Se si parla del vuoto, non si può non parlare del pieno e
viceversa: nella mentalità occidentale il concetto di «pieno» ha una connotazione
prevalentemente positiva: «Nel pieno delle sue facoltà mentali…» oppure «Ave Maria, piena di
grazia…»,
anche se uno «pieno di sé» non è il massimo! Il vuoto, invece non è molto simpatico
dalle nostre parti, nella nostra cultura spicciola. «E’ una persona vuota» non è un complimento,
così come non sono espressioni connotate positivamente «un’esistenza vuota», «quello ha la testa vuota».
Se apriamo l’enciclopedia troviamo: «In fisica, il vuoto è l'assenza di materia in un volume di spazio».
La
percezione comune che abbiamo è che le cose, tutte le cose, siano «piene», e che il vuoto sia la
mancanza del pieno, il nulla. Secondo la concezione aristotelica del
mondo, Natura abhorret a vacuo [la natura rifiuta il vuoto]. Aristotele
era giunto a questa conclusione osservando che quando da un luogo viene tolta
tutta la materia, producendo appunto il vuoto, immediatamente nuova materia vi
si precipita a colmarlo, quindi la materia deve essere ovunque.
La tradizione giudaico-cristiana ha poi ereditato gran parte
delle dottrine platoniche e aristoteliche dell'essere del non essere. Agostino,
ad esempio, afferma che termini come «vuoto, nulla, tenebre» denotano esclusivamente una «mancanza» e sono relativi a un particolare «stato mentale».
Nella filosofia tedesca successiva il «vuoto» viene a coincidere col
«nulla» in senso metaforico
all'interno del nichilismo che predica la caduta di tutti i valori privi di
fondamento ultimo o metafisico - si pensi a Schopenhauer e Nietzsche: il nulla
è appunto il vuoto lasciato dal senso, dal fine, dai valori.
Nella maggioranza delle tradizioni culturali d’Oriente, l’idea di vuoto è invece sinonimo di infinita ricchezza di possibilità, di massima apertura e libertà. Secondo un maestro hindu «Lo stato di vuoto mentale non è la demenza dell'idiota, ma intelligenza sommamente attenta, non distratta da pensieri estranei». Questa idea di vuoto è stata formulata soprattutto dal buddhismo in India, si è poi sviluppata col taoismo in Cina, ed ulteriormente in Giappone, specialmente grazie all’influsso che il buddhismo della Scuola Zen ha esercitato nelle arti. Il vuoto, quindi, non come semplice negazione del pieno, ma come «entità di per sé esistente». Del vuoto, infatti, è possibile avere un’esperienza positiva attraverso le forme d’arte orientali che, invece di «rappresentare» un oggetto, «presentano» il vuoto tra le cose, ciò che le individua e distingue.
Il titolo
con cui è comunemente tradotto il Lie Zi, uno dei più importanti
classici taoisti, è Il Vero Libro della
Sublime Virtù del Cavo e del Vuoto, dove Virtù (Te) sta per
virtualità, cioè potenzialità. Per il taoismo il vuoto è costitutivo
dell’universo quanto il pieno. Ma leggiamo qualche passo del Dao De Jing di Laozi
a proposito del vuoto.
«Coloro che nell’antichità erano abili nella Via,
penetravano
l'arcano e comunicavano col mistero,
erano
tanto profondi da non poter essere compresi
…
Chi s'attiene a questa Via non brama d'esser pieno,
e proprio perché non desidera esser colmo
mai completa consunzione lo coglie. »(XV)
Lo
spazio tra cielo e terra, quanto è simile a un mantice di fucina!
Svuotato
non si esaurisce mai;
messo
in moto, produce sempre di più. (V)
«Ciò che è piegato diventa
intero.
Ciò che è
tortuoso diventa dritto,
Ciò che è
vuoto diventa pieno…»
Il
Dao di cui si parla non è il vero Dao
I
Nomi che si usano non sono i veri Nomi
Il
nome “non-essere” indica l’inizio del Cielo e della Terra
Il
nome “essere” indica la madre dei diecimila esseri
Così,
grazie al costante alternarsi del “non-essere” e dell’ “essere” che si vedranno
dell’uno
il prodigio, dell’altro i confini.
Questi
due, sebbene abbiano un’origine
comune, sono designati con nomi diversi.
Ciò
che essi hanno in comune, io lo chiamo il Mistero,
il
Mistero Supremo, la porta di tutti i prodigi. (I)
Difatti:
l’Essere e il non Essere si generano l’un l’altro…
Il
difficile e il facile si completano l’un l’altro,
Il
lungo e il corto di formano l’uno dall’altro;
l’alto
e il basso si invertono l’un l’altro;
il
prima e il dopo si seguono l’un l’altro (II)
Secondo
la tipica circolarità del pensiero orientale, tutto ciò che «esiste» (l’universo) ha origine da
ciò che «non-esiste»: il «manifesto» presuppone e trova origine
nel «non-manifesto» . La forma è generata dal
senza forma, così come la forma porterà al senza forma. Questa «esistenza prima dell’esistenza», questa potenzialità non
ancora espressa, è indicata col termine Dao. Dao è l’inesprimibile, l’inspiegabile,
è il «caos»[1] originario, l’unità
indifferenziata ma feconda, dal cui ventre nasce la vita.
Mistero,
in effetti, è tale duplice aspetto del Dao: l’ineffabile Uno che ingloba tutta
la realtà dicibile. La realtà in tutta la sua molteplicità deriva direttamente,
organicamente dall’Uno in un rapporto di generazione e non per un atto di
creazione.
È incredibile come la scienza moderna sia vicina alla visione
taoista:
«Oggi l’idea di una natura
che ha orrore del vuoto è cambiata radicalmente: la natura non aborre affatto
il vuoto anzi, l’Universo è quasi ovunque vuoto ed è semmai la materia che ora
costituisce l’eccezione. (...). La meccanica quantistica, ossia la teoria che
descrive il comportamento originale e imprevedibile delle particelle
subatomiche (elettroni, fotoni, quark, ecc.) ha una visione del tutto nuova di
vuoto: essa lo immagina pervaso da continue fluttuazioni energetiche dalle
quali si genera materia. (...). Uno dei risultati più straordinari della fisica
del microcosmo è l’avere scoperto che lo spazio vuoto non è affatto vuoto:
appare tale solo perché la creazione e la distruzione incessante di particelle
ed altre strane entità si verifica in esso su intervalli temporali brevissimi e
tali comunque da non lasciare allo sperimentatore il tempo materiale per la
loro rilevazione. (...). Questa incredibile proprietà del vuoto scaturisce
dalla combinazione della meccanica quantistica con la relatività di Einstein.
Una conseguenza diretta della meccanica quantistica (o fisica dei quanti) è il
principio di indeterminazione di Heisenberg il quale afferma che il mondo
microscopico possiede un’incertezza di fondo: l’impossibilità di determinare
con precisione assoluta i parametri fisici delle particelle di piccole
dimensioni. Nel vuoto questa incertezza si manifesta sotto forma di piccole
fluttuazioni energetiche che vanno e vengono senza sosta e che in parte si
convertono in entità materiali. La teoria della relatività, attraverso la
famosa equazione E=mc² (energia uguale
massa per velocità della luce al quadrato),
suggerisce infatti che l’energia possa trasformarsi in materia e viceversa. Per
la precisione la materia si genera a partire dall’energia sotto forma di particella
e antiparticella (ad esempio elettrone e positone insieme) dalla vita
brevissima: per tale motivo esse vengono chiamate «virtuali». Le particelle virtuali
quanto più sono grandi tanto meno vivono, ma in quel breve lasso di tempo
potrebbero anche diventare reali (cioè particelle effettive) se potessero
disporre di una fonte di energia adeguata. (...). Dal vuoto sarebbe addirittura
nato l’Universo intero. Non è infatti da escludere che anche il Cosmo si sia
materializzato dal nulla in seguito ad una gigantesca fluttuazione quantistica
del vuoto: le leggi della fisica, come abbiamo visto, non escludono una simile
eventualità.»
Lao
Zi ama usare i paradossi per prendere in
contropiede determinate abitudini di pensiero: preferire il debole al forte, il
non-agire all’agire, il femminile al maschile, il sotto al sopra, l’ignoranza
alla conoscenza. Ma il paradosso più radicale consiste nell’affermare che il
nulla ha più valore di qualcosa, il
vuoto ha più valore del pieno:
Trenta
raggi convergono nel mozzo
Ma
è proprio dove non c’è nulla che sta l’utilità della ruota
Si
plasma l’argilla per farne un recipiente
Ma
è proprio dove non c’è nulla che sta l’utilità del recipiente
Si
aprono porte e finestre per fare una stanza
Ma
è dove non c’è nulla che sta l’utilità della stanza
Così
il «c’è» presenta delle opportunità, che il «non c’è» trasforma in utilità
(Lao
Zi,11)
Nella tradizione orientale, e in particolar modo nel taoismo,
pieno e vuoto sono due aspetti delle cose, come yin yang. Niente di
totalmente pieno esiste; niente di totalmente vuoto esiste. Anche nel pieno più
spinto vi è perlomeno la potenzialità del vuoto; anche nel vuoto più spinto c’è
la potenzialità del pieno.
Può una cosa, qualsiasi cosa, essere e rimanere completamente
piena? No. Può una cosa essere e rimanere completamente vuota? No. «Quando lo yin raggiunge il suo culmine, produce lo yang;
quando lo yang raggiunge il suo culmine, produce lo yin».
La Via del Cielo, quanto è simile
all’atto di tendere un arco!
Quel ch'è alto viene abbassato, quel ch'è basso viene innalzato,
quello che eccede viene ridotto, quel che difetta viene
accresciuto.
La Via del Cielo è di
diminuire a chi ha in eccedenza
e di aggiungere a chi non ha a sufficienza. (LXXVII)
Noi però tendiamo ad essere sempre pieni: siamo pieni
esternamente (le nostre
case sono piene di vestiti, scarpe, mobili, utensili domestici ed altre
cose - perlopiù inutili
- che non usiamo da molto tempo) e siamo pieni internamente: opinioni, preconcetti,
conoscenze (per la maggior parte statiche: non molti sono disposti a mettere in
discussione ciò che già sanno), preferenze... tutto ciò che abbiamo accumulato
nel corso della nostra vita.
Ed ecco l’attualità del pensiero taoista: solo creando un poco di vuoto nella nostra
vita si crea la possibilità che qualcosa di nuovo arrivi. Finché restiamo
emozionalmente carichi di sentimenti vecchi ed inutili non avremo spazio per
nuove opportunità. Vuotiamo le nostre case dagli oggetti inutili, solo così si
troverà lo spazio per circondarci di cose nuove. L’atteggiamento di «conservare» genera la stagnazione, l’assenza di movimento che rovina la nostra
vita.
Celeberrima è la storiella zen dello studioso che va a trovare il saggio e gli chiede di istruirlo. Per prima cosa il maestro zen fa accomodare l’ospite e gli serve del té. Gli pone la tazza di fronte e inizia a versare la bevanda; la tazza si riempie, e lui continua a versare. Finché, alle rimostranze dello studioso, replica: «Anche tu sei come questa tazza: sei pieno. Se prima non ti svuoti, come posso io insegnarti qualcosa?».
Non c’è errore più grande che
approvare i desideri.
Non c’è disgrazia più grande che
non sapere avere a sufficienza
Non c’è torto più grande che il
desiderio di ottenere
Poiché sapere che abbastanza è
abbastanza,
significa avere sempre a
sufficienza. (XLVI)
[1] Il greco chaos deriva da una forma più antica che
corrisponde al latino cavus dai cui
l'italiano cavo. Si è poi passati dal
significato di «spazio vuoto» a quello di massa
disordinata, indistinta: il caos è quanto esisteva, per la mitologia greca,
all'origine di tutto, prima degli dei e del mondo. Nei miti probabilmente più
antichi il caos era concepito come il vuoto.