Dao De Jing

Senza uscire dalla porta di casa puoi conoscere il mondo,
senza guardare dalla finestra puoi scorgere il Dao del cielo.
Più si va lontano, meno si conosce.
Per questo il saggio senza viaggiare conosce,
senza vedere nomina, senza agire compie.
Dao De Jing, Lao Zi

venerdì 11 marzo 2011

I cinesi in America prima di Colombo: grande scoperta o grande bufala?







Secondo Gavin Menzies, ex ufficiale della Marina britannica e studioso appassionato delle antiche carte nautiche, fu una spedizione cinese a raggiungere per la prima volta le coste americane nel 1421. La Cina ha sconfessato questa ipotesi,
ma…chi avrà ragione?




Cristoforo Colombo fu davvero il primo a scoprire l’America nel 1492? E Magellano compì davvero la prima circumnavigazione terrestre nella sua spedizione del 1521? Oggi si fa strada una nuova ipotesi, basata sul ritrovamento di antiche carte nautiche, sull’analisi a computer dei dati astronomici e sulla scoperta di relitti di navi nel mare dei Caraibi. Gavin Menzies sostiene che fu una spedizione cinese a raggiungere per la prima volta le coste americane e a compiere il primo viaggio completo attorno al mondo.

Fino dal IX secolo la Cina aveva sviluppato una propria flotta marittima, inviando ambasciatori oltremare e dando vita a floridi scambi con l’Indonesia e con l’India. Quando nel 1403 l’imperatore Yong Le, della dinastia Ming, diede l’ordine di costruire la nuova flotta imperiale, lanciò uno dei più ambiziosi programmi di opere pubbliche. Le giunche usate per sfidare gli oceani erano gigantesche, avevano da quattro a otto alberi, 60 cabine passeggeri, 300 membri di equipaggio. Una di quelle giunche avrebbe potuto contenere la Niña, la Pinta e la Santa Maria (le caravelle di Colombo) tutte assieme. Le ammiraglie arrivavano a 146 metri di lunghezza e 60 di larghezza ed erano dotate di 24 cannoni di bronzo: a bordo viaggiavano squadre di astronomi, meteorologi, medici, botanici, traduttori ed interpreti.


Dal 1405 al 1433 furono effettuate sette memorabili spedizioni, mirate ad esplorare i paesi affacciati sull’Oceano Indiano, l’Africa orientale e il Golfo Persico. La flotta, denominata «flotta dei tesori» era composta da più di cento navi, tra ammiraglie, bastimenti militari, vascelli per la ricerca scientifica e grandi giunche mercantili per il trasporto di truppe, cavalli, viveri ed acqua potabile: era una armata invincibile con 28.000 uomini. A bordo c’erano sete, gioielli e concubine che l’Imperatore Celeste mandava in dono ad altri potenti della terra: ma soprattutto c’era un gruppo di esperti cartografi che dovevano disegnare una mappa dettagliata di questi viaggi. Gavin Menzies sostiene di avere trovato le prove che una di queste missioni sfociò nella scoperta dell’America. Secondo Menzies, nel febbraio del 1421 la «flotta dei tesori» lasciò la Cina per attraversare l’Oceano Indiano, doppiare il capo di Buona Speranza, risalire le coste occidentali dell’Africa e attraversare infine l’Oceano Atlantico fino ad esplorare le coste sud-americane. Sembra poi che doppiato lo stretto di Magellano, risalisse le coste cilene per poi riattraversare l’oceano Pacifico e ritornare in Cina.

Singolare fu anche il protagonista di questa impresa, l’ammiraglio Zheng He, un eunuco entrato fin da giovane al servizio dell’imperatore. Nella gerarchia di potere cinese, gli eunuchi ricoprivano funzioni cruciali: lungi dall’essere solo i guardiani delle concubine, erano in consiglieri dei sovrani per il protocollo, le finanze e la gestione del personale. Era tuttavia raro che un eunuco eccellesse nell’arte militare: inoltre Zheng He era anche di religione mussulmana, cosa non rara a quei tempi in Cina. Nel corso della settima ed ultima spedizione, nel 1433, Zheng he si ammalò e morì in mezzo all’ Oceano Indiano: aveva 62 anni e negli ultimi 28 anni aveva percorso 50.000 chilometri e visitato 37 paesi.

Il destino volle che la morte dell’eunuco coincidesse con una svolta politica dalle conseguenze profonde. Minacciati dai Mongoli e dai Tartari, i Ming furono costretti ad una revisione strategica fondamentale: spostarono la capitale da Nanchino (vicino al mare) alla attuale Pechino, nell’entroterra del nord ed abbandonarono la priorità navale in campo militare spostando la difesa sulla terraferma. La fine delle spedizioni marittime segnò l’inizio della chiusura e del ripiegamento dell’impero Ming.
Mentre la Cina si ritirava dai mari, le nascenti potenze europee osavano viaggiare sempre più lontano dal mediterraneo. Sembra appunto che una delle mappe redatte dai cinesi arrivasse, attraverso mille peripezie,nel Portogallo nel 1428 e finisse nelle mani dei maggiori navigatori europei, aprendo loro la strada per le note esplorazioni.
Recentemente la mappa in questione è stata presentata a Pechino, ed incredibilmente gli esperti cinesi ne hanno contestato seccamente l’autenticità, criticando la forma, le scritte, la lingua. «Ma come - hanno detto - non siete stati voi europei, attraverso i missionari gesuiti del Seicento, ad insegnarci la latitudine, longitudine e le nuove tecniche della proiezione reticolare sul mappamondo?» Il bello è che molti geografi e sinologi sostenevano da tempo che la carta di Mendies era al novanta per cento una patacca, ma non avevano il fiato per dirlo. Troppo forte era stato il clamore della notizia, sparata su siti web (www.1421.tv e www.gavinmenzies.net) su libri tradotti in decine di lingue (Gavin Mendies “142:la Cina scopre l’America” – Ed. Carocci- 2002).



Sarà vero? Sarà falso? Ai posteri l’ardua sentenza: resta il fatto che l’ipotesi di Menzies è molto suggestiva e il suo libro merita di essere letto!

















1 commento:

  1. Che occasione perduta per la civiltà, che buddisti e taoisti non abbiano consoliditato la scoperta delle americhe prima dei cristiani.

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