao è la realtà ultima, indefinibile, un processo dinamico in cui tutte le cose sono immerse: il concetto di entità suprema nel Taoismo non si identifica con un'entità senziente, un Dio giudice, padre, padrone, che osserva il mondo dall'alto e gestisce le sorti degli uomini. Al contrario l'entità suprema taoista è «energia pura», che pervade l'intero universo. Il «Dio» del Taoismo è il Tao, la natura stessa di cui l'uomo fa parte, il ciclo perpetuo che provoca il mutare e il divenire di tutte le cose. Conoscere la Via e conformarsi ad essa è l’ideale taoista: ma quali sono gli schemi della Via cosmica che l’uomo deve riconoscere? La principale caratteristica del Tao è la natura ciclica del suo movimento: l’idea è che nella natura tutti gli sviluppi, sia quelli del mondo fisico sia quelli delle situazioni umane, presentano configurazioni cicliche di andata e ritorno di espansione e contrazione.

Questa idea fu certamente desunta dalla secolare esperienza della vita contadina, l’alternarsi del giorno e della notte, l’alternarsi delle stagioni, l’alternarsi dei cicli produttivi, ma in seguito fu assunta come regola di vita. I cinesi credono che ogni volta che una situazione si sviluppa fino alle estreme conseguenze essa sia costretta a trasformarsi nel suo opposto; «gli esseri, giunti al culmine, non possono che fare ritorno». Secondo la legge ciclica del Tao, tutto ciò che è forte, duro, superiore, è stato all’inizio debole, molle, inferiore ed è destinato a ridiventarle.

Tutti al mondo riconoscono il bello come bello;
in questo modo si ammette il brutto.
Tutti riconoscono il bene come bene;
in questo modo si ammette il male.
Difatti l’essere e il non-essere si generano l’un l’altro,
il difficile e il facile si completano l’un l’altro,
L’alto e il basso si invertono l’un l’altro
Il prima e il dopo si susseguono l’un l’altro
(Lao Zi,2)


Secondo questa legge, non esiste crescita infinita, non esiste sviluppo illimitato, ogni cosa prima o poi ritorna da dove era venuta. In virtù di questa logica naturale, per cui ogni cosa che sale dovrà necessariamente ridiscendere, il fatto di rafforzare un nemico può al limite servire ad affrettane la caduta.

Ciò che si deve chiudere, bisogna prima aprirlo
Prima consolidare ciò che è da indebolire
Prima favorire ciò che è da distruggere
Prima dare ciò che è da prendere
Questa si chiama «visione sottile»
Il molle vince il duro, il debole vince il forte.
(Lao Zi,36)

Coloro che accumulano sempre più denaro per aumentare la loro ricchezza finiranno con l’essere poveri. La moderna società industriale che cerca continuamente di alzare il livello di vita e così facendo abbassa la qualità della vita per tutti i suoi membri è un esempio eloquente della verità di questa antica saggezza cinese.


Il ritorno è il movimento del Tao
La debolezza è l’efficacia del Tao
I diecimila esseri sotto il Cielo nascono dal «c’è»
E il «c’è» nasce dal «non-c’è»
(Lao Zi,40)

Il procedimento di comprensione del Tao è a ritroso, «controcorrente» rispetto ad ogni procedura consueta: ed ecco che appare il concetto della «decrescita»:

Praticare lo studio è sempre più accrescersi
Praticare il Tao è sempre più decrescere
Decrescere al di là del decrescere, fino ad attingere al non-agire
Non agendo, non v’è nulla che non si faccia.
(Lao Zi,48)


Un altro paradosso tipico del taoismo: il concetto del «non agire» . Ogni volta che la mia azione è volontaria, ogni volta che cerca di «imporre il mio io» andando controcorrente rispetto al corso naturale delle cose, essa rappresenta ciò che i taoisti chiamano wei ,l’agire che forza la natura. Quando invece l’azione va nel senso delle cose, quando si lascia portare dalla corrente, come il nuotatore che segue il Tao dell’acqua senza cercare di imporvi il suo io, essa dipende da ciò che è naturale ed è quello che i taoisti chiamano wu wei [letteralmente «non-agire», ma meglio «l’agire che aderisce alla natura»]. Tutto ciò che nell’uomo è volizione, costruzione, istituzione di distinzioni, non rappresenta che la parte periferica del suo essere: soltanto quando la lascia cadere, l’uomo ritrova il suo proprio centro. Ma cerchiamo di capire meglio cosa si intenda davvero per «non-agire».: il Lao Zi parte dalla constatazione assai semplice, che la forza finisce sempre per ritorcersi contro se stessa:

Non cercare di primeggiare con le armi,
perché primeggiare con le armi chiama risposta.
(Lao Zi,30)


Colui che agisce distruggerà,
Colui che prende perderà
Il Santo, non agendo su nulla, nulla distrugge,
Non impadronendosi di nulla, nulla ha da perdere
(Lao Zi,64)

Così dunque il non-agire cerca di spezzare il cerchio della violenza, assorbendo l’aggressione, astenendosi dall’aggredire di rimando. Per esemplificare il paradosso il Lao Zi fa ricorso alla metafora dell’acqua.

L’uomo del bene supremo è come l’acqua: l’acqua, benefica a tutti, di nulla è rivale.
Essa ha dimora nei bassifondi, da tutti disdegnati, ed alla Via è assai vicina.
Niente al mondo è più cedevole e più debole dell’acqua
Ma per intaccare ciò che è duro e forte, niente la supera
Niente potrebbe prenderne il posto
Che la debolezza vince la forza
E la mollezza vince la durezza
Non vi è nessuno sotto il Cielo a non saperlo
Benché nessuno lo sappia mettere in pratica.
(Lao Zi,78)

Quindi il «non-agire» non consiste nel «non far nulla» nel senso di incrociare passivamente le braccia, ma nell’astenersi da ogni azione aggressiva, diretta, intenzionale, interventista, al fine di lasciare agire l’efficacia assoluta, la potenza invisibile del Tao. Il Santo è colui che «aiuta i diecimila esseri a vivere secondo la loro natura, guardandosi dall’intervenire»

La Via del Cielo toglie il sovrappiù e aggiunge ciò che manca.
La Via degli uomini, al contrario, non è così:
essi tolgono dove c’è mancanza per offrirlo dove c’è un sovrappiù.
(Lao Zi, LXXVII)


La strategia taoista per contrastare l’aumento di entropia è molto semplice:

«Ciò che è calmo si mantiene facilmente.
Ciò che non è ancora apparso si previene facilmente.
Agisci prima che qualcosa sia; crea l’ordine prima che ci sia il disordine.
Veglia sulla fine come sull’inizio: allora nessun affare rovinerà.»
(Lao Zi, LXIV)

I danni enormi che stiamo apportando alle nostre foreste, alle nostre acque, alla flora, alla fauna e in generale agli ecosistemi sono sotto gli occhi di tutti. Ci viene propinata a ogni ora del giorno e della notte la favola dello «sviluppo sostenibile», vera e propria contraddizione in termini con la quale economisti e politici tentano di procrastinare l’inevitabile confronto con la realtà. E la realtà è che in natura l’eccessiva massimizzazione di una qualsiasi variabile, per quanto positiva, porta inevitabilmente a risultati catastrofici. Gli ecosistemi si sono conservati fino ad oggi sulla terra attraverso equilibri delicati. Trascurare questa verità palese sta portando l’umanità a sconvolgere in pochi decenni quanto è venuto formandosi in milioni di anni. E’ indubbio che, se non faremo al più presto qualcosa per invertire la rotta, ciò apporterà gravi danni alle generazioni future. Danni che difficilmente saranno completamente riparabili.

Il non-agire si configura come una modalità per ritornare al nostro stato di natura, quale era alla nostra nascita. Il ritorno alla prima infanzia evoca qui non l’innocenza ma l’Origine perduta. Secondo i taoisti, sul piano collettivo si tratta di tornare ad uno stato originario, anteriore alla formazione della società organizzata, esente da ogni forma di aggressione o di costrizione della società sugli individui; un mondo in cui l’assenza di morale, di leggi, di punizioni non induce gli individui ad essere a loro volta aggressivi, e in cui non vi è dunque guerra o conflitto, né spirito di competizione o volontà di dominio. Ecco la visione idilliaca di Lao Zi:

E’ un piccolo paese con pochi abitanti
Anche se avessero utensili per dieci o cento uomini
essi non se ne servirebbero
Temono la morte e non se ne vanno a migrare lontano
Anche se avessero barche o carri non ne farebbero uso
Anche se avessero armi non ne farebbero sfoggio
Essi trovano gustoso il loro cibo
E ritengono adeguate le loro vesti
Comode le loro dimore
Piacevoli le loro usanze
Da questo paese a quello vicino
Si odono cantare il galli e i cani abbaiare
Ma coloro che vi abitano giungeranno alla morte in vecchiaia
Senza essersi mai frequentati
(Lao Zi, 80)

Il mondo descritto dal Lao Zi è sicuramente utopistico, ma i taoisti non negano il rapporto dell’uomo con il mondo. L’Uomo Vero è colui che semplicemente riesce ad intrattenere tale rapporto senza lasciarsi «reificare dalle cose»:

In mezzo ad un mondo che si perde, io solo cerco il vero cammino,
ma come riuscirò a trovarlo? So che è impossibile.
Ma so anche che se volessi costringerlo, questo mondo,
commetterei un errore in più.
Meglio lasciarlo qual è, senza cercare di stimolarlo,
e viverci in mezzo senza crucciarmi.
(Zhuang Zi, XII)

Per tornare a noi, confrontiamo le parole di Lao Zi con quelle di Maurizio Pallante (Movimento per la Decrescita Felice):

«La decrescita è elogio dell’ozio, della lentezza e della durata; rispetto del passato; consapevolezza che non c’è progresso senza conservazione; indifferenza alle mode e all’effimero; attingere al sapere della tradizione; non identificare il nuovo col meglio, il vecchio col sorpassato, il progresso con una sequenza di cesure, la conservazione con la chiusura mentale; non chiamare consumatori gli acquirenti, perché lo scopo dell’acquistare non è il consumo ma l’uso; distinguere la qualità dalla quantità; desiderare la gioia e non il divertimento; valorizzare la dimensione spirituale e affettiva; collaborare invece di competere; sostituire il fare finalizzato a fare sempre di più con un fare bene finalizzato alla contemplazione. La decrescita è la possibilità di realizzare un nuovo Rinascimento, che liberi le persone dal ruolo di strumenti della crescita economica e ri-collochi l’economia nel suo ruolo di gestione della casa comune a tutte le specie viventi in modo che tutti i suoi inquilini possano viverci al meglio.»

«La Via del Cielo è di non lottare, e nondimeno, saper vincere;
di non parlare, e nondimeno, saper rispondere;
di non chiamare, e nondimeno fa accorrere;
di essere lenti, e nondimeno saper fare progetti»
(Lao Zi, LXXIII)

Rinunciare agli sprechi, rinunciare alla crescita, non significa rinunciare all’uomo. Non significa rinunciare alla felicità e al benessere. Negli ultimi duecento anni, prima in occidente e poi in oriente, l’uomo si è progressivamente abituato ad associare alti livelli di consumo al benessere. Questa convinzione resta ben radicata nonostante le prove del contrario siano numerosissime e sotto gli occhi di tutti. Sappiamo ad esempio che l’aumentato consumo di cibi ha portato nelle società del nord del mondo ad un drastico aumento della percentuale di obesi, e non è difficile immaginare un’associazione tra lo stress da consumo e da scelta indotti dall’industria pubblicitaria e l’aumento esponenziale del consumo di psicofarmaci degli ultimi decenni. Gli esempi che si potrebbero fare sono pressoché infiniti.

Attualmente, esistono innumerevoli tecnologie e soluzioni interessanti che potranno e dovranno essere impiegate per limitare l'impatto delle nostre attività sull'ecosistema, ma il punto cruciale affinché tali tecniche abbiano un'efficacia effettiva e permettano un reale miglioramento delle condizioni di vita a livello mondiale, andando ad alleviare le iniquità esistenti, è un cambiamento del sistema economico non più fondato solamente sul mercato, sul profitto e sulla competizione, ma dove altri valori avranno la precedenza.

Molti ricercatori, già da anni, parlano di «economia della felicità»: un'economia che abbia come scopo ultimo quello di perseguire la felicità delle persone, non intesa meramente come appagamento dei bisogni primari materiali ma includendo anche quelli relazionali e spirituali, i quali sono ancora sconosciuti alla maggioranza della «massa consumatrice».

Una condizione necessaria per la creazione di un sistema economico non degenerativo, bensì a sostegno della vita e della felicità umana, è la localizzazione della produzione, sia materiale che energetica, tramite la valorizzazione delle risorse territoriali (prime fra tutte le fonti rinnovabili caratteristiche del luogo) e degli scambi interregionali. La nascita di solidarietà di vicinato, di rapporti umani basati sullo scambio, sul calore umano, sull'amicizia, il rafforzamento delle conoscenze contadine e la trasmissione del «saper fare» e dell'autoproduzione, sono tutti aspetti che fanno parte di questo nuovo cambiamento economico-sociale.

Tutto ciò sarà unito a una parola d'ordine impellente: «diminuire». La diminuzione del consumo prima di tutto, la diminuzione se non l'annullamento totale degli sprechi e dei rifiuti, la diminuzione dei ritmi di vita, quindi la riduzione dello stress e del caos, la diminuzione delle ore di lavoro, la diminuzione del consumo di carne, la diminuzione dei viaggi intercontinentali.

La decrescita felice rappresenta questa grossa occasione. «Decrescere» significa inizialmente cominciare con il diminuire là dove la diminuzione non porterà altro che un vantaggio, sia in termini economici che ambientali e di salute. Sono amplissimi i margini di riduzione di risorse impiegate senza impattare sui bisogni da soddisfare ma agendo solamente sulle perdite e sull'inutilizzato. E la decrescita è chiamata «felice» perché non sarà imposta da nessuno, ma sarà una scelta di ogni singola persona, perché la decrescita realizzata basandosi sui principi di equità comporterà benefici per tutti, che saranno di gran lunga maggiori rispetto a ciò che perderemo.

Non c’è errore più grande che approvare i desideri.
Non c’è disgrazia più grande che non sapere avere a sufficienza.
Non c’è torto più grande che il desiderio di ottenere.
Poiché sapere che abbastanza è abbastanza significa avere sempre a sufficienza.»
(Lao Zi, XLVI)

E se al posto della ricchezza prodotta misurassimo la felicità? Non come sentimento effimero, ma come percezione di un equilibrio globale tra il benessere economico, la cultura, le relazioni con gli altri, il rispetto della natura. Il dibattito su come affiancare al PIL, indicatori più completi che diano una misurazione a tutto tondo del benessere delle persone è stato avviato da molto tempo,fino ad ora senza grandi risultati. Ma c’è un piccolo Paese dell'Himalaya, il Buthan, che ormai da lungo tempo ha sostituito il PIL con un indicatore estremamente più complesso, il FIL (Felicità Interna Lorda). Infatti i noti limiti del PIL, consistono nel fatto che si misura la ricchezza, ma sfuggono altre variabili fondamentali, tra le quali lo stato di salute dell'ambiente, lo stato di benessere globale della popolazione, variabile che include anche le relazioni tra persone. Ma per il Buthan si tratta di un problema superato da tempo. Il primo ministro ha detto:

«Abbiamo cominciato a riflettere sulla validità del Pil come misuratore del benessere già negli anni '60. Lo stesso creatore di questo indicatore, il premio Nobel Simon Kuznets, che lo mise a punto all'indomani della crisi del '29, nel 1934, disse che non sarebbe stato adatto a misurare il benessere complessivo della popolazione, e invece fu utilizzato in questo senso, contro le indicazioni del suo stesso creatore. Il nostro re invece si chiese come si poteva misurare in modo completo il benessere della società, e il suo grado di progresso. Il Pil promuove la crescita economica illimitata, un modello insostenibile dal momento che il nostro pianeta non ha delle risorse illimitate».

E così, anno dopo anno, il Buthan ha messo insieme un indicatore completamente diverso, che ha al centro la felicità, un concetto che certo include anche il benessere economico, ma va ben oltre. «Il FIL si basa su quattro pilastri: l'esistenza di uno sviluppo economico equo e sostenibile, che include l'istruzione, i servizi sociali e le infrastrutture, in modo che ogni cittadino possa godere degli stessi benefici di partenza; la conservazione ambientale, che per noi è particolarmente importante visto che viviamo in un Paese che solo per l'8% ha un suolo utilizzabile per l'agricoltura; la cultura, intesa come una serie di valori che servono a promuovere il progresso della società; e infine il pilastro su cui si fondano tutti gli altri, il buon governo».

Pratica il non-agire, bada a non fare niente, assapora il senza-sapore;
considera il piccolo come grande il poco come molto!
intacca il difficile dove è facile;
fai grande ciò che è minuto.
Le cose più difficili al mondo prendono avvio da ciò che è facile;
Le cose più grandi al mondo prendono avvio da ciò che è minuto.
Perciò il Santo non fa mai niente di grande e così può compiere il grande.»
(Lao Zi, LXIII)
E in attesa che i nostri governanti pensino ad introdurre il FIL anche da noi, proviamo a fare degli esercizi mentali, ad allenarci ogni giorno a pensare diversamente. Creiamo nella nostra mente soluzioni ideali, fantasie. Immaginiamo per esempio una città senza automobili dove le persone si muovono liberamente, pensiamo a una società che non fa più uso della violenza, che non produce più alcun rifiuto, pensiamo di poter vivere dignitosamente senza dover subire ingiustizie, pensiamo a un'economia che non si regga sul denaro, a un mondo senza armi e senza guerre, senza povertà, sogniamo, immaginiamo, dipingiamo il futuro.

«Quando si pratica (la Via) nella propria persona, la sua virtù sarà l’autenticità.
Quando la si pratica nella propria famiglia, la sua virtù sarà l’abbondanza.
Quando la si pratica nel proprio villaggio, la sua virtù sarà la durevolezza.
Quando la si pratica nello Stato, la sua virtù sarà la prosperità.
Quando la si pratica nell’Impero, la sua virtù sarà l’universalità.»
(Lao Zi, LIX)

Partire da un sogno, crearlo e sognarlo è il primo passo perché il sogno si avveri. Concludo con gli ultimi versi di Imagine di John Lennon:

Imagine no possessions
I wonder if you can
No need for greed or hunger
A brotherhood of man
Imagine all the people
Sharing all the world...
You may say I'm a dreamer
But I'm not the only one
I hope someday you'll join us
And the world will live as one

Immagina un mondo senza possessi
mi chiedo se ci riesci
a necessità di avidità o fame
La fratellanza tra gli uomini
Immagina tutta le gente
condividere il mondo intero...
Puoi dire che sono un sognatore
ma non sono il solo
Spero che ti unirai anche tu un giorno
e che il mondo diventi uno





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