Le scuole di pensiero
Come abbiamo detto, le basi del pensiero cinese risalgono al Periodo Assiale, momento di fioritura del pensiero filosofico, religioso e scientifico delle grandi civiltà del mondo antico. La formazione e l’evoluzione del pensiero cinese classico si concentra tra il 500 e il 200 a.C., epoca di grandi trasformazioni politiche e sociali, nella transizione dal sistema feudale all’impero unitario.
In questo periodo in Cina, si verificò il crollo delle strutture arcaiche e parallelamente lo sviluppo delle clientele, la nascita e il consolidamento dello Stato, la formazione del soldato-contadino, la comparsa del mercante-imprenditore e quella del funzionario stipendiato.
E’ nel contesto di una società clientelare che debbono essere collocate le prime scuole di pensiero cinese: lo sviluppo delle cliente è stato favorito, in ogni singolo regno, prima della fondazione dell’Impero, dall’arricchimento del mondo cinese. I re, i nobili potenti, i grandi ministri mantengono , oltre alla milizia personale, una corte di buffoni, musici, artisti ed artigiani e fra questi diplomatici, saggi, consiglieri.
Questi maestri di morale e di politica, se raggiungevano una certa celebrità, si circondavano di discepoli e formavano delle scuole, delle volte anche con molte centinaia di adepti. I capiscuola si spostavano di regno in regno, offrendo i loro servigi alla corte dei principi e facendosi mantenere da tutti coloro che erano in cerca di saggezza.
Il primo dei capiscuola in ordine cronologico è Kong Zi (Confucio). Egli è ancora influenzato dalle attitudini morali che un tempo erano proprie della classe nobile: moderazione, rispetto dei riti, fedeltà alle antiche tradizioni. La prospettiva di Kong Zi è sostanzialmente conservatrice, nel senso che mirava a ristabilire il rispetto dei valori e soprattutto dei comportamenti tradizionali, anche dal punto di vista formale. Nella visione dei confuciani, la società doveva strutturarsi su una rete gerarchica ben stabilita e sul principio di un paternalismo autoritario, sanciti da pratiche formaliste e da comportamenti prescritti; l'organizzazione statale era improntata al modello delle relazioni esistenti nella famiglia. Come l’autorità del padre, contemperata dal suo impegno a procurare ai familiari prosperità e sicurezza, era indiscussa, così nello Stato, il condizionamento pervasivo di ogni pensiero e di ogni atto era ritenuto indispensabile per garantire l’ordine, la pace e la prosperità materiale.
Più tardi, appare un altro caposcuola, Mo Zi, rappresentante di una nuova classe sociale meno nobile ma impegnata nelle forze armate, denuncia i vizi della classe dirigente. Anche lui moralista, propugna tuttavia degli ideali di altruismo generalizzato, ed è fautore di un potere autocratico fondato sulle classi più povere e vicine ai contadini. I suoi membri si adoperano per far cessare le guerre o difendere le città ingiustamente attaccate. Ma oltre all’arte della difesa, Mo Zi insegna anche l’arte della parola; una delle attività principali dei membri consiste appunto nel procurare neofiti e nel convincere i potenti della loro ingiustizia ed empietà. I discepoli di Mo Zi sono i primi a porre le basi di un’arte del discorso, ed è infatti tra loro che nascono i primi dialettici.
Altre correnti dovevano nel frattempo favorire la comparsa di una sofistica cinese nel IV e III secolo a.C., da un lato l’antica pratica delle disquisizioni diplomatiche e dall’altro i giochi di corte. Nell’ambiente dei giocolieri, saltimbanchi e buffoni, si praticavano alcuni giochi verbali come indovinelli, paradossi, i ragionamenti dalle conclusioni assurde. L’insieme combinato di tali pratiche sembra aver generato una corrente di pensiero che ricorda per certi versi un orientamento fondamentale della filosofia greca: sono i problemi di logica e di fisica ad interessare i sofisti cinesi.
Parallelamente, si sviluppano tendenze che possono sembrare antisociali e persino anarchiche, che continueranno ad alimentare, anche nell’era imperiale, una delle correnti più originali e vivaci della intellettualità cinese. La «scuola taoista» rappresenta la principale di queste tendenze. La condanna del lusso, della tecnologia, delle istituzioni, l’indifferenza e il distacco per le cose, tutti consigliano un ideale di sobrietà riferendosi alle piccole ed isolate comunità rurali. Per i taoisti i tempi oscuri in cui gli uomini ignoravano tutte le raffinatezze della civiltà erano l’età dell’oro: ogni progresso tecnico, ogni nuova istituzione rappresentano un passo in più verso l’asservimento dell’uomo e la degradazione delle sue virtù naturali. Lo stato doveva essere leggero e limitato alle dimensioni del villaggio, la virtù dei governanti doveva essere misurata su un’intuitiva saggezza e non su un elaborato possesso di nozioni, il rapporto con la natura poteva essere stabilito in termini di convivenza e non di assoggettamento. Il taoismo ha costituito nella civiltà della Cina il momento libertario dell’evasione dagli obblighi e dalle coazioni, dell’iniziativa individuale, del piacere e della curiosità personale (ha dato un contributo senza pari all’elaborazione della scienza, della tecnologia e della medicina), della fantasia (la pittura e la letteratura cinesi sono dominate dalle concezioni taoiste) e anche della trasgressione dagli obblighi politici o familiari.
Dopo una inevitabile (anche se forse un poco noiosa...) introduzione di carattere storico e sociale, possiamo iniziare a parlare di filosofia!
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