Tuttavia è innegabile che ogni
cultura è legata al proprio cibo, e che il cibo o il modo di mangiare sono
elementi fondamentali per capire la cultura di un popolo: a questo proposito,
per meglio comprendere la cultura orientale (e quella cinese in particolare)
propongo una piccola meditazione sulla
tanto odiata/amata cucina cinese, fonte di infiniti pregiudizi e
incomprensioni. Sicuramente la grande diffusione di ristoranti cinesi in tutto
il mondo (quasi mai di buona qualità) ha creato una serie di stereotipi
paragonabili a quelli sulla cucina italiana: ricordo in proposito che i piatti
italiani più diffusi al mondo sono la pizza (nelle sue infinite “localizzazioni”)
e gli “spaghetti alla bolognese”, cioè al ragù. Piatto, questo, “inesistente” in quanto con il ragù i
bolognesi condiscono le tagliatelle e non gli spaghetti!
Un altro pregiudizio occidentale sulla cucina cinese è la assoluta
“diversità” dei cibi rispetto all’occidente: nell’immaginario delle stranezze
cinesi alloggiano la zuppa di tartaruga, le zampe d’orso, il cervello di
scimmia, il serpente, i nidi di rondine, la pinna di pescecane (tutti piatti di
cui nella Cina di oggi si è quasi persa
la memoria). È vero che i cinesi mangiano cose strane, quali spiedini di
scorpioni o cavallette fritte, croccanti
come le patatine, ma non per questo sono pazzi: dimostrano invece un certo
realismo pratico. Fu infatti nell’anno 628 d.C. che l’imperatore Tai Zong
lanciò la moda delle cavallette fritte per dimostrare al popolo che le
invasioni periodiche di questi insetti, apportatori di fame e carestie, non
erano un segno della collera del Cielo ma un eventi naturale di cui ci si
poteva avvantaggiare in qualche maniera.
La cucina cinese è in effetti
sorprendentemente ricca e varia perché non ha tabù di carattere religioso: è
una cucina saggia, parsimoniosa, dove la infinita varietà delle materie prime
usate è frutto di una millenaria ricerca volta a rendere commestibile tutto ciò
che può essere digerito. Un proverbio cinese dice che si può mangiare tutto
quello che vola, nuota, striscia e cammina, e il gusto tutto cinese di trovare
per ogni cosa, luogo o evento, la denominazione adeguata, aiuta senza dubbio a
rendere più appetibile un topo, chiamato per l’occasione “daino domestico” o un
serpente il cui nome è stato rettificato in “anguilla di cespuglio”. La penuria
è quindi alla base della ricerca della grande varietà di generi commestibili:
basta infatti arrostire o bollire un pezzo di carne per renderlo gustoso, ma in
una economia prettamente contadina dove l’agricoltura e non l’allevamento ha
dominato l’economia del paese per millenni, bisogna avere della fantasia per
rendere appetibile una minestra di semi di loto, petali disseccati di giglio e
colza! Un altro aspetto legato alla scarsità di cibo è l’uso del consumo
collettivo del cibo: ogni piatto è a disposizione di tutti i commensali che si
servono direttamente con le loro bacchette e quindi non è necessario assegnare
a ciascuno una precisa porzione. Con tre etti di carne, un petto di pollo,
qualche verdura ed un po’ di riso si possono sfamare cinque o sei persone:
certo che se i tre etti di carne li servite sotto forma di bistecca, il petto
di pollo lo friggete così come è, la verdura la servite cruda è difficile
raggiungere questo obiettivo.
Uno dei retaggi della povertà
(che del resto ritroviamo anche da noi, in particolare nel sud) è il fatto che,
quando si è invitati ad un pranzo, non è segno di maleducazione lasciare
qualcosa sul piatto, dando così un segnale di sazietà; il piatto vuoto, per i
cinesi, indica che il padrone di casa non ha soddisfatto pienamente l’appetito
dei suoi ospiti! Lo stesso vale per le bevande: una volta, da un amico, ho
capito che dovevo lasciare il bicchiere pieno solo al limite della ubriachezza…
appena io vuotavo il bicchiere, lui lo riempiva immediatamente!
Partita quindi da una
necessità di valorizzare al massimo la scarsa disponibilità di materia prima,
la cucina cinese ha mantenuto questo modo di fare anche nei periodo di relativa
abbondanza: l’alta cucina cinese si è così risolta in una cucina di qualità,
mille delizie, mille piattini, mille salse.
Ma i pregiudizi non sono solo occidentali: «Il cibo e le
bevande dell’Estremo Occidente non sono di qualità raffinata e raramente hanno
un buon sapore» scriveva nel
1870 il mandarino Yi Hou, membro della prima missione imperiale cinese nel
regno di Italia, il quale nelle sue note di viaggio si lamenta tra l’altro per
il fatto che mai nel nostro paese era stato invitato a banchetti importanti
come, per esempio era avvenuto in Francia ed in Belgio. Se Cina ed Italia non
fossero gemellate per gli spaghetti (e ancora si discute se furono introdotte
da Marco Polo in Italia dalla Cina o viceversa) la diffidenza gastronomica tra
i due paesi sarebbe difficilmente colmabile: ma la pasta è la pasta e tra i due
paesi si tende un ponte di tagliatelle, sfruttatissime come argomento di
conversazione quando italiani e cinesi siedono assieme a tavola.
Da noi, qui nell’Occidente, i primi
a parlare male della cucina cinese furono i gesuiti: Lorenzo Magalotti, nel
1666, se ne fece interprete nella sua Relazione
della Cina: Nella sua operetta Magalotti intervista un certo padre Grueber,
tornato fresco dalla Cina e gli chiede, tra l’altro, come mai i cinesi non
abbiano imparato a fare il formaggio.«Che
volete – risponde padre Grueber – sono tanto superbi e mai s’indurrebbero a
imparare cosa dai forestieri». Per
padre Grueber «egli è ben vero che i chinesi sono tangheri nel mangiare» e a
Magalotti che divertito lo ascolta, racconta come i padri gesuiti di Pechino,
visto che « i chinesi nel mangiare hanno un gusto sporchissimo», si cucinano da
soli lepri e fagiani per non vederli straziati dal cuoco cinese.
Passano gli anni e l’Estremo Occidente comincia a cambiare idea sulla
cucina cinese: dalla Cina, verso la fine del secolo scorso, specie dalle
province del sud più colpite da guerre e calamità, partono gli emigranti a
fondare i primi nuclei delle popolose comunità cinesi all’estero, le future
Chinatown, pullulanti di ristoranti cinesi che contenderanno alle pizzerie italiane
il primato internazionale del “localino tipico”.
Quando si sente dire “amo la cucina cinese” si sta dando per scontate molte
cose: esiste “la cucina cinese”?
Se solo pensiamo che in quanto a latitudine, la Cina del nord è all’altezza
di Parigi mentre quella del sud è all’altezza del Cairo e in quanto a
longitudine l’estensione da ovest a est è paragonabile alla distanza che passa
tra Lisbona e Kiev, risulta subito chiaro che “cucina cinese” ha più o meno lo
stesso significato di “cucina europea”, cioè una frase praticamente priva di
significato..
La Cina, con un territorio così grande ed una storia così lunga e
complessa, ha inevitabilmente sviluppato nel corso dei secoli varie cucine
regionali. Molti fattori hanno causato ciò, per esempio le differenze
climatiche, geografiche, le migrazioni, i trasporti, le influenza da altre
culture. Sebbene non ci sia un modo solo per contare le cucine regionali, tutti
sono d’accordo a considerare quattro le principali regioni culinarie: lo
Shandong, il Sichuan, il Canton e lo Yangzhou. Deve essere specificato che
questa divisione non ha confini precisi e tracciati come quella geografica. Il
cibo pechinese, per esempio, è nel territorio della cucina shandonese, ma
include piatti sichuanesi, e specialità influenzate dalla cucina mongola,
mentre l’intero e popoloso della del fiume giallo, compresi Wuxi, Suzhou,
Shanghai, e Hangzhou è considerata cucina dello Yangzhou. Secondo alcuni, le
cucine della Cina potrebbero essere divise, considerando la caratteristiche dei
piatti, in leggera cucina a sud, salata a nord, dolce a est e speziata ad
ovest.
La cucina del Nord, di cui fa parte la cucina di Pechino, è una cucina
robusta, che fa ampio uso di aglio e porri, dove le cotture lente e prolungate
ne costituiscono una caratteristica. Ricca di influenze mongole e mussulmane, è
rinomata per i piatti a base di montone e agnello. Anche i piatti di mare sono
molto popolari. Il grano e non il riso è il maggiore prodotto di questa regione
e per questo moltissimi piatti sono a base di pasta o ravioli. Le verdure
vengono cotte molto più a lungo che nella cucina del Sud. Alcune varietà di
verdure, come i cavoli, vengono messi in salamoia per essere conservati durante
il lungo inverno.
La cucina delle regioni dell'Est è probabilmente la meno conosciuta al
di fuori della Cina: in generale questa cucina pone l'accento sui sapori di
ingredienti freschissimi e scelti con cura. Alcuni dei migliori piatti sono
quelli preparati con le anguille locali, le aragoste e i granchi. Gli stufati
sono molto popolari soprattutto se preparati con il metodo della "cottura
rossa", nel quale il cibo viene cotto lentamente e gentilmente con brodo e
salsa di soia. Lo zucchero viene usato più generosamente che in altre cucine,
soprattutto per addolcire le salse.
La più ricca e sofisticata delle grandi cucine cinesi nasce nel
Guangdong, la regione che ha per capitale Canton. Il clima subtropicale di
questa regione permette la crescita di una enorme varietà di frutta e verdura
ed ha dato vita ad una cucina varia e vivace. I metodi di cottura più diffusi
sono la frittura e la cottura a vapore. I vegetali vengono appena scottati in
modo che mantengano colore e consistenza. Pesce e prodotti del mare sono molto
popolari. Il pesce, sempre freschissimo, guarnito ad esempio con zenzero o
piccoli porri cinesi, viene cotto abilmente a vapore, bagnato di quando in
quando con un leggero brodo e rappresenta alla perfezione l'eccellenza della
cucina del Sud.
Ampio uso di peperoncino, aglio e pepe del
Sichuan distinguono la cucina di quest’area, cucina piccante e saporitissima.
Maiale, pollame, riso e verdure sono gli ingredienti predominanti di questa
cucina. La saggezza popolare vuole che l'uso tanto generoso di spezie liberi il
corpo dagli umori in eccesso ed aiuti a combattere gli effetti del clima molto
umido della regione. La cucina cinese è infatti molto legata alla
filosofia e alla medicina. Essa distingue gli alimenti yin, femminili,
umidi e teneri dunque rinfrescanti, quali sono i legumi ed i frutti. Gli alimenti yang,
maschili, fritti, speziati o a base di carne hanno un effetto riscaldante. Un
pasto deve non soltanto armonizzare i gusti, ma ugualmente trovare un
equilibrio tra il freddo e il caldo.
Ma a parte i banchetti
ufficiali, in che cosa consiste la cucina quotidiana dei cinesi? Niente nidi di
rondine, pinne di pescecane o labbra di pesce, ma buone minestre di pollo e
verdura (rigorosamente alla fine del pasto, perché aiutano la digestione, mai
all’inizio come si usa da noi ) e poi tagliatelle, ravioli, tanta carne di
maiale cotta in modi diversi, pesce fritto o cotto a vapore… tutti cibi che al
di là dei condimenti o delle spezie usate, sono molto familiari anche per noi
occidentali.
Prendiamo in considerazione la particolare struttura del pranzo
cinese: è una struttura che si può definire orizzontale o “sincronica” in
contrapposizione alla struttura tipica del pranzo europeo, che è verticale o
“diacronica”. Da noi il menù si articola infatti secondo una successione di
portate scaglionate in tempi successivi: si passa quindi dall’antipasto alla
frutta soffermandosi più a lungo sul piatto centrale che dà significato alla
successione cronologica delle altre portate. Nel menù tipico della cucina
cinese si ha invece la presentazione contemporanea di un assortimento di cibi.
La presentazione dei vari cibi procede per coordinate, non per
subordinate: per capirsi, si tratta circa della stessa differenza di struttura
esistente tra le nostre lingue flesse e la lingua cinese: le prime procedono
per via di subordinate, mentre la seconda si articola per mezzo di coordinate
con la giustapposizione di parole che, indifferenziate dal punto di vista
grammaticale, assumono funzioni specifiche a seconda della posizione che
occupano. Senza una minima conoscenza di questo sistema strutturale,
l’occidentale rischia di perdersi in un pranzo (o in un discorso) cinese, di
non seguire il filo logico in quanto è abituato all’aspettativa del piatto
centrale intorno al quale costruisce il significato del pranzo e determina la
propria partecipazione, cioè il consumo: piglio un poco di questo, un po’ più
di quest’altro, perché voglio tenermi il posto per l’arrosto. Oppure la carne
non mi interessa e quindi mi butto sugli antipasti e il dolce. Quando il menù è
di tipo orizzontale, si rischia di perdersi, di mangiare troppo perché ogni
portata è considerata quella risolutiva o di mangiare troppo poco perché si
vuole serbare posto per la portata centrale, che poi invece non arriva o non si
riesce a riconoscere come tale. È un poco il disorientamento
in cui cade il lettore occidentale di un romanzo cinese nella cui struttura
tipica molti episodi si susseguono apparentemente senza relazione diretta con i
protagonisti, senza che si riesca a individuare un nodo drammatico centrale
intorno al quale si articoli la narrazione.
A parte l’aspetto “strutturale” del pasto,
vediamo tuttavia che la materia prima del mangiare cinese (a parte gli
estremismi) è molto simile alla nostra: diversamente da molti altri
occidentali, italiani e cinesi hanno in comune la pasta, il riso, il pane, tante
verdure, pollame, maiale, carne bovina ed ovina, tanto pesce… e molti dolci!
La chiave della cucina cinese
è soprattutto la tecnica: nessuna cucina al mondo è più elastica per quanto
riguarda gli ingredienti e più rigida per quanto riguarda la tecnica. La cosa
divertente (almeno per me) è sperimentare la tecnica di cottura cinese ai
“nostri” ingredienti: provateci e scoprirete una “contaminazione” estremamente
piacevole! Ma vediamo telegraficamente quali sono le tecniche di cottura
cinesi.
In alternativa si usa la
bollitura, in particolare per le carni, che vengono prima bollite in casseruole
di terracotta e poi tagnliate a fettine sottli e servite con varie salsine in
cui ognuno può intingere a piacimento. Le carni bollite fredde vengono servite
some antipasti assieme a verdure sottaceto.
Il metodo di far soffriggere rapidamente carni
e verdura in padella è quello più diffuso, in quanto semplice e rapido: le
carni vengono tagliate a cubetti e fatte
prima marinare in una salsa di soya, saké, sale,pepe e maizena. Si friggono
separatamente le carni e le verdure di accompagnamento ed infine si rimettono tutti gli ingredienti
nella padella e si cuoce ancora rapidamente per amalgamare il tutto.
I cibi fritti si differenziano da quelli soffritti poiché dopo la marinatura vengono immersi in una pastella di acqua e farina prima di venire fritti in olio abbondante di soya. Questo metodo viene usato sovente per i gamberetti e per il pesce in genere che si sfalderebbe se venisse soffritto.
Lo stufato prevedere una breve
frittura ed una successiva cottura piuttosto lunga a pentola coperta con
l’aggiunta di acqua o brodo.
La minestra in Cina ha una
importanza capitale e chiude immancabilmente il pasto per modesto che sia. Il
brodo base è fatto con delle ossa di pollo e delle fette di zenzero: si
aggiungono poi verdure, funghi, tou-fu o carni tagliate alla Julienne a seconda
delle varianti.
E adesso, con l’ausilio di un
buon libro di cucina cinese, impadronitevi della tecnica, e scatenate la vostra
creatività per inventare la cucina del “Mare di Mezzo”!
PS. Per chi non avesse colto
la battuta, sappiate che il nome cinese della Cina (Zhong Guo) vuol dire “la
Terra di mezzo [ai mari]” mentre il nome cinese del Mediterraneo è Di Zhong
Hai, cioè “Il Mare in mezzo alle Terre”!